Pagamento diritti di copia in caso di deposito via PEC dell’impugnazione anche per la parte ammessa al gratuito patrocinio

08 Aprile 2024

La Circolare del Ministero della Giustizia del 3 aprile 2024 risponde positivamente al quesito posto dal Tribunale di Campobasso in ordine all'applicazione degli artt. 164 disp. att. c.p.p. e 272 d.P.R. n. 115/2002 nell'ipotesi di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Introduzione. Il quesito sottoposto

Perviene alla Direzione generale del Ministero della Giustizia la richiesta di chiarire «se in caso di omessa integrazione, da parte dell'imputato ammesso a patrocinio a spese dello Stato, delle copie di impugnazione trasmessa via PEC, possa essere esperita la procedura contemplata dall'art. 272 d.P.R. n. 115/2002».

Il Tribunale di Campobasso ha segnalato, nella sua nota, il sistematico rifiuto degli avvocati degli imputati ammessi al gratuito patrocinio di pagare gli importi dovuti per le copie effettuate dalla cancelleria.

In considerazione della rilevanza e della frequenza della questione, la Direzione ritiene opportuno provvedere in forma di circolare, destinata a tutti gli Uffici.

Il quadro normativo di riferimento

Per la circolare in questione, l'integrazione delle copie dell'impugnazione presentata a mezzo PEC risulta necessitata dalle norme che tutt'ora impongono alla cancelleria di preservare la continuità del fascicolo cartaceo, di inviare comunicazioni e notifiche alle parti e di trasmettere gli atti al giudice dell'impugnazione, con modalità che, allo stato, non può essere che cartacea. In particolare,

  • per l'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022, comma 9,
  • ai sensi del precedente comma 2 dello stesso art. 87-bis, «Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma 1, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l'atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo, il medesimo personale provvede altresì all'inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio e dell'intestazione della casella di posta elettronica certificata di provenienza»;
  • da ultimo, secondo l'art. 3, comma 8, del d.m. 29 dicembre 2023, n. 217 (regolamento ministeriale adottato ai sensi dell'art. 87, commi 1 e 3, d.lgs. n. 150/2022), «A decorrere dalla scadenza del termine di cui al comma 1 e sino al 31 dicembre 2024, negli uffici giudiziari penali indicati dal comma 2, il deposito da parte dei difensori di atti, documenti, richieste e memorie può avere luogo anche con modalità non telematiche, ad esclusione dei depositi nella fase delle indagini preliminari e nei procedimenti di archiviazione di cui agli artt. 408, 409, 410, 411 e 415 del codice di procedura penale e di riapertura delle indagini dicuiall'art. 414 del codice di procedura penale nonché della nomina del difensore e della rinuncia o revoca del mandato indicate dall'art. 107 del codice di procedura penale. Il deposito da parte dei difensori di atti, documenti, richieste e memorie può, altresì, avere luogo anche con modalità non telematiche nei procedimenti relativi all'impugnazione dei provvedimenti in materia di misura cautelare o in materia di sequestro probatorio emessi durante la fase delle indagini preliminari. Rimane consentito il deposito mediante posta elettronica certificata come disciplinato dall'art. 87-bis del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 per tutti i casi in cui il deposito può avere luogo anche con modalità non telematiche».

Tra le norme che impongono la necessità di preservare la continuità del fascicolo cartaceo rientra l'art. 164 disp. att. c.p.p. la quale indica il numero di copie che devono essere depositate dall'impugnante, in relazione al tipo di gravame proposto, prevedendo in caso di mancato deposito, che alle copie provveda la stessa cancelleria «a spese di chi ha presentato l'impugnazione».

In stretto collegamento con la disposizione attuativa si pone l'art. 272 d.P.R. n. 115/2002 (Testo unico sulle spese di giustizia) che, in caso di mancata integrazione delle copie dell'atto di impugnazione ex art. 164 disp. att. c.p.p., prevede:

  • che il diritto di copia sia triplicato;
  • che in caso di mancato versamento, il funzionario procede alla riscossione mediante ruolo, secondo le disposizioni della parte VII del Testo unico spese giustizia e relative norme transitorie,

Nella relazione illustrativa al d.P.R. n. 115/2002, a margine dell'art. 272 la norma riprende le ipotesi in cui la parte impugnante non produce le copie di atti richieste nella sua disponibilità, richiesti dal codice di rito penale. In tale caso l'ufficio sopperisce predisponendo le copie necessarie, ma il diritto è triplicato e posto a carico della parte.

Come si legge nella Circolare, la norma, costituente il pendant dell'art. 164 disp att. c.p.p., mostra un inequivocabile contenuto sanzionatorio, giacché da un lato è volta a sopperire, sotto il profilo contabile-finanziario, al costo del servizio svolto dalla cancelleria in luogo della parte onereata/impugnante, dall'altro è manifestamente intesa a sensibilizzare e dissuadere l'utenza delle condotte defatigatorie suscettive di procrastinare e completare i servizi amministrativi funzionali alla corretta investitura del giudice dell'impugnazione.

Esclusa, per la parte ammessa, la gratuità delle spese delle copie degli atti di impugnazione

In tale contesto normativo, per la Circolare esclude che in argomento possa trovare applicazione l'art. 107 d.P.R. n. 115/2002. Tale ultima disposizione, dopo aver specificato che per effetto dell'ammissione al patrocinio alcune spese sono gratuite, altre sono anticipate dall'erario, laddove afferma, al successivo comma 2 come «sono spese gratuite le copie degli atti processuali, quando sono necessarie per l'esercizio di difesa», «chiaramente si riferisce alle copie degli atti e dei documenti già presenti al fascicolo d'ufficio, rilasciate dalla cancelleria alla parte che ne faccia richiesta» (corsivo nella stessa Circolare).

Difatti, nel caso di mancata integrazione documentale dell'atto di impugnazione non si tratta di richiesta di atti e/o documenti già presenti nel fascicolo d'ufficio, bensì nella mancata produzione delle copie necessarie alla continuità del fascicolo cartaceo ed alla formazione del fascicolo dell'impugnazione, che sono già nella disponibilità dell'impugnante.

Per tale ragione l'art. 164 disp. att. c.p.p. fa carico all'impugnante di depositare le copie destinate ad essere inserite nel fascicolo e alla cancelleria di munirsene motu proprio, con spese (triplicate) a carico dell'impugnante, laddove quest'ultimo resti inerte.

Per la circolare né l'art. 164 delle disposizioni attuative al c.p.p., né la correlativa sanzione (dettata dall'art. 272 d.P.R. n. 115/2002) recano eccezioni di sorta, in merito alle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

Infine, la norma di esenzione (art. 107 TUSG) non risulta applicabile oltre i casi in essa esplicitamente considerati, costituendo quest'ultima norma una eccezione alla regola per cui i costi del servizio di rilascio copia restano a carico della parte interessato.

La risposta al quesito sottoposto alla Direzione generale trova, dunque la seguente risposta: viene riconosciuto il «potere-dovere della cancelleria di dar seguito al recupero dell'importo calcolato ex art. 272 d.P.R. n. 115/2002, anche laddove la parte inottemperante (alle prescrizioni dell'art. 164 disp. att. c.p.p.) risulti ammessa al patrocinio a spese dello Stato, fatte salve le precisazioni a seguire».

Le ulteriori indicazioni per gli uffici giudiziari “prima” di procedere al recupero dei diritti di copia

In considerazione della frequenza dell'integrazione documentale delle impugnazioni presentate via PEC, anche da soggetti non ammessi al patrocinio a spese dello Stato, l'occasione, per la Circolare, è propizia per fornire ulteriori indicazioni.

Gli Uffici giudiziari sono invitati, prima di procedere alla procedura di recupero di cui all'art. 272 d.P.R. n. 115/2002, a cercare di ottenere lo spontaneo adempimento del difensore impugnante, facendosi integrare le copie cartacee dell'impugnazione depositata via PEC.

Tale prassi viene salutata con favore dalla Circolare ed è rispondente ai principi di collaborazione e buona fede cui è informata l'attività dell'Amministrazione, nei rapporti con il cittadino. Essa, inoltre, appare maggiormente coerente con i principi di efficacia, efficienza e di minor aggravio del procedimento amministrativo, giacché da un lato consente il risparmio di risorse umane e strumentali all'Amministrazione, e dall'altro evita all'utenza il maggior costo economico conseguente alla triplicazione dei diritti di copia, oltreché di subire la gravosa procedura di riscossione mediante ruolo.

La Circolare ricorda, pertanto, di evitare che le cancellerie procedano alla produzione di copie senza aver prima interpellato il difensore impugnante e senza avergli dato modo di produrre copie dell'impugnazione originariamente non provvista.

Verifica che l'importo da recuperare sia superiore a quello minimo stabilito dalle vigenti disposizioni

La Circolare ministeriale, infine, rammenta, ai fini dell'avvio della procedura di riscossione di cui al citato art. 272, quanto disposto dall'art. 229 dello stesso TUSG: «Per l'importo previsto dall'art. 12-bis, d.P.R. n. 602/1973, l'ufficio non effettua l'iscrizione a ruolo in caso di adempimento di crediti relativi a sanzioni pecuniarie processuali» Ai sensi dell'art. 12-bis, appena citata, non si procede ad iscrizione a ruolo per somme inferiori a lire ventimila; tale importo può essere elevato con il regolamento previsto dall'art. 16, comma 2, della l. 8 maggio 1998, n. 146.

Si ricorda ancora che l'iscrizione è curata dalla Società Equitalia Giustizia mediante predisposizione dei ruoli sottoscritti dal suo responsabile del procedimento; e che i predetti ruoli sono consegnati all'Agenzia delle Entrate – Riscossione.

Riepilogando, la Direzione generale del Ministero della Giustizia, sulla interpellata tematica dell'integrazione delle copie dell'atto di impugnazione, suggerisce le seguenti modalità operative:

  1. richiesta (tramite PEC o PEO) al difensore impugnante di integrazione delle copie mancanti, mediante il deposito in cancelleria, entro il termine ritenuto congruo dall'Ufficio, considerando tutte le circostanze del caso;
  2. in caso di omesso deposito delle copie richieste, quantificazione dell'importo da riscuotere in base all'art. 272 d.P.R. n. 115/2002 e la verifica che lo stesso non sia inferiore a quello minimo stabilito dalla legge;
  3. in caso di esito positivo, trasmissione degli atti ad Equitalia Giustizia S.p.A. per l'avvio della riscossione mediante ruolo, in solido nei confronti dell'impugnante e del difensore.

Riserve critiche alla circolare

Pur apprezzando l'intendo di trovare una soluzione ispirata all'ottica collaborativa tra il personale degli uffici di cancelleria e gli avvocati, occorre sgombrare il campo sulla valenza giuridica e di indirizzo “nomofilattico” della neo Circolare: essa, invero, non può fungere da “interpretazione autentica delle norme oggetto della sua attenzione” in quanto l'interpretazione autentica spetta al legislatore e non all'organo amministrativo, né tantomeno alla fonte di rango subordinato a quella primaria (mentre l'interpretazione delle norme spetta all'autorità giudiziaria).

Ciò posto le criticità in ordine al sentiero interpretativo seguito dalla Circolare si incentrano sulla mancanza di chiarezza nella distinzione tra le copie di atti già presenti nel fascicolo (rilasciate gratuitamente) e le copie necessarie per la formazione del fascicolo dell'impugnazione (soggette a oneri). Una volta che l'atto di impugnazione depositato via PEC entra nel fascicolo processuale, esso, infatti, fa parte di quest'ultimo. Tale circostanza dovrebbe, quindi, escludere il pagamento dei diritti di copia per la parte impugnante ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Senza considerare l'onere sproporzionato posto a carico dei difensori, che si vedono costretti ad anticipare le spese di copia per poi rivalersi sui propri clienti, spesso già in condizioni economiche disagiate.

L'art. 164 disp. att. c.p.p. è ancora in vigore per le impugnazioni via PEC?

Sia consentito alzare lo sguardo in generale su una problematica che riguarda tutte le parti impugnanti, anche quelle non ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

Siamo sicuri che i diritti di copia sono dovuti in caso di impugnazioni depositata tramite PEC?

Com'è noto, l'art. 164 disp. att. c.p.p. è stato espressamente abrogato dall'art. 98, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 150/2022. Se ne ravvisa, tuttavia, l'ultrattività a causa della norma transitoria ex art. 87, comma 6, dello stesso d.lgs. secondo la quale «sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3, ovvero sino al diverso termine previsto dal regolamento di cui al comma 3 per gli uffici giudiziari e le tipologie di atti in esso indicati, continuano ad applicarsi le disposizioni dell'art. 164».

Un primo dato appare, dunque, pacifico: essendo stato emanato il d.m. Giustizia n. 217/2023, in caso di deposito dell'atto di impugnazione tramite portale deposito atti penali, i diritti di copia non sono dovuti essendo intervenuta l'abrogazione dell'art. 164 cit.

Qualora, in questa fase di coesistenza del doppio (rectius triplo) binario (tramite portale, PEC o cartaceo) si depositi in forma analogica o tramite PEC i diritti di copia sarebbero dovuti.

Sia però consentito esprimere forti riserve critiche in caso di impugnazione depositata via PEC vista la sostanziale sua equiparazione alla impugnazione telematica.

E' noto che l'Ufficio Affari a servizio dell'amministrazione della giustizia ha diramato il 16 marzo 2023 una circolare avente ad oggetto il Quesito (Filo Diretto del Dirigente del Tribunale ordinario di Bari) se sia obbligatorio, anche in caso di invio dell'impugnazione tramite PEC, il deposito delle copie previste in base al tipo di impugnazione; in caso di risposta affermativa se, in difetto di deposito delle copie, da parte del difensore, si debba richiedere il pagamento dei diritti di copia e in caso di mancata corresponsione procedere al recupero coattivo.

Si è risposto al primo quesito in senso affermativo, ritenendo che l'art. 164 disp. att. c.p.p. resti applicabile, ai sensi e per gli effetti dell'art. 87, comma 6, d.lgs. n. 150/2022, anche quando l'atto d'impugnazione sia stato trasmesso tramite PEC, così come consentito dal successivo art. 87-bis.

Consequentur, vi è la necessità, di dare risposta positiva anche al secondo quesito. Ed in caso di mancato deposito delle copie prescritte dalla legge, l'ufficio applicherà la disposizione del citato art. 272 d.P.R. n. 115/2002.

Tale lettura del quadro normativo non convince. La circostanza legata al rinvio del deposito telematico dell'impugnazione, estendendo, in via transitoria, fino all'emanazione dei regolamenti del ministero della giustizia, il deposito via PEC anche degli atti di gravame, non fa in ogni caso venir meno la natura di impugnazione telematica, per la quale – restando nella logica e nello spirito della riforma Cartabia – non sarebbero dovuti i diritti di copia.

In conclusione

Il correttivo apportato, successivamente all'art. 87, comma 6, del d.lgs. n. 150/2022, doveva portare a interpretare il complesso impianto normativo – laddove si innestano la proroga di istituti vissuti durante l'esperienza pandemica e adesso prorogati (impugnazione via PEC), l'attesa dei regolamenti attuativi per la disciplina del deposito telematico dell'impugnazione – nel senso che l'ultrattività dell'art. 164 disp. att. c.p.p. (sino al quindicesimo giorno dei regolamenti attuativi di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022, peraltro già emanati) sui diritti di copia dovesse avere valenza limitata al solo caso di presentazione dell'impugnazione mediante deposito degli atti in forma analogica, e non riguardare riguardi anche l'invio telematico dell'impugnazione.

L'error iuris consiste nell'essere rimasti rebus sic stantibus al momento della formulazione originaria dell'art. 87, comma 6, senza aver considerato lo ius novum dell'impugnazione via PEC. In definitiva, quest'ultima diventa una sorta di impugnazione fuori sede, allontanandosi dal traghettamento verso la definitiva e definita impugnazione telematica.

In conclusione, l'obbligo del difensore di depositare le copie dell'impugnazione dovrebbe essere limitato alle sole ipotesi in cui il deposito avvenga in cancelleria e non anche quando l'impugnazione venga inoltrata via PEC.

Diversi argomenti sembrerebbero militare a sostegno di tale tesi:

  1. Se l'impugnazione è depositata via PEC, le cancellerie possono provvedere con il medesimo mezzo (PEC) alle notifiche e agli inoltri alle Autorità Giudiziarie competenti;
  2. L'art. 164 disp. att. c.p.p. è stato pensato per i depositi analogici (non essendo prevista all'epoca di entrata in vigore della norma altra modalità di deposito) e l'ultrattività della norma attuativa dovrebbe, quindi, logicamente riguardare i soli depositi (cartacei) cui la norma si è sempre riferita.
  3. Il c.d. deposito fuori sede è stato abrogato, ove fosse vigente l'obbligo di depositare le copie in cancelleria ne conseguirebbe che il difensore dovrebbe recarsi materialmente presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ovunque essa si trovi (onere che pare davvero eccessivo)

Peraltro, la Suprema Corte, sia pure nel contesto di diversa questione affrontata (la mancata rilevazione della sottoscrizione digitale in formato CADES da parte del programma informatico in dotazione alla cancelleria del giudice al quale è diretto – mediante deposito a mezzo PEC – l'atto d'impugnazione non costituisce causa di inammissibilità di quest'ultimo), ha affermato, in via di  obiter dictum: «Il successivo inoltro di copia con sottoscrizione appare essere stato realizzato su richiesta della cancellaria, per mera cortesia.

Anche l'invio delle copie ulteriori ex art. 164 disp. att. c.p.p., come richiesto dalla cancelleria appare essere un mero, formale, riferimento alla norma, da reputarsi superato dall'inoltro telematico dell'atto». (Cass. pen., sez. V, n. 8158/2023).

La transizione digitale costa, è vero. Ma non può essere pagata (a fortiori in quella delicata fase di passaggio), con le tasche degli avvocati (rectius, dei cittadini, addirittura pure di quelli di fasce deboli, ammessi al patrocinio a spese dello Stato) ma con i fondi del Netx Generation EU, a cui la Riforma Cartabia sulla giustizia (civile e penale) si ispira ed è diretta.

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