Sull’integrità e la provenienza di un documento allegato ad una PEC

18 Aprile 2024

L’istituto della data certa, ai fini della opponibilità, riguarda un atto che, con un giudizio di certezza, viene in rilievo nella sua precisa, conoscibile, dunque completa, esistenza, non è certo sufficiente, a tal fine, la mera menzione del suo contenuto in altro atto.

Il fatto

Il Tribunale di Cagliari rigettava la domanda di insinuazione di un credito a titolo di canoni d'affitto d'azienda contestando che il contratto di affitto d'azienda fosse privo di data certa, quindi non opponibile alla procedura fallimentare della società affittuaria.

In particolare, il Tribunale contestava che l'invio di una richiesta di pagamento dei canoni insoluti a mezzo PEC – quindi con data indubbiamente certa – potesse munire di data certa anche la sussistenza del rapporto contrattuale, titolo giustificativo della pretesa, in quanto il contratto di affitto veniva solo menzionato nella lettera ma non era stata data prova nel giudizio che fosse stato anche effettivamente allegato alla medesima.

La società creditrice impugnava il decreto di rigetto dell'insinuazione al passivo dell'affittuaria dinanzi alla Corte di Cassazione.

La pronuncia della Cassazione

La Corte di Cassazione richiamava preliminarmente un proprio pronunciamento reso per una questione analoga secondo cui «la posta elettronica certificata dimostra l'invio e la ricezione del messaggio, ma non garantisce il contenuto del documento allegato. Non si può, in altri termini, dalla circostanza che la posta elettronica è certificata, dedurre che anche il documento allegato lo è, o meglio, che quel documento è riferibile al suo autore, e che ha effettivamente quel contenuto» (così Cass. n. 32165/2023).

Secondo la Corte, per altro verso, l'invio di un documento a mezzo PEC non attesta di certo l'autenticità o l'efficacia del documento allegato ma solo il suo invio.

Piuttosto, secondo la Corte, «la PEC è in grado di attestare in maniera certa l'avvenuta trasmissione e ricezione del messaggio, le modalità di spedizione (data, ora e formato) ed anche il suo contenuto, ma limitatamente alla PEC stessa, non al file allegato ad essa».

Per la Suprema Corte, quindi, qualora il mittente voglia provare “la provenienza del documento e la sua integrità” dovrà inviare a mezzo PEC o comunque disporre di quel documento debitamente sottoscritto con la firma digitale, ragion per cui ha errato il Tribunale laddove ha ritenuto che l'integrità e la provenienza del documento sarebbe stata da provarsi con la produzione in giudizio dello stesso in formato elettronico.

Né, per altro verso, la Corte ha condiviso l'assunto del Tribunale secondo cui la semplice menzione di un contratto all'interno di una nota inviata a mezzo PEC attribuisca data certa a tale contratto senza che sia necessario allegare lo stesso contratto. Sotto altro profilo di censura del decreto reso dal Tribunale di Cagliari, la Corte condivideva la decisione di primo grado secondo cui «la prova del rapporto non [poteva] essere desunta dalle fatture emesse […] trattandosi di documentazione formata unilateralmente dal creditore».

Né, tantomeno, era probante la circostanza dell'avvenuto pagamento di importi corrispondenti a quelli esposti nelle fatture da parte della Fallita in bonis «atteso che tale circostanza [avrebbe provato] l'esistenza di un rapporto tra le due società, ma non che la fonte di tale rapporto fosse proprio il contratto di affitto d'azienda».

In conclusione, per la Corte di Cassazione se una parte vuole far valere una propria pretesa sorretta da un contratto deve, anzitutto, poter dimostrare l'integrità e la provenienza di tale documento munendolo di una data certa (grazie ad esempio all'apposizione di una firma munita di certificato digitale) per così dire autosufficiente senza che il mero invio a mezzo PEC del documento contrattuale assolva a tale onere probatorio.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

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