Riforma Cartabia e disciplina transitoria dell'appello: quale termine a comparire?
17 Aprile 2024
La riforma Cartabia, nel ridisegnare le modalità di svolgimento del giudizio di appello di cassazione, ha disposto una disciplina di diritto intertemporale. Più precisamente, l'art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150/2022 (modificato dall'art. 5-undecies del d.l. 162/2022, aggiunto in sede di conversione dalla l. n. 199/2022) ha dettato le relative norme transitorie e previsto l'inizio della vigenza al 31 dicembre 2022, per raccordarla alla scadenza dell'ultima proroga allora in atto della normativa processuale anti-Covid sull'emergenza sanitaria (che in parte qua ha trovato una stabilizzazione); successivamente, dapprima l'art. 17 del d.l. n. 75/2023 ha prorogato l'ultrattività delle disposizioni processuali sulla trattazione dell'appello e del giudizio di cassazione già dettate nel periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19 a tutte le impugnazioni proposte fino al 15 gennaio 2024. Da ultimo, l'art. 11, comma 7, d.l. n. 215/2023 (cosiddetto decreto “milleproroghe 2024”), convertito, con modificazioni, in legge n. 18/2024, ha statuito che «Il termine di cui all'art. 94, comma 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in materia di giudizi di impugnazione, è prorogato al 30 giugno 2024». Una delle più annose questioni nel coordinare la disciplina del rito Covid (artt. 23 e 23-bis d.l. n. 137/2020 – quest'ultimo inserito dal d.l. n. 149/2020 – entrambi convertiti nella l. n. 176/2020) con quella (in parte congelata) introdotta dal d.lgs. n. 150/2022, riguarda il termine a comparire nel giudizio di appello: 20 giorni (“vecchio” termine, prima delle interpolazioni) o 40 giorni (nuovo termine dello vocatio in iudicium) prima dell'udienza? Un orientamento di legittimità ritiene che «la nuova disciplina di cui all'art. 601, comma 3, c.p.p., che individua in quaranta giorni, piuttosto che venti, il nuovo termine a comparire è vigente dalla data del 30 dicembre 2022, sulla base del combinato disposto del predetto d.lgs. n. 150/2022, del d.l. n. 228 del 2021 all'art. 16, comma 1, nonché in applicazione del disposto di cui all'art. 6 del d.l. n. 162/2022» (Cass. pen., sez. II, 49644/2023, ripresa da ultimo da Cass. pen., sez. III, n. 5481/2024; in termini analoghi, Cass. pen., sez. IV, n. 48056/2023; sez. VI, n. 12157/2024). Ciò in quanto l'art. 5-duodecies della legge n. 199/2022 non incide sulla disciplina dei termini a comparire, ma esclusivamente sulla disciplina del c.d. rito pandemico a trattazione scritta, estendendone l'applicazione sino al 30 giugno 2023 (ora prorogata al 30 giugno 2024). Infatti, la proroga della disciplina emergenziale è stata indicata per quanto riguarda la scelta di discussione orale in alternativa all'udienza cartolare normalmente prevista nella fase in cui si fronteggiava la pandemia. L'ultrattività della normativa emergenziale stabilita dalla riforma Cartabia per le impugnazioni proposte fino al quindicesimo giorno successivo al 31 dicembre 2023 (termine prorogato al 30 giugno 2024) non coinvolge il nuovo e più lungo termine a comparire che di fatto è già entrato in vigore il 30 dicembre 2022. Difatti, l'art. 94 delle disposizioni transitorie del d.lgs. n. 150/2022 disciplina ed estende la trattazione dei procedimenti secondo il c.d. rito cartolare pandemico, senza tuttavia incidere sulle disposizioni relative ai termini a comparire. In particolare, non viene richiamato l'art. 34 del d.lgs. n. 150/2022, da ritenersi vigente in considerazione della normativa sopra richiamata dalla data del 31 dicembre 2022. In tal senso si deve ritenere, sulla base della formulazione adottata dal legislatore nell'art. 5-duodecies, in mancanza di riferimenti espliciti in tal senso, che le disposizioni dell'art. 34, comma 1, lett. c), e), f), g), nn. 2, 3, 4, e lett. h), art. 35, comma 1, lett. a), e art. 41, comma 1, lett. ee), si applicano a decorrere dalla scadenza del termine fissato dall'art. 16, comma 1, del d.l. n. 228/2021, convertito in legge n. 15/2022. Di recente, tale orientamento è stato confermato e, pur dandosi atto che – come sostiene l'opposta posizione non condivisa - la ratio della disposizione sarebbe quella di differire in blocco l'entrata in vigore della nuova disciplina del giudizio di appello, «si ritiene che l'interpretazione letterale dell'art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150/2022, lì dove ha espressamente stabilito che “continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 23-bis d.l. n. 13/2020” fino al 30 giugno 2024, non consente in alcun modo di ricomprendere anche il differimento dell'entrata in vigore del termine di comparizione essendo questo estraneo alle modifiche apportate dalla normativa emergenziale» (Cass. pen., sez. VI, n. 12157/2024). In conclusione si ritiene che, a fronte del dato letterale della norma transitoria, nella quale è stato soppresso il riferimento alla norma che ha modificato il termine di cui all'art. 601, comma 3, c.p.p. (per l'appunto l'art. 34 del d.lgs. n. 150/2022), si ritiene che debba prevalere l'interpretazione favorevole al riconoscimento dell'immediata applicabilità della nuova previsione che stabilisce il termine di quaranta giorni per la comparizione in sede di appello. Il fatto che i processi di appello siano di fatto governati dalle norme emergenziali del procedimento cartolare per le impugnazioni proposte (al momento) entro il 30 giugno 2024 «non determina una “prevalenza” dell’intera normativa procedurale da esse prevista al momento della loro adozione nel 2020. Non vi è, infatti, alcuna illegittima distorsione della prevista proroga dando ingresso immediatamente al nuovo termine a comparire in sede di impugnazione» (Cass. pen., sez. III, n. 15115/2024). Quali sono le conseguenze se la notifica del decreto di fissazione dell'udienza in Corte di appello viene effettuata nel tempo dilatorio che va dal ventunesimo al trentanovesimo giorno antecedente l'udienza? Per l'orientamento maggioritario della Suprema Corte, nel giudizio di appello, il mancato rispetto del termine a comparire di cui all'art. 601, comma 3, c.p.p. integra una nullità di ordine generale relativa all'intervento dell'imputato (e non relativa da eccepire subito dopo la costituzione delle parti, come ritenuto in qualche arresto minoritario), che deve essere rilevata o dedotta entro i termini previsti dall'art. 180 c.p.p. e, quindi, prima della deliberazione della sentenza di secondo grado (sez. II, n. 49644/2023; da ultimo, sez. III, n. 8656/2024) Esiste, tuttavia, un contrapposto orientamento di Cassazione secondo il quale per le impugnazioni depositate fino al 30 giugno 2024 vale ancora il vecchio termine a comparire di 20 giorni (Cass. pen., sez. V, n. 5347/2024; sez. II, n. 7990/2024). Pertanto, il nuovo termine di 40 giorni previsto nel giudizio di appello (a seguito delle modifiche apportate dalla riforma Cartabia) dall'art. 601, commi 3 e 5, c.p.p. non si applica ai decreti di citazione emessi a partire dal 30 dicembre 2022, giorno di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022. La risposta negativa alla questione involge proprio il regime transitorio della riforma Cartabia annesso dall'art. 94, comma 2, del d.lgs. n. 150/2022. La stretta correlazione tra cessazione dell'efficacia del c.d. rito pandemico e l'entrata in vigore delle previsioni che disciplinano l'introduzione e lo svolgimento del giudizio di appello (e identiche conclusioni valgono per la nuova disciplina dell'art. 611 c.p.p., in tema di giudizio di legittimità, quale dettata dall'art. 35 d.lgs. n. 150 del 2022: v., esplicitamente in tal senso, sez. V, n. 47183 del 12 ottobre 2023, in motivazione al punto 1.1. del Considerato in diritto) è resa palese sia dall'interpretazione letterale che da quella sistematica e storica. L'art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150/2022, nella sua originaria formulazione, prevedeva esplicitamente, per quanto ora rileva, che le disposizioni di cui all'art. 34, comma 1, lett. c) e g), nn. 2, 3, 4 [e specularmente per il giudizio in cassazione, di cui all'art. 35, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 150 del 2022] si applicassero a decorrere dalla scadenza del termine fissato dall'art. 16, comma 1, d.l. n. 228/2021, convertito con l. 25 febbraio 2022, n. 15, ossia dalla scadenza del termine di efficacia – si ripete, sempre nei limiti della rilevanza ai fini della decisione – delle previsioni dettate dall'art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7 del sopra ricordato d.l. n. 137 del 2020. Quando è intervenuto a ricalibrare i termini di entrata in vigore della cd. riforma Cartabia, il d.l. n. 162/2022, poi convertito con modifiche con legge n. 199/2022 ha, per un verso, con l'art. 6, introdotto l'art. 99-bis d.lgs. n. 150/2022 che fissa, in generale, al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore dello stesso decreto legislativo e ha, per altro verso, rimodulato le disposizioni transitorie, specificando, quanto alla materia delle impugnazioni (art. 5-duodecies, comma 1, introdotto in sede di conversione, che riformula il comma 2 dell'art. 94), che le ricordate previsioni del rito cd. emergenziale continuassero ad essere applicate alle impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 (e ciò anche nel caso di successive impugnazioni proposte contro il medesimo provvedimento). Ponendosi in aperto contrasto con il primo e summenzionato orientamento, sez. V, n. 5347/2024, ritiene le conclusioni cui esso giunge non convincenti. Si osserva che il riferimento normativo destinato a governare l'entrata in vigore delle modifiche apportate dall'art. 34, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 150/2022, è rappresentato dall'art. 99-bis di quest'ultimo provvedimento normativo e non dall'art. 16, comma 1, del d.l. n. 228/2021, perché questo richiamo dovrebbe altrimenti confrontarsi con l'inequivoca scelta normativa di trasporre e ricalibrare quest'ultimo termine – che appunto determina la cessazione di operatività del c.d. rito pandemico – nel nuovo comma 2 dell'art. 94 del d.lgs. n. 150 del 2022. Ma, soprattutto, il significato di quest'ultima scelta normativa non è quello di frazionare artificiosamente la disciplina processuale applicata a seguito del diffondersi della pandemia, ma di includere in positivo, all'interno del testo del d.lgs. n. 150/2022, le regole destinate a garantire, oltre il 30 dicembre 2022, l'applicazione sino a quel momento sperimentata del c.d. rito emergenziale, come innestato nelle disposizioni codicistiche, risolvendo esplicitamente il tema dell'atto al quale far riferimento per individuare la disciplina applicabile (il primo atto di impugnazione). Depongono in tale direzione – sempre secondo queste seconda ricostruzione normativa – sia la correlazione dell'ampliamento del termine a comparire con la rimodulazione del giudizio di appello e, in particolare, del c.d. rito non partecipato, sia la finalità dell'intervento normativo operato in sede di conversione del d.l. n. 162/2022, non destinato ad innovare i riferimenti temporali tracciati dall'art. 94, comma 2 nel testo previgente, ma ad includere il termine di cessazione della previgente disciplina – termine sino a quel momento collocato al di fuori del d.lgs. n. 150/2022, ossia nel corpo dell'art. 16, comma 1, d.l. n. 228/2021, convertito con legge n. 15/2022 – all'interno del d.lgs. n. 150/2022 risolvendo anche la questione della rilevanza dell'actus al quale far riferimento: ciò sia in generale, sia con riguardo all'eventuale pluralità di atti di impugnazione. Si specifica, infine, che la conclusione raggiunta non può essere influenzata dal carattere di maggior favore per l'imputato del più ampio termine a comparire. E ciò sia perché in tema di successione di leggi processuali nel tempo, non opera il principio di retroattività della legge più favorevole, sia perché, in generale, il principio non può mai condurre ad un'artificiosa combinazione di distinti frammenti normativi. In ogni caso, il mancato rispetto del termine di venti giorni è deducibile dal difensore solo con il primo atto utile. In particolare, nel giudizio cartolare di appello celebrato nel vigore della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, il mancato rispetto del termine di venti giorni stabilito dall'art. 601, comma 3, c.p.p., dando luogo a una nullità di ordine generale relativa all'intervento dell'imputato, è deducibile dal difensore solo con il primo atto utile, sia esso una memoria ovvero le conclusioni ex art. 23-bis d.l. n. 137/2020, conv., con modificazioni, in l. n. 176/2020, sicché l'eccezione proposta con il ricorso per cassazione è tardiva. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto sanata la nullità conseguente alla tardività della citazione in appello sul rilievo che il difensore aveva omesso di inviare richiesta di rinvio ovvero di trattazione orale (Cass. pen., sez. II, n. 48275/2023). Preso atto dell'insanabile contrasto formatosi in seno alle Sezioni semplici di legittimità, urge un immediato intervento nomofilattico delle Sezioni Unite. In tal senso, la Seconda sezione di Cassazione, all’udienza del 5 aprile 2024, ha sollecitato l’intervento del Supremo Collegio, sottoponendole il seguente quesito: «se, nella vigenza della norma transitoria di cui all’art. 94, comma 2, del d.lgs. n. 150/2022 (come modificato dall’art. 5-duodecies, comma 1, del d.l. n. 162/2022, introdotto dalla legge di conversione, con modificazioni, n. 199/2022), applicabile fino al 30 giugno prossimo, il termine per comparire previsto dall’art. 601, commi 3 e 5, c.p.p. sia di “venti” oppure di “quaranta” giorni» (Notizia di decisione n. 9/2024 di Cass. pen., sez. II, del 5 aprile 2024). Si è in attesa del deposito dell’ordinanza di rimessione al Massimo Consesso della quaestio. Vero è che la disciplina transitoria, in assenza di ulteriori proroghe, cesserà di applicarsi a partire dalle impugnazioni successive al 30 giugno 2024. Tuttavia, per i gravami depositati entro tale ultima data e per quelli nei quali è stato accolto il tracciato secondo orientamento e vi è stato ricorso per cassazione sul punto, potrebbe giovare l'intervento chiarificatore del Supremo Collegio soprattutto laddove sposasse la prima posizione interpretativa ritenendo applicabile il termine di comparizione dilatorio non inferiore a 40 giorni prima dell'udienza. Ne discenderebbe la nullità degli avvisi in cui il termine a comparire nella vocatio in iudicium in appello fosse stato limitato al rispetto dei venti giorni (e fino a 39 giorni) prima dell’udienza. |