L’incentivo all’esodo non è ricompreso nell’indennità di fine rapporto spettante al beneficiario dell’assegno divorzile

09 Aprile 2024

La questione affrontata dalla Suprema Corte con la pronuncia in commento concerne la delimitazione della fattispecie normativa di cui al cit. art. 12-bis l. 898/1978 ed in particolare se la quota dell’indennità di fine rapporto spettante all’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile includa o meno anche l’indennità di incentivo all’esodo.

Massima

La quota dell'indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12-bis l. n. 898/1970 n. 898, introdotto dall'art. 16 l. n. 74/1987, al coniuge titolare dall'assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che, maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; tra esse non è pertanto ricompresa l'indennità di incentivo all'esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro

Il caso

Tizia, beneficiaria dell'assegno divorzile, con atto di citazione notificato il 26.1.2015 ha citato in giudizio l'ex marito Caio rivendicando la quota di spettanza (40%) ex art. 12-bis, l. n. 898/1970 dell'indennità di fine rapporto da quest'ultimo percepita nel 2008 (in forza della cessazione del rapporto di lavoro protrattosi dal 2001 al 2007 con la sua società). Nell'indennità citata erano confluite sia il TFR liquidato (€ 300.630,58) sia le ben più ingenti somme incassate a titolo di incentivo all'esodo (circa 6 milioni di euro netti).

Il Tribunale di Milano ha accolto parzialmente la domanda di Tizia riconoscendole solo la quota di competenza del TFR percepito dall'ex marito.

La sentenza è stata impugnata da entrambi gli ex coniugi dinnanzi alla Corte d'Appello che ha respinto il gravame ritenendo che l'incentivo all'esodo non rientrasse nell'indennità di fine rapporto di cui all'art. 12-bis cit.

Avverso la sentenza della Corte di Appello Tizia ha proposto ricorso per Cassazione fondato su due motivi.

1. Con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 12-bis l. 898/1970 in combinato disposto con gli artt. 2 e 29 Cost. per aver la Corte di merito fornito un'interpretazione limitativa della suddetta norma omettendo di considerare che la stessa deve ritenersi applicabile ad ogni indennità di natura retributiva collegata alla cessazione del rapporto di lavoro e quindi anche all'incentivo all'esodo.

2. Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 12-bis l. n. 898/1970 in combinato disposto con gli artt. 17 e 19 TUIR. La ricorrente ha evidenziato in particolare il fatto che in base al d.P.R. 917/1986 le due indennità (TFR e incentivo all'esodo) sono assoggettate allo stesso regime di tassazione separata e avrebbero, quindi, la medesima funzione.

Caio ha resistito con controricorso e ha spiegato una impugnazione incidentale basata su di un unico mezzo di censura.

Con ordinanza interlocutoria, la prima sezione della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti del procedimento alla Primo Presidente, per valutare la ricorrenza delle condizioni per la rimessione del giudizio alle Sezioni Unite in ragione dell'esistenza di pronunce contrastanti sul tema della spettanza della quota sull'incentivo all'esodo.

Con la sentenza del 7 marzo 2024, n. 6229, le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale insorto definendo il perimetro degli importi che per legge (art. 12-bis, l. n. 898/1970) vanno riconosciuti al coniuge titolare di un assegno divorzile.

La questione

La questione affrontata dalla Suprema Corte con la pronuncia in commento concerne la delimitazione della fattispecie normativa di cui al cit. art. 12-bis l. 898/1978 ed in particolare se la quota dell’indennità di fine rapporto spettante all’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile in forza della suddetta norma includa o meno anche l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.

Le soluzioni giuridiche

1) L'art. 12-bis della legge sul divorzio e il trattamento di fine rapporto

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte muove preliminarmente dall'analisi dell'istituto previsto dall'art. 12-bis, l. n. 898/1970 il quale prescrive, al primo comma, che “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'

art. 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza”.

Il secondo comma dello stesso articolo precisa, poi, che “tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.

Tale norma prevede, dunque, la possibilità per il coniuge beneficiario dell'assegno divorzile di ricevere una quota dell'indennità di fine rapporto maturata dal coniuge obbligato al pagamento.

Non si tratta di un diritto incondizionato venendo riconosciuto lo stesso solo in presenza congiunta di alcuni presupposti, positivi e negativi.

a) deve essere intervenuta una sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio;

b) l'ex coniuge che richiede il TFR deve essere titolare dell'assegno divorzile;

c) il coniuge divorziato richiedente il TFR non deve essere passato a nuove nozze.

Solo, quindi, in presenza di tutti i presupposti menzionati sorgerà il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge.

Si precisa che il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è una componente della retribuzione del lavoratore dipendente la cui corresponsione è differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro, salva la richiesta di anticipazioni in circostanze particolari.

L'importo complessivo del TFR è il risultato dell'accantonamento di una quota della retribuzione annua ed è soggetta a rivalutazione e tassazione specifica.

Il diritto del lavoratore al TFR sorge allo scioglimento del rapporto di lavoro, a prescindere dalla causa che l'ha determinato (recesso, termine finale del contratto, morte del lavoratore ecc.).

I Giudici di legittimità nella sentenza in commento evidenziano che al TFR è riconosciuta la natura di “retribuzione differita” (Cfr. Cass. 164/2016; Cass. 11479/2013).

Il calcolo del TFR è disciplinato dall'art. 2120 c.c. che prevede che il TFR “si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni”.

2) La ratio della disciplina

La Suprema Corte nella sentenza in commento chiarisce, altresì, che il fondamento del diritto dell'ex coniuge al percepimento di una quota dell'indennità di fine rapporto è lo stesso su cui poggia il riconoscimento dell'assegno divorzile.

L'attribuzione patrimoniale, evidenziano i Giudici di legittimità, risponde alle finalità assistenziale e perequativo-compensativa.

Alla base della disposizione normativa si rinvengono, quindi, sia profili assistenzialistici, evidenziati dal fatto che la disposizione stessa presuppone la spettanza dell'assegno divorzile, sia, soprattutto, criteri di carattere compensativo, rapportati al contributo personale ed economico dato dall'ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune.

La ratio dell'art. 12-bis, comma 1, l. n. 898/1970, è quella di correlare il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto alla percezione dell'assegno divorzile (tra le tante, v. Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2011, n. 12175; Cass. n. 35308 del 18 dicembre 2023)

La finalità, in sintesi, è quella di attuare una partecipazione, seppure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi, finché il matrimonio è durato.

Nella sentenza in commento i Giudici di Legittimità avvallano infatti il rilievo del Pubblico Ministero per cui il TFR sarebbe “un indice del livello reddituale raggiunto dall'ex coniuge sicchè, ove tale livello reddituale dipenda anche dal sacrificio individuale dell'altro coniuge, non vi sarebbe ragione di non considerarlo quale fonte di una provvidenza a favore di quest'ultimo.

In ordine al momento in cui nasce il diritto all'ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante all'ex coniuge è consolidata l'opinione della giurisprudenza, secondo la quale tale diritto sorge e può̀ essere azionato quando cessa il rapporto di lavoro (v. tra le tante Cass. civ., sez. lav., 6 febbraio 2018, n. 2827 e Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 2020, n. 5376; cfr. Cass. civ., sez. I, 12 novembre 2021, n. 34050).

In sintesi, insieme al diritto del lavoratore a tale trattamento, sorge anche il diritto dell'ex coniuge a percepire una sua quota, in presenza degli altri presupposti dall'art. 12-bis l. n. 898/1970 e il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto, che matura con l'insorgenza del diritto a tale trattamento da parte dell'altro coniuge, diviene esigibile quando quest'ultimo percepisce il relativo trattamento (cfr. Cass. civ., sez. I, 14 novembre 2008, n. 27233 e Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5719).

Non è, però, necessario che l'importo su cui calcolare la quota di spettanza sia già incassato al momento della proposizione della relativa domanda, essendo sufficiente che sia esistente al momento della decisione (Cass. civ. 24403/2022). Occorre tuttavia che la percezione del TFR da parte dell'ex coniuge intervenga dopo la proposizione della domanda di divorzio.

Se l'indennità di fine rapporto di lavoro corrisponde ad una quota del trattamento economico maturata in costanza del matrimonio, è logico che il coniuge, il quale durante il matrimonio abbia contribuito alla formazione di tale trattamento sia legittimato a fruirne per una quota parte.

Questi spunti ricostruttivi della ratio della norma sono stati avvallati dalla giurisprudenza (Cass. civ. sez. VI - 1, 22 marzo 2018, n. 7239; Cass. civ. sez. VI, I, 22 maggio 2017, n. 12882; Cass. civ. sez. VI - 1, 9 settembre 2016, n. 17883; Cass. civ. sez. I, 7 marzo 2006, n. 4867; Cass. civ. sez. I, 30 dicembre 2005, n. 28874; Cass. civ. sez. I, 29 settembre 2005, n. 19046; Cass. civ. sez. I, 10 gennaio 2005, n. 285; Cass., sez. I, 25 giugno 2003, n. 10075).

3) Le attribuzioni patrimoniali ricomprese nell'indennità di fine rapporto ex art. 12-bis l. 898/1970.

Un'altra questione affrontata dalla Suprema Corte concerne il campo di applicazione della norma di cui all'art. 12-bis l. 898/1970.

I Giudici di legittimità evidenziano che l'istituto si applica a tutte quelle indennità, comunque denominate, che maturano alla data di cessazione del rapporto lavorativo e che sono determinate in misura proporzionale alla durata del rapporto di lavoro e all'entità della retribuzione corrisposta, qualificandosi come quota differita della retribuzione condizionata sospensivamente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro (Cass. 17 dicembre 2003, n. 19309, cit.; cfr. pure Cass. 11 aprile 2003, n. 5720).

Quindi l'indennità di fine rapporto comprende, secondo questo primo orientamento, tutti i trattamenti di fine rapporto – derivanti sia da lavoro subordinato, sia da lavoro parasubordinato – comunque denominati, che siano configurabili come quota differita della retribuzione, condizionata sospensivamente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro (Cass. civ. sez. I, 17 dicembre 2003, n. 19309).

La sentenza in commento individua altresì quale sia il criterio da utilizzare per stabilire se l'attribuzione a favore del lavoratore rientri o meno fra le indennità di fine rapporto contemplate dall'art. 12-bis.

A giudizio della Suprema Corte ciò che è determinante è il correlarsi dell'attribuzione all'incremento patrimoniale prodotto, nel corso del rapporto, dal lavoro del coniuge che si è giovato del contributo indiretto dell'altro (Cfr. Cass. n. 28874/2005).

4) I dubbi sull'inclusione dell'incentivo all'esodo nell'espressione “indennità di fine rapporto”. Orientamenti a confronto.

Una questione a lungo dibattuta in giurisprudenza riguardava la possibilità di assoggettare alla disciplina di cui all'art. 12-bis della legge sul divorzio anche quelle somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (c.d. incentivi all'esodo).

L'incentivo all'esodo è una somma di denaro che il datore di lavoro può corrispondere al dipendente in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro (rappresenta una cifra ulteriore rispetto alle spettanze stabilite per legge).

Si tratta, in altre parole, di una spettanza di fine rapporto non obbligatoria e aggiuntiva rispetto a quanto sopra indicato, che il datore di lavoro può decidere di pagare, in accordo con il lavoratore, al fine di accompagnarne l'uscita dal posto di lavoro ed attuare le proprie politiche di turn over o riduzione del personale nella maniera più indolore possibile.

Riguardo l'assoggettabilità di tale somma alla normativa di cui all'art. 12-bis la giurisprudenza è stata a lungo divisa.

a) da una parte, era stata riconosciuta la concreta possibilità di far rientrare nell'indennità di fine rapporto l'incentivo all'esodo, in ragione del fatto che le somme corrisposte a tale titolo non avrebbero natura né liberale né eccezionale, costituendo, piuttosto, reddito di lavoro dipendente; essendo predeterminate al fine di sollecitare e rimunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto (Cass. civ. sez. V, 31 maggio 2013, n. 13777 e Cass. civ. sez. V, 24 luglio 2013, n. 17986; Cass. civ. sez. VI – 1, 12 luglio 2016, n. 14171).

Principio questo basato soprattutto sulle indicazioni della giurisprudenza tributaria (Sent. n.16125/2006 che ha ritenuto “assimilabili” quanto a tassazione l'incentivo all'esodo e il Tfr chiarendo in particolar modo che l'incentivo all'esodo non può essere considerato un'erogazione liberale ed eccezionale (a cui l'art. 51, comma 2, TUIR riconosce un regime fiscale più favorevole) ma deve essere integralmente soggetto ad IRPEF (con la stessa aliquota applicata alla tassazione del TFR) in base al criterio della tassazione separata (Risoluzione A.E. 06 agosto 2007 n.208).

b) dall'altra parte, vi era un altro orientamento (Cass. civ., 17 aprile 1997, n. 3294) che escludeva la possibilità per il coniuge divorziato di rivendicare una quota di eventuali importi erogati, in occasione dalla cessazione del rapporto di lavoro dell'ex coniuge, ma ad altro titolo (nella specie a titolo di incentivo all'anticipato collocamento in quiescenza).

Ciò in quanto l'incentivo all'esodo avrebbe natura sostanzialmente “risarcitoria”. Esso è erogato nell'ambito di una trattativa tra lavoratore e datore di lavoro finalizzata allo scioglimento del rapporto di lavoro e a differenza del TFR non è costituito da somme accantonate durante il pregresso periodo lavorativo “coincidente con il matrimonio” bensì va a sostituire un (mancato) reddito lavorativo futuro (Cfr. anche Tribunale Milano, 18 maggio 2017).

5) La risoluzione del contrasto. Il principio elaborato dalle Corte di Cassazione a Sezioni Unite.

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione si è pronunciata sul contrasto, stabilendo che l'indennità di fine rapporto spettante al coniuge titolare dell'assegno divorzile, secondo l'articolo 12-bis l. n. 898/1970, riguarda solo le indennità determinate in proporzione alla durata del rapporto di lavoro e all'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore, escludendo quindi l'indennità di incentivo all'esodo dal novero delle indennità divisibili in quanto non assimilabile a retribuzione differita.

Partendo dal presupposto secondo il quale l'indennità di incentivo all'esodo è estranea alla nozione di indennità di fine rapporto in quanto non costituisce una retribuzione differita, i Giudici hanno escluso il diritto del coniuge beneficiario dell'assegno di divorzio all'ottenimento di questa indennità.

Per la Suprema Corte l'incentivo all'esodo non è, infatti, legato ad entità economiche accumulate durante il matrimonio e diventate esigibili al termine del rapporto lavorativo trattandosi di un beneficio derivante da un accordo successivo con cui si compensa il coniuge lavoratore per aver acconsentito alla risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.

L'indennità di incentivo all'esodo non può quindi rientrare nel concetto di indennità di fine rapporto e non può ritenersi soggetta alla stessa logica redistributiva e compensativa prevista per le indennità legate al lavoro svolto durante il matrimonio.

Nella sentenza in commento, le SS.UU. osservano altresì che, seppure l'indennità incentivante all'esodo sia “definita attraverso lo stesso elemento predicativo che connota, sul piano lessicale, il trattamento di fine rapporto”, la disciplina di favore di cui all'art. 12-bis citato non si riferisce a tutte le prestazioni cui il lavoratore ha diritto in dipendenza della cessazione del contratto, ma solo a quelle che obbediscono alla medesima logica (retributiva) cui risponde il trattamento di fine rapporto.

Per tale ragione, nel caso in cui il diritto all'incentivo all'esodo maturi dopo la presentazione della domanda di divorzio, non spetta nulla all'avente diritto all'assegno, poiché l'indennità in questione è destinata a operare nel futuro e non nel passato.

Per i Giudici di legittimità, inoltre, la disciplina fiscale dell'indennità rappresenta un elemento giuridicamente neutro.

Osservazioni

La pronuncia in commento risulta essere certamente significativa avendo il pregio da una parte di contribuire a stabilire criteri più precisi per la per la tutela dei diritti economici dei coniugi, assicurando una maggiore prevedibilità e equità nelle decisioni giudiziarie dall'altra di delimitare correttamente il campo di applicazione dell'art. 12-bis l. 898/1970 evitando la distorsione del significato normativo delle disposizioni vigenti da parte degli operatori del diritto.

La sentenza della Suprema Corte ha infatti ben definito il perimetro degli importi che per legge vanno riconosciuti al coniuge titolare di un assegno divorzile quale “quota di trattamento di fine rapporto” dell'altro coniuge analizzando dettagliatamente la natura e le finalità dell'incentivo all'esodo.

Il ragionamento logico-giuridico della Suprema Corte pare ineccepibile perché perfettamente aderente a quella che è la ratio della disposizione normativa (art. 12-bis l. 898/1970).

L'esigenza di assicurare, in chiave assistenziale e perequativo-compensativa, una ripartizione dei redditi maturati nel corso del matrimonio non ricorre in caso di riconoscimento dell'incentivo all'esodo, proprio in quanto non si è in presenza di proventi accantonati nel corso della vita coniugale e divenuti esigibili al cessare del rapporto lavorativo.

Si è invece al cospetto di un'attribuzione patrimoniale discendente da un sopravvenuto accordo con cui si remunera il coniuge lavoratore per il prestato consenso all'anticipato scioglimento del rapporto di lavoro.

Pare, quindi, corretto escludere qualsivoglia pretesa dell'ex coniuge titolare di assegno divorzile su detta attribuzione.