Revoca del consenso con effetto impeditivo all’adozione di persona maggiorenne e assenza di discrezionale apprezzamento del Giudice

Samantha Luongo
12 Aprile 2024

La revoca del consenso all’adozione manifestata prima della pronuncia del Tribunale e non anche prima della pronuncia della Corte d’Appello in sede di reclamo è impeditiva all’adozione di persona maggiorenne?

Massima

In materia di adozione di persona maggiorenne, deve essere verificato il persistere del consenso all’adozione, dal momento in cui la revoca del consenso all’adozione può avvenire, con effetto impeditivo dell’adozione stessa, solo ove sia manifestata prima dell’emanazione del decreto del Tribunale essendo esso costitutivo dello status, con la conseguenza che è irrilevante la revoca del consenso intervenuta dopo tale pronuncia.

Il caso

La Corte d'Appello di Milano, in riforma della sentenza n. 33/2022 del Tribunale di Milano, dichiarava l'adozione da parte di B.P., noto fondatore di una casa di moda, della pronipote F.M., ordinando al contempo all'Ufficiale di Stato civile del Comune di Salerno di provvedere all'annotazione a margine dell'atto di nascita dell'adottata. La Corte d'appello ancorava la propria decisione su fatti sopravvenuti, ovvero il venir meno della condizione ostativa all'adozione i.e. il dissenso del coniuge dell'adottante, F.M., in virtù, nelle more del reclamo, dell'intervenuta separazione consensuale tra B.P. e la moglie F.M.. Altresì non considerava significativa l'asserita incapacità di B.P. in quanto priva di prova e confutata proprio dall'accordo di separazione. Avverso tale pronuncia, il coniuge dell'adottante, F.M. interponeva gravame affidandosi ad otto motivi. La Corte di Cassazione cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa  alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione,  ritenendo fondati i primi due motivi e segnatamente; 1) la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4  c.p.c., in relazione agli artt. 296,298,311,312 e 2909 c.c. e artt. 101, 102, 331, 737, 738, 739, 742-bis c.p.c. per non avere la Corte d'Appello considerato come parte del giudizio anche l'adottanda; 2) violazione e falsa applicazione ex art. 360, n. 3, c.p.c. degli art. 296,298,311,312, e 313 c.c. per non avere la Corte d'appello verificato la perdurante volontà dell'adottante e dell'adottato all'adozione. 

La questione

La questione in esame è la seguente: la revoca del consenso all’adozione manifestata prima della pronuncia del Tribunale e non anche prima della pronuncia della Corte d’Appello in sede di reclamo è impeditiva all’adozione di persona maggiorenne? Può un atto dispositivo della parte porre nel nulla il provvedimento del Tribunale? In limine al Giudice è attribuito un discrezionale apprezzamento dell’interesse della persona dell’adottando?

Le soluzioni giuridiche

La domanda di adozione proposta da B.P. in primo grado, veniva respinta in quanto mancava l'impreteribile consenso del coniuge dell'adottante, B.P., ancora non legalmente separata. Invero l'art. 296 c.c. prevede che per procedere all'adozione di persona maggiorenne occorre, oltre al consenso dell'adottante e dell'adottando, soggetti tra i quali si costituisce il rapporto adottivo, l'assenso dei genitori dell'adottando, del coniuge dell'adottante e di quello dell'adottando non separati legalmente, nonché dei figli maggiorenni dell'adottante, quali soggetti che subiscono rilevanti ripercussioni di status, proprio in seguito all'adozione. Nel caso di specie il Tribunale si conforma alla visione secondo cui i consensi e gli assensi, non sono altro che meri presupposti dell'adozione, che è un vero e proprio atto giudiziale. In virtù dell'intervento del giudice sul presupposto del consenso delle parti si costituisce il rapporto di adozione con cui si attribuisce all'adottato uno status, assimilabile anche se non identico a quello di figlio legittimo, creando un rapporto di stretta parentela inesistente in natura. Si tratta quindi di un atto giurisdizionale e non amministrativo, proprio perché attributivo di diritti e di doveri e non invece una mera ricezione della volontà delle parti. In mancanza dell'esistenza dei consensi e l'adempimento delle condizioni di legge oltre alla convenienza per l'adottando, il Tribunale dichiara di non far luogo all'adozione, come previsto dall'art. 313 c.c.Dopo la conclusione del procedimento i consensi non avranno più alcuna autonoma rilevanza, ma bisognerà considerare solo ed esclusivamente la sentenza di adozione. Ne consegue che non potrà impugnarsi il consenso, in quanto semplice presupposto dell'adozione, ma l'atto giudiziale, ossia il provvedimento di adozione, assumendo rilevanza la sua nullità per mancanza o irregolarità di un presupposto.

Altresì va considerato che, finché il decreto di adozione non viene emanato, tanto l'adottante quanto l'adottando possono revocare il loro consenso. In sostanza si vuole che la volontà di adottare e di essere adottati sussista fino al momento della pronuncia, per cui una volta che i consensi siano stati espressi si presume che permangano sino alla pronuncia, non ricadendo nei doveri del giudice quello di effettuare ulteriori e successivi controlli, ma rimettendo alle stesse parti interessate di comunicare l'eventuale revoca. Nondimeno va evidenziato che la revoca del consenso deve essere espressa prima della pronuncia del Tribunale e non anche prima della pronuncia della Corte d'appello in sede di reclamo, anche se tale sentenza è ancora suscettibile di impugnazione, essendo tale fase eventuale e non consentito che un atto dispositivo della parte annulli un provvedimento del Tribunale. Nel caso che ci occupa, la Corte d'appello in sede di reclamo riforma la sentenza del giudice di prime cure in quanto ritiene ammissibile il fatto sopravvenuto (la separazione dei coniugi), che seppure inesistente al momento della proposizione della domanda si verifica prima della decisione, qualificandolo correttamente come una mera condizione dell'adozione. A ben vedere, il giudice del gravame come censurato dalla Cassazione omette di considerare che venuta meno la condizione ostativa, pur avendo il Tribunale negato l'adozione e quindi in assenza di una pronuncia costitutiva, doveva essere integrato il contraddittorio nei confronti dell'adottanda B.A. non evocata in giudizio essendo ugualmente parte necessaria nel procedimento di adozione.  

Osservazioni

Il legislatore del 1983 qualifica in senso decisamente patrimoniale la funzione dell'adozione dei maggiori di età, la quale pare sia volta a realizzare tanto l'interesse economico e morale dell'adottando, quanto e soprattutto quello dell'adottante alla perpetuazione della discendenza, in assenza di una filiazione biologica.

Da questo punto di vista l'adozione dei maggiori di età si rivela antitetica rispetto a quella dei minori finalizzata a dare una nuova famiglia al minore.

Ciò non significa che l'adozione dei maggiori di età non possa realizzare occasionalmente, finalità di tipo solidaristico, come l'assistenza ad adulti privi di famiglia o la tutela di soggetti fragili sul piano economico e psico-sociale. Seppure tali finalità si possono realizzare mediante l'utilizzo di altri strumenti giuridici, non si configurano ipotesi di abuso della funzione tipica dell'adozione civile. Legittimo è anche il procedimento di adozione civile teso a qualificare giuridicamente il rapporto personale ed affettivo che si instaura tra il coniuge ed il figlio maggiorenne dell'altro coniuge, oppure tra questi e gli affidatari, nell'ipotesi in cui essendo cessato l'affidamento familiare per il raggiungimento della maggiore età da parte del minore, essi desiderino costituire un rapporto di filiazione sentendosi particolarmente legati. A ben vedere l'istituto dell'adozione di persona maggiorenne può finanche realizzare funzioni socialmente apprezzabili, come quella del consolidamento dell'unità familiare.

In tale ottica va rinvenuto il limite di liceità dell'adozione dei maggiori di età che va ravvisato nella corretta realizzazione della funzione dell'istituto. Si parla di abuso quando si utilizza impropriamente l'adozione civile per realizzare finalità diverse dalla costituzione di un rapporto di filiazione giuridica, al solo titolo esemplificativo ma non esaustivo, come mezzo per ottenere benefici a favore di stranieri oppure per procurarsi prestazioni di lavoro. Da ciò discende il divieto di adozione dei propri figli nati al di fuori del matrimonio per i quali è previsto lo strumento del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità.

Va ulteriormente osservato che nell'adozione di persone maggiori di età, al giudice non è attribuito alcun discrezionale apprezzamento dell'interesse della persona dell'adottando, né possono essere effettuati quegli incisivi controlli previsti nel caso di adozione ordinaria.

La decisione della Corte di Cassazione oggetto di disamina, ricalca un precedente orientamento (Cass. civ. n. 1133/1988) secondo cui in materia di adozione il provvedimento che pronuncia l'adozione di persone maggiori d'età è costitutivo dell'adozione e produce effetti direttamente incidenti sullo status dell'adottato ed è connotato dalla stabilità. La cennata pronuncia ha natura di provvedimento decisorio e definitivo, per cui i vizi sia processuali che sostanziali che, eventualmente, la inficiano o ne determinano la nullità si convertono in motivi di impugnazione e possono essere fatti valere esclusivamente con il mezzo di impugnazione previsto dall'ordinamento, con la conseguenza che la decadenza dall'impugnazione comporta che gli stessi, in applicazione del principio stabilito dall'art. 161 c.p.c., non possono essere più dedotti, neppure con l'actio nullitatis, esperibile nei limitati casi in cui una pronuncia sia stata emessa in assoluta carenza di potere giurisdizionale, in riferimento ad un provvedimento che si configura come abnorme (Cass. 12556/2012; Cass.13171/2004).

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