Rapporti tra risoluzione e recesso dal contratto

23 Aprile 2024

Quale azione deve intraprendere la parte non inadempiente ad un contratto preliminare di compravendita se intende ottenere la condanna della parte inadempiente al risarcimento delle somme versate al mediatore? Può limitarsi ad esercitare il diritto di recesso o deve intraprendere l'azione di risoluzione?

Massima

La domanda con cui la parte non inadempiente, che abbia ricevuto la caparra, chieda, oltre alla risoluzione del contratto, la condanna della controparte al risarcimento di ulteriori danni, va qualificata in termini di declaratoria di risoluzione giudiziale per inadempimento - soggetta, pertanto, alla relativa disciplina generale e non quale esercizio del diritto potestativo di recesso. E allo stesso modo la domanda deve essere qualificata, qualora la parte non inadempiente, che abbia versato la caparra, chieda, oltre alla risoluzione, la condanna al pagamento del doppio della caparra versata e il ristoro degli ulteriori danni asseritamente patiti.

Alla stregua della predetta ricostruzione, la parte non inadempiente non può, in tal caso (ossia ove abbia preteso il risarcimento del danno ulteriore), incamerare la caparra o pretenderne il pagamento del doppio, poiché, in questa evenienza, essa perde la sua funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria.

(n.d.r.: massima non ufficiale)

Il caso

Tizio, in data 29 novembre 2006, provvedeva a notificare a Caia e Mevio un atto di citazione e chiedeva che  il giudice provvedesse a dichiarare la risoluzione di un preliminare di vendita di fondo rustico stipulato dallo stesso Tizio in qualità di promissario acquirente con Caia, promittente alienante.

In particolare, secondo la ricostruzione della parte attrice, Caia sarebbe stata responsabile di un inadempimento alla stessa imputabile e, pertanto, avrebbe dovuto corrispondere al promissario acquirente il doppio della caparra confirmatoria da quest’ultimo versata in occasione della stipula del contratto preliminare e, in aggiunta, la somma corrisposta a favore dell’agenzia Alfa Immobiliare, società intermediatrice dell’affare.

Per quanto riguarda la posizione di Mevio, Tizio chiedeva la condanna al risarcimento dei danni cagionati dall’indebita rivendicazione del diritto di prelazione sul fondo rustico oggetto del preliminare di compravendita, c.d. prelazione agraria.

Caia si costituiva in giudizio opponendosi alle domande della parte attrice, offrendo la restituzione della somma ricevuta a titolo di caparra confirmatoria e chiamando in giudizio Alfa Immobiliare, lamentando che quest’ultima non avesse provveduto a notificare il contratto preliminare sottoscritto con Tizio alle parti confinanti con il fondo oggetto del contratto.

Mevio si costituiva in giudizio rilevando il proprio difetto di legittimazione, affermando di essere sostanzialmente estraneo al rapporto contrattuale intervenuto tra Caia e Tizio.

Il Tribunale di Bari, (Trib. Bari 1330/2016), accoglieva parzialmente le domande principali e, con sentenza dichiarativa, affermava la risoluzione del contratto preliminare a causa del grave inadempimento della promittente alienante Caia.

Nella medesima sede, rilevava il difetto di legittimazione in capo a Mevio e condannava Caia al risarcimento nei confronti di Tizio della somma di 7.300,00 euro, rigettando la chiamata in giudizio della Alfa Immobiliare.

Caia proponeva appello avverso tale decisione innanzi alla Corte d’appello di Bari lamentando, in primo luogo, l’illegittima applicazione della disciplina del recesso nonostante l’attore avesse richiesto la risoluzione del contratto preliminare di compravendita.

In secondo luogo, rilevava la carenza di legittimazione in capo al promissario acquirente, dal momento che era stato sostituito ex tunc dal prelazionario. Infine, lamentava la mancata considerazione dell’inadempimento della Alfa Immobiliare agli obblighi scaturenti dal contratto d’opera, con particolare riferimento all’obbligo di notifica del preliminare ai soggetti confinanti al fondo, al fine di permettere loro l’esercizio della prelazione agraria.

La Corte d’appello di Bari (App. Bari 392/2019), confermava la decisione del Tribunale di Bari.

Avverso tale decisione, Caia proponeva ricorso per cassazione sulla base di quattro differenti motivi.

La questione

L'art.1385 c.c. introduce e disciplina la caparra confirmatoria, identificandola nella somma di denaro o di cose fungibili che una parte corrisponde all'altra al momento della conclusione del contratto a titolo di caparra.

La caparra confirmatoria ha, in primo luogo, la funzione principale di garanzia dell'adempimento del contratto.

Inoltre, la somma di denaro o di cose fungibili corrisposta in occasione della conclusione dell'accordo ha lo scopo di anticipare l'esecuzione della prestazione, fungendo da acconto sulla prestazione finale.

Infine, ha una funzione indennitaria; ai sensi dell' art. 1385 c. 2 c.c., la parte non inadempiente può recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta o, nel caso in cui si renda inadempiente colui che ha ricevuto la caparra, potrà esigere il doppio del valore della caparra confirmatoria corrisposta al momento della conclusione del contratto. Il recesso, dunque, è un rimedio che l'ordinamento offre alla parte non inadempiente che consente alla stessa di “sottrarsi” dall'accordo stipulato in presenza di un inadempimento della controparte.

La risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c. è un ulteriore rimedio offerto dall'ordinamento alla parte non inadempiente di un contratto a prestazioni corrispettive, c.d. contratto sinallagmatico. In caso di inadempimento, infatti, la parte può chiedere giudizialmente l'adempimento, mediante l'azione di esatto adempimento, oppure la risoluzione del contratto. In entrambi i casi può essere richiesto il risarcimento del danno che, pertanto, è astrattamente sempre riconosciuto alla parte non inadempiente.  

Ai sensi del comma secondo dell'art. 1453 c.c., la parte che ha richiesto la risoluzione del contratto non può più proporre l'azione di adempimento; al contrario, la risoluzione contrattuale può essere sempre richiesta a prescindere dal fatto che sia stata già proposta l'azione di adempimento contrattuale.

La questione sollevata innanzi alla Corte di cassazione, per quanto di interesse, attiene alla condanna della promittente venditrice al pagamento di una cifra superiore al doppio della caparra confirmatoria dalla stessa ricevuta in occasione della conclusione del contratto preliminare.

Infatti, secondo la ricostruzione della ricorrente, i giudici del Tribunale avrebbero erroneamente qualificato il recesso di Tizio alla stregua di una domanda di risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c., riconoscendo un risarcimento superiore a quello stabilito dall'art. 1385 c.c. e non corredato da un'idonea prova in giudizio.

La decisione

La Corte di cassazione ritiene fondato il motivo di ricorso proposto da Caia; il Tribunale ha riconosciuto a Tizio un risarcimento ulteriore rispetto al doppio del valore della caparra confirmatoria nonostante il recesso esercitato dal contraente non inadempiente.

In particolare, la somma ulteriore corrispondente alla provvigione dell’agenzia immobiliare avrebbe dovuto indurre il Tribunale a qualificare l’azione di Tizio come finalizzata alla risoluzione giudiziale. La richiesta di un risarcimento ulteriore rispetto al valore della caparra confirmatoria è, di per sé, in contrasto con la natura dell’istituto di cui all’art. 1385 c.c., dal momento che « l'esercizio del potere di recesso conferito ex lege è indifferibilmente collegato (fino a costituirne un precipitato) alla volontà di avvalersi della (sola) caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c., che ha la funzione di liquidare convenzionalmente il danno da inadempimento in favore della parte non inadempiente».

La domanda di Tizio, pertanto, non rappresenta un esercizio del diritto di recesso. Il predetto aveva due “vie” giudiziali da intraprendere alternativamente; incamerare il doppio della caparra confirmatoria e recedere dal contratto oppure agire per ottenere la risoluzione dell’accordo e il risarcimento del danno determinato in via equitativa dal giudice.

Ciò considerato, i giudici della Suprema Corte ritengono che la domanda di Tizio – con la quale lo stesso ha richiesto la condanna della controparte al risarcimento dell’ulteriore danno – sarebbe dovuta essere qualificata alla stregua di una domanda di risoluzione.

Ritenendo inammissibili gli altri motivi di ricorso, la Corte di cassazione cassa la sentenza impugnata limitatamente alla questione suesposta e rinvia alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione per una decisione uniforme al principio di diritto enunciato.