Revisione dell’assegno divorzile dopo la revoca dell’assegnazione della casa familiare

18 Aprile 2024

La revoca dell'assegnazione della casa famigliare, correlata all'indipendenza economica dei figli maggiorenni, genera implicazioni economiche che possono impattare la revisione dell'assegno divorzile previsto nella sentenza originale, stabilendo un legame tra l'autonomia abitativa e gli aspetti finanziari dei genitori.

Massima

In tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce sopravvenienza valutabile, ai fini dell'accertamento dei giustificati motivi per l'aumento dell'assegno divorzile, la revoca dell'assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell'altro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell'ambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per l'assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l'altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca, potendo andare ad abitare la casa coniugale o concederla in locazione a terzi o comunque impiegarla in attività produttive, compiendo attività suscettibili di valutazione economica che, durante l'assegnazione all'altro coniuge, non erano consentite.

Il caso

La vicenda recentemente decisa dal Supremo Collegio inizia con una sentenza dl 2014 di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dai coniugi nel 1998, dal quale erano nati due figli.

Al raggiungimento della maggiore età dei figli il coniuge tenuto al pagamento dell’assegno divorzile chiedeva la revoca dell'assegnazione della casa nella quale l’altro genitore aveva trascorso insieme ai figli gli anni nel corso dei quali questi erano rimasti economicamente dipendenti dai genitori.

Il coniuge richiesto di abbandonare l’immobile si dichiarava disponibile a farlo, contemporaneamente richiedendo un aumento dell’assegno divorzile in misura consistente, prossima alla duplicazione del suo importo iniziale.

Con decreto n. cron. 9882/2020 del 26/11/2020, il Tribunale di Brescia accoglieva integralmente il ricorso  disponendo la revoca dell'assegnazione della casa familiare e rigettando la domanda di aumento dell’assegno.

Di diverso avviso la Corte d’Appello, cui la Parte soccombente proponeva reclamo che veniva accolto, sia pure parzialmente, con l’aumento dell’assegno divorzile nella misura del 30% rispetto all’importo inizialmente disposto.

L’ex coniuge soccombente in appello proponeva in Cassazione il ricorso deciso oggi con la sentenza 25 marzo 2024 n. 7961.

La questione

In che misura la revoca dell'assegnazione dell'immobile familiare e le nuove circostanze economiche dovrebbero influenzare la revisione degli assegni di mantenimento tra gli ex coniugi?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7961 del 25 marzo 2024 è chiamata a rivolvere la questione sia sotto il profilo sostanziale che processuale.

Base normativa di riferimento è l'art. 9, comma 1, l. n. 898/1970 (che nel caso specifico risulta ancora applicabile ratione temporis al caso di specie), il quale stabilisce che «Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondersi ai sensi degli articoli 5 e 6».

Questa norma, nel suo comma 1 è oggi abrogato dal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma Cartabia), il quale ha altresì disposto (con l'art. 35, comma 1, come modificato dalla l. 29 dicembre 2022, n. 197) che «Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti». Ed è altresì sostituito dall'art. 473-bis.29 c.p.c., nel quadro della disciplina della citata Riforma Cartabia che ha introdotto il cosiddetto rito unico per le controversie in materia di persone, minori e famiglia.

La norma ex art. 473-bis.29 c.p.c stabilisce che «Qualora sopravvengano giustificati motivi, le parti possono in ogni tempo chiedere, con le forme previste nella presente sezione, la revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in materia di contributi economici» lasciando quindi inalterato il principio della modificabilità dei provvedimenti adottati in materia di separazione o divorzio al mutare delle condizioni che li abbiano determinati.

Sul punto della revisione dell'assegno la giurisprudenza afferma uniformemente il principio della necessaria rimodulazione delle disposizioni economiche in seguito alla revoca dell'assegnazione della casa familiare. Tuttavia si distingue rispetto alle modalità entro le quali ciò deve avvenire, talora anche  esplicitamente escludendo che la revoca possa giustificare l'automatico aumento di tale assegno, trattandosi di un provvedimento che ha come esclusivo presupposto l'accertamento del venir meno dell'interesse dei figli alla conservazione dell'habitat domestico. Nei casi in cui si è pronunciato in tal senso il Supremo Collegio ha rigettato il ricorso (Cass. civ., sez. I, ord., 06 aprile 2023, n. 9500; Cass. civ., sez. I, ord., 24 giugno 2022, n. 20452).

Nel caso di specie, invece, il Giudice, applicando i principi sopra esposti, procede comunque da questa considerazione, tuttavia superandola e rilevando come non possa «negarsi che detta assegnazione abbia dei riflessi economici, perché consente al genitore assegnatario di evitare la ricerca di una diversa abitazione, che invece deve essere reperita dal genitore che non vive in prevalenza con i figli, anche se è il proprietario esclusivo o il comproprietario dell'abitazione stessa ( Cass. 7961/2024) » e che «nel caso di specie, alla perdita del vantaggio derivante dall'assegnazione della casa familiare si è affiancato il vantaggio dell'acquisto della disponibilità del bene da parte dell'ex coniuge proprietario esclusivo, circostanza correttamente considerata dal giudice di merito, insieme all'altro elemento sopra riportato, quale causa dell'aggravamento del divario economico già esistente tra i coniugi (Cass. 7961/2024)».

La soluzione giuridica al conflitto sulla revisione dell'assegno considera l'espansione della capacità economica del soggetto in qualità di comproprietario o di proprietario esclusivo si siavisto limitato nella possibilità di godere e disporre bene (Cass., sez. I, ord., 21 settembre 2022, n. 27599; Cass., sez. I, n. 20858/2021; Cass., sez. VI-1, n. 25420/2015; Cass., sez. I, n. 4203/2006).

Non solo. Se la revoca dell'assegnazione segue la sopraggiunta indipendenza economica dei figli (con la plausibile cessazione della convivenza degli stessi presso i genitori) viene anche meno l'obbligo di mantenimento dei medesimi, sia esso diretto e comunque economicamente valutabile (e presumibilmente già valutato nel procedimento che ha condotto alla sentenza di divorzio) ovvero assolto mediante assegno perequativo da parte, in quest'ultimo caso, del genitore non convivente.

Ed è proprio sotto questo specifico profilo che si coglie la logica del metodo utilizzato dal Giudice nell'applicare la legge e che individua il vantaggio economico derivante dalla revoca in coincidenza, totale o parziale, con il venir meno dell'assegno di mantenimento, considerato che anche il coniuge già assegnatario viene esonerato dal mantenimento diretto ma dovrà presumibilmente reperire altra soluzione abitativa mentre l'altro genitore potrà farne a meno, magari anche beneficiando dei frutti civili derivanti dall'impiego dell'immobile, una volta libero.

Questa considerazione risulta di particolare rilevanza, ratione temporis, avuto riguardo al fatto che la sentenza impugnata nel procedimento deciso dalla pronuncia in commento risale al 2014, ossia ad un'epoca precedente alla pronuncia 18287/2018 a Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, superando il criterio del tenore di vita dei coniugi quale parametro di determinazione anche dell'assegno divorzile, ne ha ridisegnato la funzione agganciandolo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla famiglia ed alla crescita economica dell'altro coniuge.

Per maggiore chiarezza, questo il principio enunciato dalla Cassazione civile, SS.UU., sent. n 18287/2018 «L'intrinseca relatività del criterio dell'adeguatezza dei mezzi e l'esigenza di pervenire ad un giudizio comparativo desumibile proprio dalla scelta legislativa, non casuale, di questo peculiare parametro inducono ad un'esegesi dell'art. 5, comma 6, diversa da quella degli orientamenti passati. Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell'incipit della norma conduce ad una valutazione concreta ed effettiva dell'adeguatezza dei mezzi e dell'incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della famiglia a questo specifico scopo. Tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma 6, al fine di accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all'atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell'altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all'età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro».

Un assegno divorzile disposto in epoca successiva all'arresto delle SU 18287/2018 sarà determinato tenendo conto degli effetti prodottisi sul patrimonio dell'ex coniuge per effetto delle scelte condivise con il coniuge rispetto al benessere della famiglia, ma analogamente, e sia pure su valori economici diversi, in sede di revoca dell'assegnazione, si apprezzerà l'arricchimento del coniuge quando questi rientra nella disponibilità dell'immobile mettendolo a confronto diretto con il depauperamento dell'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile e che, invece, l'immobile deve lasciarlo.

E giova osservare come, dopo l'arresto delle SS.UU. 18287/2018, la disparità di reddito sulla base della quale viene determinato l'assegno divorzile è oggi identificata, anziché in una sorta di istantanea di differenza reddituale al momento dello scioglimento, con la diminuzione patrimoniale registrata dal coniuge nell'arco di un'intera vita coniugale nonché con gli effetti ragionevolmente irreversibili anche per il periodo successivo al termine di essa.

La conseguenza di ciò è una plausibile minore incidenza economica, nei giudizi successivi al 2018, sia pure solo in linea tendenziale, della revoca dell'assegnazione sull'ammontare dell'assegno divorzile al momento della sua revisione.

In generale il valore economico della disponibilità della casa dovrà essere considerato non solo hic et nunc, ma in ragione della sua incidenza sul patrimonio di quest'ultimo, per il periodo nel corso del quale è stata disponibile al coniuge debole.

E rispetto al caso deciso dalla sentenza in commento, la sentenza del 2014 ha ovviamente applicato il principio per il quale l'assegno divorzile si determina (e si modifica) in funzione della necessaria conservazione del tenore di vita dagli ex coniugi goduto in costanza di convivenza matrimoniale. Un dettaglio alquanto significativo considerando che la riforma del principio è avvenuta appunto nel 2018 e molte revisioni pendenti possono ancora oggi far capo a procedimenti definiti in epoca antecedente alla Cass. SU 18287/2018. D'altra parte, il Giudice di legittimità non può evidentemente riformulare in base a diversi criteri interpretativi la pronuncia di merito, essendo chiamato solo a verificare che non vi sia stata, per quel che in questa sede importa, violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto o assenza o carenza di motivazione.

E questo ci porta alle soluzioni altrettanto interessanti adottate sul piano processuale nella sentenza in commento.

Il Ricorrente lamentava, in sintesi, che l'ex coniuge richiedente non avesse assolto all'onere probatorio circa il peggioramento delle sue condizioni economiche oltre ad una carenza di motivazione nel giudizio emesso dalla Corte d'appello con il provvedimento impugnato.

Intanto la Corte, richiamandosi ad una giurisprudenza precedente (Cass., sez. VI-1, ord. 9 marzo 2022, n. 7666) ribadisce e precisa l'importante principio che si è sopraccennato ossia che l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, deve essere operato secondo una valutazione comparativa delle condizioni delle parti, «senza che il giudice sia chiamato ad effettuare una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, che è già stata effettuata con la sentenza divorzile».

E questo principio ovviamente dovrà trovare applicazione anche per le sentenze successive alla Cass. SU 18287/2018, dovendo il Giudice di legittimità, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'assegno, limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio fissato nella sentenza, ed eventualmente, se del caso, adeguare l'importo dell'assegno alla situazione patrimoniale e/o reddituale accertata.

La sentenza in commento la Cassazione ha verificato come «l'assegno attribuito nel 2014, secondo i criteri interpretativi in vigore al momento della decisione, fosse destinato a svolgere la funzione assistenziale ed anche compensativo–perequativa (Cass. 7961/2024)»; essa ha altresì accertato, quanto alle risorse economiche dell'ex coniuge tenuto all'assegno di mantenimento dei figli, che, al momento della revoca dell'assegnazione della casa, esse avevano positivamente risentito non solo del recupero dell'immobile, ma, contestualmente, dell'esonero dal pagamento dell'assegno di mantenimento in favore dei figli.

Insomma il genitore che si era inizialmente visto privato della casa assegnata all'altro, con la revoca dell'assegnazione poteva adesso contare su «una doppia entrata (Cass. 7961/2024) ».

Osservazioni

La sentenza commentata è di particolare rilievo sotto molteplici profili, dal punto di vista della disciplina sia sostanziale che processuale.

Anzitutto permette di aprire una ampia e solida visione sul panorama giurisprudenziale costituito dal diritto vivente, anche nella controluce propria, e non sempre chiara, della sovrapposizione tra pronunce che nel corso degli anni restano evidentemente tali, nonostante i radicali cambiamenti medio tempore intervenuti sul piano interpretativo, così come è successo in materia di assegno divorzile.

D'altra parte «accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all'atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio (Cass . SU18287/2018)» significa avere cambiato l'oggetto del procedimento in relazione all'attribuzione dell'assegno. E significa anche aver modificato la base di calcolo sul fondamento della quale individuare la misura dell'incidenza propria del valore economico da attribuire alla disponibilità, o alla perdita, della casa famigliare.

Ulteriore pregio della pronuncia, sotto il profilo del suo interesse, è rinvenibile anche nell'aver descritto il metodo di valutazione comparativa delle sopravvenienze legate alla revoca dell'assegnazione della casa famigliare, espressione di un valore economico relativo, in quanto «sfavorevole per l'ex coniuge che ne sia stato assegnatario, la quale è suscettibile di essere valutata, ai fini della verifica dei presupposti per la revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell'art 9, comma 1, l. 898/1970, tanto più quando si accompagna all'acquisto della disponibilità materiale della stessa da parte dell'altro ex coniuge che ne sia proprietario esclusivo  ( Cass. 7961/2024)».