È consumatore chi frequenta un corso di formazione "professionalizzante"?

La Redazione
12 Aprile 2024

La partecipazione a un corso di formazione professionale è sufficiente per classificare il partecipante come "professionista"? Oppure il partecipante, essendo ancora un consumatore, ha ancora diritto alle tutele previste dal Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005)? I chiarimenti della Cassazione.

È «professionista» chi, nel momento in cui stipula un contratto, esercita la professione ed agisce per finalità a questa inerenti. 

Di conseguenza, non è tale chiunque aspiri ad una professione, che in quel momento, tuttavia, non esercita ancora, non avendone la qualifica.

È il caso, ad esempio, di chi frequenta un corso di formazione c.d. professionalizzante: tale soggetto è ancora un «consumatore» e ha dunque diritto alla tutela prevista dal D.Lgs. 206/2005 (c.d. codice del consumo)

È la stessa legge, del resto, a definire «consumatore» la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o commerciale eventualmente svolta (art. 3 D.Lgs. n. 206/2005).

Nel caso concreto una donna aveva sottoscritto un contratto con una società per frequentare un corso di formazione professionale per acquisire la qualifica di estetista. Il pagamento del corso doveva avvenire in 12 rate, ma la donna ne aveva pagate soltanto 4. La società organizzatrice agiva così davanti al Giudice di Pace al fine di ottenere il pagamento del saldo del prezzo. In sede di giudizio, la donna eccepiva:

  • la  vessatorietà delle clausole  del contratto, in modo particolare di quelle che consentivano il recesso ad libitum alla controparte, ma non a lei, e che comunque prevedevano l'obbligo di pagare le rate residue a prescindere dalla causa del recesso. Peraltro, tali clausole non erano state sottoscritte specificamente, ma in blocco;
  • l'impossibilità sopravvenuta di fruire della prestazione, essendo emersa l'esigenza di accudire il figlio.

il Giudice di Pace respingeva la domanda della società, ritenendo fondate le eccezioni formulate dalla convenuta.

La società ricorreva in appello davanti al Tribunale, il quale escludeva sia che la donna potesse avere agito in qualità di consumatrice sia la vessatorietà delle clausole sia la rilevanza dell'impedimento ai fini della risoluzione del contratto.

La donna ricorreva così in Cassazione, lamentando, tra i motivi, la violazione dell' art. 3 D.Lgs 206/2005, in quanto il giudice di merito aveva escluso che la stessa avesse agito in qualità di consumatore: ciò sul presupposto che il contratto fosse stato stipulato per esigenze di tipo professionale, da un soggetto che, sebbene non fosse ancora professionista, mirava tuttavia a diventarlo. La ricorrente obiettava, però, che nel momento in cui il contratto era stato stipulato lei non aveva una professione e non poteva, pertanto, ritenersi che avesse agito in qualità di professionista.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso rilevando che la donna non aveva stipulato il contratto nell'esercizio della sua professione, o per scopi inerenti all'attività professionale svolta, bensì allo scopo di acquisire una professione, ossia di diventare professionista in futuro, mentre in quel momento non lo era.

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