Ricorso telematico per Cassazione: nullità in assenza della firma digitale

11 Aprile 2024

In tema di giudizio per Cassazione, in caso di ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico privo di firma digitale, la notificazione in via telematica di tale ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il deposito della copia di esso in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato, rappresentano elementi univoci da cui desumere la paternità dell’atto, rimanendo così superato l’eccepito vizio in ordine alla mancata sottoscrizione digitale dell’originale informatico del ricorso.

Massima

In tema di giudizio per Cassazione, laddove venga in rilievo la realtà ‘ibrida' del processo civile telematico di legittimità (attesa la facoltatività, dal 31 marzo 2021 fino al 1° gennaio 2023, del deposito telematico a valore legale degli atti di parte nel giudizio di Cassazione), il ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica deve essere ritualmente sottoscritto con firma digitale, potendo la mancata sottoscrizione determinare la nullità dell'atto stesso, fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo.

Il caso

L'Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, resa pubblica in data 25 giugno 2019, che, in riforma della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone del 7 novembre 2017, ha annullato l'avviso di accertamento emesso nei confronti della società resistente che, a sua volta, con il controricorso, oltre ad argomentare sull'infondatezza dell'impugnazione, ne ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità per “inesistenza” del ricorso, redatto in originale informatico, in quanto privo di sottoscrizione digitale del difensore.

La Sezione Tributaria della Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria n. 16454/2023, reputando sussistente una questione di massima di particolare importanza in ordine al vizio ravvisabile nel ricorso per Cassazione nativo digitale privo della firma digitale del difensore (nella specie, dell'avvocato dello Stato il cui nominativo è indicato in calce al ricorso stesso), ha trasmesso gli atti al Primo Presidente ai sensi dell'art. 374 c.p.c., il quale ha assegnato la causa alle Sezioni Unite.

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite hanno dichiarato ammissibile il ricorso spiegato dall'Agenzia delle Entrate e ne hanno rimesso il relativo esame alla Sezione Tributaria.

La questione

La Sezione V della Cassazione, con l'Ordinanza interlocutoria n. 16454 depositata il 9 giugno 2023, ha rimesso nuovamente alle Sezioni Unite la questione del ricorso nativo digitale privo della firma digitale dell'avvocato, il cui nominativo è riportato in calce al ricorso; in ordine a tale questione in una più risalente pronuncia (Cass. n. 14338/2017) la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «l'atto introduttivo del giudizio – ma anche l'atto di impugnazione – redatto in formato elettronico e privo di firma digitale è nullo, poiché detta firma è equiparata dal d.lgs. n. 82/2005 alla sottoscrizione autografa, che costituisce, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., requisito di validità dell'atto introduttivo in formato analogico» ed in seguito sono intervenute le Sezioni Unite, con la sentenza n. 22438/2018, affermando che «in tema di giudizio per Cassazione, in caso di ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica, l'atto nativo digitale notificato deve essere ritualmente sottoscritto con firma digitale, potendo la mancata sottoscrizione determinare la nullità dell'atto stesso, fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo».

La questione viene nuovamente rimessa dall'ordinanza in questione alle Sezioni Unite, sulla scorta del rilievo che nella pronuncia da ultimo citata il vizio viene ricondotto nella categoria della nullità, con conseguente applicabilità del principio di raggiungimento dello scopo e dunque di una sanatoria per la violazione, mentre la giurisprudenza successiva riconduce il vizio ad un deficit strutturale dell'atto e quindi alla sua inesistenza (Cass., n. 3379/2019); viene inoltre richiamato il principio di non discriminazione del documento informatico, che tuttavia finirebbe per avere una portata superiore rispetto al documento analogico al punto da sopperire l'assenza della sottoscrizione, pur dovendo avere invece pari dignità di una copia analogica, e viene altresì sottolineato che difficilmente la paternità del ricorso può desumersi aliunde dalle “proprietà” del documento stesso o «dall'utilizzo di una casella PEC inequivocabilmente riferibile all'avvocato che avrebbe apparentemente redatto il ricorso, non potendosi, in quest'ultima ipotesi, «comunque escludersi un accesso alla medesima casella PEC del mittente da parte di soggetto diverso dal suo titolare”, là dove, poi,  «è solo l'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale a determinare la presunzione (relativa) di riconducibilità della stessa al suo titolare, ex art. 20, comma 1-ter, del CAD, non anche l'uso della casella PEC del mittente, per quanto ovviamente personale».

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia in commento le Sezioni Unite, prendendo le mosse dalla peculiarità della situazione processuale ‘ibrida' in cui è originato il ricorso (che risulta depositato nel lasso di tempo, compreso tra il 31 marzo 2021 ed il 1° gennaio 2023, in cui era facoltativo il deposito telematico a valore legale degli atti di parte nel giudizio di cassazione) e ponendosi in continuità con l'indirizzo già sostenuto da Cass., sez. un., n. 22438/2018 (in cui si è affermata, alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale, cui si raccorda quello di strumentalità delle forme processuali, la possibilità di desumere aliunde, da elementi qualificanti, la paternità certa dell'atto processuale), hanno ritenuto che la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell'Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il deposito della copia di esso in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall'avvocato dello Stato, rappresentano elementi univoci da cui desumere la paternità dell'atto; a tale approdo le Sezioni Unite giungono in considerazione del carattere impersonale della difesa dell'Avvocatura dello Stato - da cui consegue che gli avvocati dello Stato siano pienamente fungibili nel compimento di atti processuali relativi ad un medesimo giudizio, per cui l'atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l'atto, (tra le altre: Cass., n. 4950/2012; Cass., n. 13627/2018) -, e del fatto che la presenza dell'attestazione di conformità sottoscritta dall'avvocato dello Stato, palesando in maniera certa la riferibilità dell'atto al suo autore, esprime la paternità certa dell'atto, proveniente dall'Avvocatura generale dello Stato, in modo da sanare la carenza di sottoscrizione digitale del ricorso.

A ben vedere la pronuncia in commento, se da un lato ribadisce il principio per cui la mancata apposizione della firma al ricorso nativo digitale costituisce un vizio che determina la nullità dell'atto solo quando non sia possibile aliunde ascriverne la paternità certa al suo apparente autore, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo, dall'altro lato, tuttavia, evidenzia che l'assenza di sottoscrizione può essere sanata solo in presenza di elementi sicuri, qualificanti, che consentano di avere comunque certezza su chi sia l'autore dell'atto non firmato; se, pertanto, la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (tra le altre: Cass., n. 4078/1986; Cass., n. 6225/2005; Cass., n. 9490/2007; Cass., n. 1275/2011; Cass., n. 19434/2019; Cass., n. 32176/2022) ovvero, nel caso dell'atto proveniente dall'Avvocatura dello stato, l'invio dell'atto dalla casella p.e.c. dell'Avvocatura unita all'attestazione di conformità all'originale della copia analogica depositata in giudizio regolarmente sottoscritta dall'avvocato dello Stato, costituiscono elementi qualificanti, da cui poter desumere con certezza la paternità dell'atto non firmato.

Alla medesima conclusione non potrebbe ad esempio necessariamente giungersi nel caso in cui il ricorso privo di sottoscrizione provenga dalla casella PEC dell'avvocato che avrebbe apparentemente redatto il ricorso, in difetto di ulteriori elementi che consentano di riferire con certezza l'atto al suo autore, non potendosi, in quest'ultima ipotesi, comunque escludersi un accesso alla medesima casella PEC del mittente da parte di soggetto diverso dal suo titolare. 

Osservazioni

Le Sezioni Unite (Cass., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22438; Cass., sez. VI-3, 8 giugno 2017, n. 14338) hanno già da tempo chiarito che, se a norma dell'art. 12 decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all'art. 34 d.m. n. 44/2011, in conformità agli standard previsti dal Regolamento (UE) n. 910/2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506/2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, in ogni caso l'atto introduttivo del giudizio redatto in formato elettronico deve essere sottoscritto con almeno uno dei due tipi di firma digitale, essendo in difetto radicalmente nullo, poiché detta firma è equiparata dal CAD alla sottoscrizione autografa, che costituisce, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., requisito di validità dell'atto introduttivo redatto in formato analogico; nelle pronunce richiamate – al pari di quella in commento – si è tuttavia sottolineato che la mancanza di sottoscrizione digitale del ricorso nativo digitale notificato (ossia, del documento informatico originale) determina la nullità dell'atto, salvo che non sia possibile aliunde ascriverne la paternità certa, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo e del principio cardine di strumentalità delle forme” degli atti del processo, stabilite dalla legge in quanto strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come il traguardo che la norma disciplinante la forma dell'atto intende conseguire (tra le molte: Cass., n. 9772/2016; Cass., sez. un. , n. 14916/2016; Cass., sez. un., n. 10937/2017; Cass., n. 8873/2020; Cass., n. 31085/2022; Cass., n. 14692/2023).

Per quanto riguarda invece la giurisprudenza amministrativa, va evidenziato che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (21 aprile 2022, n. 6) ha qualificato alla stregua di mera irregolarità, sanabile ai sensi dell'art. 44, comma 2, c.p.a, il vizio del ricorso nativo digitale notificato privo di firma digitale, (ogni qual volta ne sia comunque certa l'attribuibilità ad un soggetto determinato), affermando altresì che, a fronte del mancato deposito del ricorso notificato e della tempestiva (ri)notificazione dello stesso, ancor prima che il giudice ordini la rinnovazione della notifica, non può parlarsi di c.d. consumazione del potere di impugnazione.

Parimenti, nell'ipotesi di ricorso redatto in modalità cartacea e sottoscritto con firma autografa del difensore e parimenti notificato alla parte appellata, la giurisprudenza amministrativa, partendo dal rilievo che né l'art. 136 c.p.a. citato né le specifiche tecniche contemplano una sanzione espressa in caso di mancata osservanza delle formalità ivi espressamente previste, ha già da tempo ritenuto il medesimo meramente irregolare e non inesistente o nullo, giacché - pur non essendo conforme alle regole di redazione dell'art. 136, comma 2-bis, Cod. proc. amm. e dall'art. 9, comma 1, d.P.C.S. 28 luglio 2021 - non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (art. 156, comma 1, c.p.c.) e ha comunque raggiunto il suo scopo tipico (art. 156, comma 3, c.p.c.): dal che consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione, benché sia avvenuta la costituzione in giudizio della parte cui l'atto era indirizzato (cfr. TAR Lazio, sez. III, 20 settembre 2023, n. 13914; Cons. Stato, sez. V, ord. 4 gennaio 2018, n. 56; Cons. Stato, sez. V, ord. 24 novembre 2017, n. 5490; Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 2017, n. 1541).

Diverso il discorso con riguardo alla procura speciale, la cui sottoscrizione per autentica pure è stata ritenuta uno degli indici da cui desumere aliunde la paternità del ricorso privo di firma digitale; va al riguardo richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa che ha anche di recente sottolineato che, nel caso in cui il ricorso non reca alcuna sottoscrizione del difensore, per il quale non è allegata la procura, né con firma digitale, ai sensi dell'art. 136, comma 2-bis, d.lgs. n. 104/2010, né con firma autografa, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile (Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2023, n. 692; Cons. Stato, sez. II, n. 9611/2022); più in generale, la giurisprudenza amministrativa ha osservato che la procura, in quanto atto proveniente dalla parte personalmente e non dal difensore, può essere redatta in formato cartaceo, come del resto consentito dall'art. 8, comma 2, All. 1 DPCS, rilevando soltanto, ai fini della regolarità, che, al momento del deposito, da effettuare in formato digitale, il difensore compia l'asseverazione dell'art. 22, comma 2, d.lgs. n. 82 del 2005 (cfr. Cons. Stato, sez. V ord. 24 novembre 2017, n. 5490).

Peraltro, proprio con particolare riferimento al tema dell'asseverazione degli atti che costituiscono copia informatica di un documento nativo digitale, si sono registrate anche di recente pronunce di diverso tenore nell'ambito della giurisprudenza amministrativa.

L'orientamento generale ritiene che tutte le volte in cui sia consentito (come ad esempio per la procura alle liti ai sensi dell'art. 8, comma 2, All. 1 DPCS) il deposito telematico della copia per immagine su supporto informatico di un documento nativo analogico, compiendo l'asseverazione prevista dall'art. 22, comma 2, del CAD con l'inserimento della relativa dichiarazione nel medesimo o in un distinto documento sottoscritto con firma digitale, ove tale asseverazione manchi, o non riguardi specificamente tutti i documenti in cui è necessaria, tale mancanza – al pari dell'ipotesi in cui un documento nativo digitale venga depositato con un formato diverso da quelli previsti nel DPCS (e sempre che il diverso formato non sia richiesto da specifiche disposizioni normative) – si concreta una mera irregolarità che non determina di per sé alcuna inammissibilità, ferma l'esigenza di regolarizzazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4286/2017; TAR Campania, sez. III , 4 ottobre 2021, n. 6195), da effettuarsi entro il termine perentorio all'uopo assegnato, con la comminatoria della declaratoria di irricevibilità del ricorso in caso mancata osservanza del termine stesso (cfr. TAR Basilicata, 3 agosto 2020, n. 527; Cons. Stato, sez. III, 11 settembre 2017, n. 4286).

Tuttavia, non sono mancate anche di recente talune pronunce che hanno addirittura dichiarato inammissibile un ricorso a cagione della mancata asseverazione dei documenti allo stesso allegati (cfr. TAR Lazio, sez. II-ter, 16 marzo 2022, n. 2998; Id., 7 febbraio 2022, n. 1415), mentre in altre si è invece all'opposto ritenuto che la firma digitale sul modulo di deposito si estende a tutti gli atti processuali allegati, con conseguente validità della costituzione in giudizio della parte, nonostante la mancata sottoscrizione con firma digitale del controricorso proposto (TAR Lazio, sez. II, 1 marzo 2021, n. 2423).

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala:

F. Pistolesi, Il processo tirbutario, Torino, 2023.

E. Manoni, Processo tributario telematico, vizi degli atti processuali: le oscillazioni giurisprudenziali, in Dir. prat. trib., 2022, n. 4, 1484 ss.

G.G. Poli, La nuova improcedibilità del ricorso per cassazione, nella “terra di mezzo" tra telematico e analogico, in Il giusto processo civile, 2019, n. 2, 441 ss.

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