La separazione consensuale omologata può essere annullata per violenza

17 Aprile 2024

La presunta coercizione subita dal marito da parte della famiglia della moglie impatta sull'annullamento dell'accordo di separazione consensuale?

Massima

In tema di annullamento del contratto per vizi della volontà, integra la fattispecie della violenza la minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto - proveniente dalla controparte o da un terzo - di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo. Il contratto non può essere annullato ex art. 1434 c.c., quindi, laddove la parte sia stata determinata da timori meramente interni, o da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risalti quale idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte

Il caso

Un accordo di separazione consensuale era stato impugnato dal marito, che ne aveva chiesto l'annullamento assumendo di essersi determinato a sottoscriverlo a seguito di una serie di minacce e intimidazioni poste in essere dalla famiglia della moglie.

Evidenziava che la fondatezza della domanda poteva ricavarsi già dall’esame delle condizioni di separazione, che prevedevano una anomala rinuncia all’assegno di mantenimento in favore del marito nonostante lo stato di disoccupazione di quest’ultimo e un notevole divario tra i redditi dei coniugi, tale da eliminare il contributo del padre al mantenimento della figlia.

Il Tribunale aveva rigettato la domanda ritenendola priva di riscontro probatorio.

L'uomo aveva quindi impugnato la decisione dinanzi alla Corte d'Appello di Bari, che aveva respinto il gravame affermando che le risultanze istruttorie non avevano dimostrato l'esistenza degli episodi di violenza morale né l'eventuale efficacia causale degli stessi rispetto al condizionamento della volontà e libertà negoziale dell’agente.

Il marito ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

La questione

Quali sono i comportamenti rilevanti ai fini dell’annullamento del contratto per violenza?

Le soluzioni giuridiche

Il ricorrente ha dedotto in primo luogo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1427,1434 e 1435 c.c. in quanto la Corte di appello non avrebbe valutato le risultanze probatorie nel rispetto dei consolidati in materia di annullamento del contratto per violenza e non avrebbe considerato né la concreta situazione (sia fisica, sia psicologica) in cui si trovava il marito al momento dell'allontanamento dalla casa coniugale, né la posizione di assoluta preminenza sociale ed economica della famiglia nel comune in cui viveva la famiglia.

Con il secondo motivo, è stata denunciata la nullità della sentenza per omessa motivazione e travisamento ed omesso esame delle prove testimoniali poste a base della medesima.

La Corte ha esaminato congiuntamente i motivi ed ha accolto il ricorso affermando, preliminarmente, che la motivazione della sentenza impugnata era da ritenersi apparente in quanto, pur se “graficamente esistente” in concreto non consentiva alcun controllo della esattezza e logicità del ragionamento seguito dal giudice per giungere alla decisione

La corte territoriale, infatti, dopo aver richiamato la giurisprudenza consolidata in materia di annullamento del contratto per violenza, aveva affermato che "il compendio  probatorio … è inidoneo a provare l'esistenza degli episodi di violenza morale e dell'eventuale efficacia causale degli stessi al condizionamento della sua volontà nell'esplicare la propria libertà negoziale”, ma, in realtà, non aveva considerato gli elementi rilevanti per accertare la sussistenza della coartazione della volontà del ricorrente in epoca precedente o coeva al momento della sottoscrizione dell'accordo.

Per affermare che era stato smentito il timore manifestato dal marito, infatti, la corte di appello aveva dato rilievo a fatti verificatisi dopo la sottoscrizione dell'accordo, mentre ai fini dell'annullamento del contratto per vizi della volontà, rilevano le minacce che siano state specificamente finalizzate ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, e tali da incidere, con efficienza causale, sulla specifica capacità di determinazione del soggetto passivo, che in assenza  della minaccia non avrebbe concluso il negozio (si richiamano in motivazione Cass. civ. n. 27323/2022; Cass. civ. n. 19974/2017 e Cass. civ. n. 15161/2015).

I giudici di legittimità, inoltre, hanno evidenziato che una deposizione non era “integralmente de relato” – come indicato nella sentenza impugnata – in quanto il teste aveva assistito personalmente ai fatti e ascoltato alcune frasi rivolte al marito dal suocero, e che erano state del tutto omesse sia la valutazione di alcune circostanze riferite da altri testi (neppure al solo fine di smentirne l'attendibilità), sia la considerazione dei rapporti economici intercorrenti tra le parti prima e dopo la separazione.

Osservazioni

La Corte ha confermato i principi consolidati in tema di annullamento del contratto ex art. 1435 c.c. ribadendo che la violenza può essere esercitata sia direttamente ed esplicitamente, sia mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, (che può essere posto in essere da un terzo) e che, in ogni caso, è necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa.

Identici principi erano stati enunciati anche dalla Corte di appello (che aveva richiamato Cass. civ. 10 agosto 2017, n. 19974) ma, come detto, per respingere la domanda aveva poi valutato fatti avvenuti successivamente, e, pertanto, inidonei ad esplicare effetti sulla determinazione negoziale.

La pronuncia è interessante in quanto conferma che la separazione consensuale è un accordo che i coniugi sottoscrivono esplicitando la loro capacità di agire e la propria autonomia negoziale e, in quanto tale, sono da ritenersi esperibili gli ordinari strumenti civilistici (fanno eccezione le clausole relative all'affidamento e mantenimento dei figli) per ottenerne l'annullamento

Applicando i principi generali del nostro ordinamento ai “negozi di diritto familiare” è dunque possibile agire per l'annullamento della separazione omologata – limitatamente alla clausole che hanno natura negoziale – per incapacità, simulazione (Cass. n. 21839/2019) o per vizi del consenso.

In precedenza, già Cass. civ. sez. I, 16 settembre 2022, n. 27323 (primo arresto specifico sul tema) aveva affermato che “L'azione di annullamento delle pattuizioni di contenuto economico contenute negli accordi di separazione consensuale omologata può essere esercitata, integrando un vizio della volontà, nel caso di violenza morale, che si verifica qualora uno dei coniugi subisca una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del negozio, di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso l'accordo, a differenza del caso in cui la determinazione della parte sia stata provocata da timori meramente interni, ovvero da personali valutazioni di convenienza”.

È invece irrilevante il timore “meramente interno”, ovvero derivato da valutazioni di convenienza, in cui difetta un oggettivo pregiudizio idoneo a condizionare la scelta.