La libertà della donna e il diritto alla interruzione volontaria della gravidanza nella Costituzione francese e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
30 Aprile 2024
1. Premessa Con un voto a larghissima maggioranza il parlamento francese in seduta plenaria ha approvato il 4 marzo 2024 la legge costituzionale che inserisce dopo il diciassettesimo capoverso dell'art.34 della Costituzione francese un nuovo capoverso così redatto: «La legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà garantita alla donna di fare ricorso a una interruzione volontaria della gravidanza». In questa breve descrizione e prima riflessione sulle recenti revisione costituzionale francese e risoluzione del Parlamento europeo sul diritto delle donne a richiedere la interruzione volontaria della gravidanza (IVG), mi propongo in primo luogo di mettere in luce come - al di là del carattere prettamente politico e contingente della nuova formulazione dell'art. 34 della Carta fondamentale francese del 1958 - la costituzionalizzazione del diritto alla IVG si pone in perfetta continuità con la storia della introduzione nel sistema giuridico francese della libertà della donna nel decidere sulla propria vita sessuale e riproduttiva e sui figli che decide di mettere al mondo. L'intento duraturo e rilevante in una prospettiva costituzionale è stato quello di valorizzare tale storia e di metterla al riparo dalle vicende politiche attuali e future attribuendo alla libertà di autodeterminazione della donna un connotato costitutivo del contratto sociale su cui si fonda oggi la Repubblica francese. La recentissima risoluzione del Parlamento europeo raccoglie il messaggio di questa riforma costituzionale nella prospettiva ancora più larga di un sistema di valori, condivisi nella maggior parte dei paesi europei, da iscrivere nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. Tuttavia, è ben chiaro che il quadro attuale dell'Unione non è favorevole a una riforma della Carta dei diritti fondamentali, mentre la prospettiva di una politica comune ispirata al principio della libertà e dignità delle donne europee potrebbe auspicabilmente trovare, in accordi multilaterali o nella cooperazione rafforzata, fra gli Stati dell'Unione che condividono la risoluzione del Parlamento europeo, la strada per costruire un sistema europeo di tutela dei diritti ribaditi con forza nella risoluzione dell'11 aprile 2024. 2. La proposta di legge e il testo approvato dal Parlamento francese Come a voler rispondere alle proposizioni di voto negative, già registrate nei dibattiti parlamentari e politici, il projet de loi constitutionelle del 17 dicembre 2023, n. 1983, presentato per iniziativa del Presidente Macron e del governo, ricorda, in apertura dell'exposé des motifs, che l'interruzione volontaria della gravidanza (IVG) è garantita in Francia dalla legge Veil sin dal 17 gennaio 1975 e dalle successive modificazioni e integrazioni che hanno allargato le possibilità di accesso alla IVG, realizzando i tre obiettivi di una legislazione realistica, umana e giusta rispetto ai quali si era rivolta la legge fondatrice del 1975. Rileva la relazione al progetto di legge che una tale libertà non è direttamente minacciata o rimessa in causa in Francia, se non da parte di opinioni, fortunatamente, molto minoritarie; tuttavia, la situazione non è la stessa in altri paesi anche di grande rilievo. La recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America del 24 giugno 2022 (1), che ha posto fine alla cinquantennale e celebre giurisprudenza Roe-Wade (2), ha prodotto nel mondo una ondata inquietante – così prosegue l'exposé - e, in particolare in Europa, ha dato spinta a quelle correnti minoritarie che cercano in tutti i modi di ostacolare o negare la libertà delle donne di interrompere volontariamente la gravidanza. Ha dimostrato, dunque, che le libertà e i diritti che riteniamo più preziosi possono essere minacciati e rimessi in discussione anche quando sembrano solidamente acquisiti. L'illustrazione del progetto governativo ricorda che la citata sentenza Dobbs della Corte Suprema USA, e il clima che ne è conseguito, ha determinato la proposizione di alcuni progetti di costituzionalizzazione del diritto all'IVG (3). All'esito del dibattito parlamentare, rispettivamente, l'Assemblea nazionale e il Senato hanno approvato due testi differenti. L'Assemblea un testo che prevede la riscrittura dell'art. 66-2, al fine di garantire alla donna l'effettività del diritto all'interruzione volontaria della gravidanza e l'eguaglianza nel libero accesso a tale diritto. Il Senato una modifica dell'art. 34 secondo cui la legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà della donna di mettere fine alla gravidanza. Il testo proposto dal Governo, sia pur avvicinandosi di più al testo approvato dal Senato, fonde queste due stesure prevedendo che la legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà garantita alla donna di fare ricorso alla IVG. Per un verso, quindi, nel testo governativo viene affermato che la libertà, consacrata e garantita costituzionalmente, in conformità allo spirito della legge Veil del 1975, si riferisce alla interruzione volontaria, e non semplicemente all'interruzione della gravidanza, per non lasciare dubbi sull'oggetto della tutela costituzionale. Per altro verso, l'inserimento del testo della revisione nell'art. 34 della legge fondamentale attesta il riconoscimento del ruolo del Parlamento nello stabilire le condizioni di esercizio della libertà, fondando, tuttavia, la garanzia del suo esercizio, nella Costituzione e non più solamente nella legislazione ordinaria. Per sottolineare il significato della revisione costituzionale, l'illustrazione del progetto chiarisce quale sia la sua conseguenza giuridica e cioè che la libertà di IVG sarà protetta dal controllo del giudice costituzionale, sia direttamente, in occasione della approvazione di una legge, che in sede di proposizione di una questione pregiudiziale. L'iscrizione nella Carta costituzionale, e cioè al livello più elevato della gerarchia normativa, ha avuto esplicitamente il valore di premunire contro qualsiasi rimessa in discussione in sede legislativa ordinaria della libertà riconosciuta alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza. Questo potrà avvenire in futuro solo all'esito di una nuova modifica costituzionale che richiederà un'ampia maggioranza parlamentare e una maggioranza di due quinti delle due Camere per non essere sottoposta a una consultazione referendaria. Sul testo di proposizione governativa si è ritrovata la stragrande maggioranza dei parlamentari che l'ha approvata, sia con il voto delle singole Camere che nella solenne adunanza plenaria del 4 marzo 2024, convocata a Versailles dal Presidente della Repubblica. L'esito della votazione (780 voti a favore, 72 contrari), si colloca oltre il limite dei tre quinti dei voti, previsto dall'art. 89, comma 3, della Costituzione, per l'ipotesi di convocazione presidenziale del Parlamento in seduta comune che esclude l'ulteriore passaggio della consultazione referendaria sul testo approvato. 3. Il significato politico della riforma del nuovo articolo 34 della Costituzione francese Se questo è il significato propriamente giuridico della proposta governativa, nella relazione illustrativa si afferma poi, sotto un profilo più prettamente politico, che la Francia deve sostenere - e sostiene con questa innovazione costituzionale che la pone all'avanguardia, in Europa e nel mondo - la lotta universale per il riconoscimento e la tutela della libertà fondamentale della donna di interrompere volontariamente la gravidanza. Afferma orgogliosamente l'exposé des motifs che la voce della Francia risuona sempre in maniera particolare quando si tratta di diritti e libertà fondamentali e su di essa fanno affidamento tutti coloro che resistono alle volontà politiche e alle condotte più retrograde. Le critiche più significative emerse nel dibattito parlamentare (4) sono state di tre tipi. La prima investe la sovraesposizione del ruolo della Francia nella difesa dei diritti fondamentali. La seconda rileva la inutilità della riforma costituzionale in un contesto politico e sociale in cui né la destra né la sinistra dello schieramento politico, né la stragrande maggioranza dei francesi, hanno intenzione di rimettere in discussione la legislazione esistente. La terza critica è la più articolata perché, da un lato, sottolinea il carattere divisivo che può provocare l'assunzione, in un testo costituzionale, di una linea valoriale molto netta, su un tema così sensibile come la IVG (4). Per altro verso, ma da parte degli stessi parlamentari contrari alla revisione costituzionale, si afferma che la costituzionalizzazione della libertà della IVG ha un valore aggiunto inesistente per le donne francesi perché è proprio la sede legislativa quella in cui continuerà a giocarsi l'effettività del diritto sancito nella Costituzione e, in questo senso, la critica si riconnette alla seconda sull'inutilità della riforma. Infine, in una prospettiva di politique politicienne si sottolinea come il Presidente Macron abbia voluto assumersi la piena paternità della riforma in una contingenza elettorale imminente, come quella che porterà al rinnovo del Parlamento europeo, sollecitando l'elettorato femminile e progressista su un tema storicamente appartenente alle battaglie delle donne e della sinistra ma anche rivolgendosi a quello moderato, sensibile al richiamo del prestigio internazionale della Francia. In sintesi, si contesta l'acquisizione di una vittoria scontata, e sostanzialmente di facciata, per colmare i vuoti e gli insuccessi della politica sociale e internazionale del Governo (5). Di questa critica, che non può essere ignorata in una ricostruzione della vicenda, non è ovviamente il caso di occuparsi in questa sede. A ben vedere – naturalmente dal punto di vista di chi scrive – le altre critiche sono invece, più che infondate, destinate a cedere in una prospettiva visuale di lungo periodo, che è, in fondo, quella propria di ogni Costituzione. Se è vero che, in una scala planetaria, il ruolo della Francia, e dell'Occidente in generale, nella difesa dei diritti fondamentali, non è più quello storico, né quello della seconda metà del Novecento, tuttavia è innegabile che la Francia ha un ruolo importante, se non decisivo, nella scena europea, in cui si contrappongono visioni valoriali molto conflittuali, in tema di diritti fondamentali, e concezioni della democrazia altrettanto antagoniste. Se è condivisibile che le Costituzioni non debbono avere la funzione di ospitare meri proclami politici - soprattutto se autoreferenziali - è assolutamente vitale per una Costituzione intercettare gli equilibri che si determinano nel divenire sociale oltre che in quello politico. Ed è innegabile che la Francia del 1958 aveva una visione del ruolo della donna, nella famiglia e nella società, e della sua sfera di autodeterminazione e di libera disposizione del proprio corpo e della propria sessualità e maternità molto lontano, se non antitetico, rispetto a quello attuale. Se sulla interruzione volontaria della gravidanza si forma nella società un pensiero largamente condiviso e stabile nel tempo, come si è formato in Francia nel lungo periodo, quanto meno a partire dagli anni '70 del Novecento, non si vede perché il Parlamento non debba prenderne atto e trasfonderlo in una norma costituzionale che evidenzi l'emersione di un nuovo diritto fondamentale. La storia degli ultimi decenni dimostra, che sui temi sensibili, se non si pronuncia il Parlamento, interverrà prima o poi la giurisdizione costituzionale, o comunque una giurisdizione suprema, che tenderà a formalizzare e stabilizzare principi generali e diritti e a collocarli al vertice della scala gerarchica del diritto vivente. Non si può contestare alla giurisdizione l'assenza di legittimazione democratica e, nello stesso tempo, negare alla Costituzione un ruolo che va necessariamente al di là del suo contenuto formale e originario (6). A ben vedere è proprio il riferimento al pensiero formalista e neo-originalista radicale che sottrae alle Costituzioni la loro imprescindibile vitalità negandone la forza evolutiva. È questo il fondamentale limite, e il conseguente effetto involutivo, della sentenza Dobbs della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America. Quello cioè di sottrarsi al compito di attualizzare la Costituzione, interpretando evolutivamente un testo che risale a oltre due secoli fa (7). Né può ritenersi che un tema come la libertà di autodeterminazione della donna, e il conflitto con la tutela della vita del nascituro, non abbia un rilievo costituzionale, in un contesto federale. E, conseguentemente, come ha fatto la Corte Suprema USA, demandare agli Stati federati una scelta cruciale su un tema che si ritiene divisivo - come il conflitto fra pro choice e pro life - così moltiplicando, e territorializzando impropriamente, le articolazioni del conflitto in una società ad alta mobilità sociale e residenziale come gli Stati Uniti d'America (8). Ma queste ultime considerazioni valgono meno in uno Stato unitario e a vocazione centralista come la Francia, in cui la determinazione di un principio costituzionale serve, piuttosto, a dettare i limiti entro i quali la legislazione ordinaria deve operare così come il controllo di costituzionalità di competenza del Conseil Constitutionnel. Non certo a ingessare e frustrare il ruolo del legislativo e dell'amministrazione nell'attuazione del diritto cui si è attribuito il rango costituzionale. Un analogo discorso rispetto agli USA si può fare, forse, nel confronto con l'Unione europea. Qui, come è noto, è stato il Parlamento a rivendicare la “costituzionalità” del diritto all'aborto, già con le risoluzioni del 7 luglio 2022 e del 22 novembre 2023 e, recentissimamente, con la risoluzione dell'11 aprile 2024, con la quale il Parlamento europeo ha invitato il Consiglio europeo ad avviare una Convenzione per la revisione dei trattati, al fine di adottare una modifica del testo dell'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, inserendo, come diritto correlato all'integrità della persona e all'autonomia del proprio corpo, il diritto all'accesso a un aborto sicuro e legale (9). Sono evidenti le peculiarità dell'ordinamento dell'Unione europea rispetto a un ordinamento propriamente federale come quello degli Stati Uniti. La prospettiva di una revisione della Carta dei diritti fondamentali UE, secondo la richiesta del Parlamento europeo, appare poco probabile, per effetto del principio di unanimità che regola la modifica dei trattati. La risoluzione del Parlamento ha avuto, però, anche il senso di dare una risposta, di segno opposto, alla “decostituzionalizzazione” del diritto di ricorrere all'aborto, operata dalla Corte suprema federale degli Stati Uniti. Una risposta che, allo stato, ha un rilievo politico importante, che può innescare altri interventi, analoghi a quello francese, sulle Costituzioni dei paesi membri dell'Unione europea, senza però, almeno per ora, attingere, con una modifica dei trattati, al livello della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. La contemporaneità della risoluzione del Parlamento, rispetto alla revisione costituzionale francese, sembra, almeno per ora, dare ragione a quell'effetto propulsivo, auspicato dal costituente francese, che dovrebbe prodursi, sia in Europa che a livello globale, a favore del processo di costituzionalizzazione della libertà di autodeterminazione delle donne. Un significato, in parte implicito, ma non per questo meno profondo, della recente riforma costituzionale francese è nell'aver riconosciuto e consolidato un processo che, partendo dalla società, è pervenuto, negli anni ‘70, a impegnare il Parlamento, creando i presupposti per il superamento di una concezione patriarcale della libertà personale della donna, di cui aveva finito per farsi portatore già il costituente del 1789 e che aveva improntato tutta la legislazione successiva, attraverso le varie Repubbliche della storia francese (10). Non si può dunque comprendere il portato della recente riforma costituzionale se non sia ha presente, sia pure nei suoi tratti essenziali, quale sia stato questo percorso storico. 4. Una breve storia della legislazione francese in tema di IVG In Francia, come nel resto dell'Europa occidentale, il tema dell'IVG si intreccia, a partire dagli anni '60 del Novecento, con la rivendicazione delle nuove generazioni a una vita sessuale libera dai condizionamenti dei costumi del passato, spesso cristallizzati in comportamenti e atteggiamenti ipocriti e bigotti, e con l'aspirazione a una procreazione consapevole e non imposta alla donna come predestinazione a un ruolo familiare e sociale subalterno a quello dell'uomo. Fu in questo clima (11) che l'iniziativa coraggiosa e tenace di un parlamentare gaullista, Lucien Neurwith, fece cadere il muro oppressivo di una legge in vigore dal 1920 che criminalizzava, non solo l'aborto, ma anche ogni forma di contraccezione e addirittura l'informazione sui metodi di contraccezione (12). La proposta di legge parlamentare sovvertiva questa visione eliminando i divieti, attribuendo un valore positivo alla pianificazione familiare e alla contraccezione e prevedendo, con una serie di decreti attuativi, una politica di informazione e di educazione sessuale. La discussione parlamentare fu particolarmente accesa e mise in moto una partecipazione popolare verso un tema, per troppo tempo compresso da ipocrisia e censura, come quello della vita sessuale e del suo rapporto con il diritto e lo Stato. Una commissione parlamentare fu incaricata di ascoltare il punto di vista di personaggi eminenti della cultura e della scienza come Pierre Bourdieu, Jacques Monod, François Jacob, Alfred Sauvy (13). Alla fine, nonostante una strenua resistenza conservatrice, la legge Neurwith fu approvata il 28 dicembre 1967. Al di là della sua importanza la legge rappresenta, ancora oggi, un passaggio storico nella coscienza nazionale francese, un momento di crescita collettiva cui presto dovevano seguirne altri come il sommovimento epocale del maggio 1968, la nascita del movimento femminista, la disobbedienza civile contro l'incriminazione penale dell'aborto (14). Ripercorrere oggi quegli eventi significa tracciare una mappa di un sisma che travolse secoli di subordinazione femminile. Vale ricordare le parole con le quali Lucien Neurwith, secondo il suo stesso racconto, convinse il generale De Gaulle della necessità di portare in Parlamento il suo progetto di legge: «Ascoltatemi Generale, dopo la liberazione avete dato il diritto di voto alle donne. L'avevano ben meritato per le loro lotte nella resistenza, l'avevano guadagnato il loro diritto di voto. Ebbene credo che sia venuto il tempo di dare loro il diritto di essere padrone della loro fecondità perché è la loro fecondità e le donne rappresentano la metà della nostra popolazione». Depurato dal portato paternalistico questa invocazione fa capire, come anche nello schieramento politico moderato, si avesse la consapevolezza che i tempi stavano velocemente cambiando e che non si sarebbe più tornati indietro. Un altro passaggio storico, che ancora conserva una memoria viva nella coscienza dei francesi, fu il processo di Bobigny del 1972, contro una ragazza sedicenne accusata, dal proprio compagno di scuola che l'aveva violentata, di aver abortito (15). La difesa della ragazza, da parte dell'avvocata Giséle Halimi (16), e la sua trasformazione in un manifesto politico contro la criminalizzazione dell'aborto è passata alla storia perché ha messo in moto una rivendicazione delle donne che era latente da tempo nella società francese. Grazie alla mobilitazione di personaggi della cultura, dello spettacolo, della politica iniziò un moto di autodenuncia delle donne e dei medici che in realtà denunciavano l'ipocrisia di una società, e della classe politica che la rappresentava, che ben conosceva il numero impressionante di aborti clandestini, la discriminazione classista che colpiva i ceti popolari costretti a ricorrere ad aborti illegali e pericolosi, spesso letali per chi li subiva, mentre le donne della classi più abbienti potevano recarsi in Inghilterra o in Svizzera o in Olanda dove l'interruzione volontaria della gravidanza era legge (17). Fu così che si arrivò a un altro passaggio parlamentare drammatico e che vide protagonista un'altra donna, Simone Veil, Ministra della Sanità del Governo Chirac, sotto la Presidenza di Valery Giscard d'Estaing, e la sua straordinaria lucidità e determinazione. Il discorso che tenne, in occasione della presentazione in Parlamento del disegno di legge governativo sulla IVG e l'aborto terapeutico, è considerato da molti uno dei momenti più importanti della storia del processo di liberazione delle donne francesi. Sono passati quasi 50 anni da quel discorso che Simone Veil tenne all'Assemblea Nazionale il 26 novembre 1974 (18) ma resta ancora attuale la sua capacità politica, oltre che oratoria, di creare un consenso trasversale sulla necessità di una riforma radicale della legislazione penale in tema di aborto e IVG. Così come resta attuale e lungimirante il suo approccio problematico e dialettico su un tema così sensibile. Nello stesso tempo colpisce la sua fermezza nell'affermare la libertà e la responsabilità delle donne su una scelta così difficile, e spesso drammatica, la necessità di riconoscere loro il diritto a decidere sulla propria vita e la propria maternità. Simone Veil parte, nella sua presentazione, dalla constatazione del fallimento della legislazione penale, risalente al 1920 e al 1923, che criminalizzava pesantemente chi si sottoponeva o provocava un aborto, tranne casi particolari che restavano marginali. Nonostante questa severa legislazione il numero di aborti che venivano praticati clandestinamente in Francia è molto alto. Lei lo indica in almeno 300.000 ogni anno ma altre fonti, come il manifesto di autoaccusa delle 343 donne che dichiararono di aver abortito o quello dei medici che dichiararono di aver praticato aborti in condizioni di sicurezza, parlano di numeri di molto maggiori (19). La situazione attuale è fuori controllo – afferma Simone Veil - dopo le grandi manifestazioni femministe degli inizi degli anni '70, dopo l'autodenuncia delle donne, dei medici e delle ostetriche che hanno indotto il Ministro della Giustizia a chiedere ai pubblici ministeri di non promuovere l'azione penale se non in casi eccezionali. Si è scelta, in sostanza, la strada di ignorare un grave problema sociale, lasciando spesso le donne meno abbienti e più fragili in balia di aborti clandestini che le espongono a gravi danni alla salute e, in molti casi, alla morte. Si è scelto di ignorare le pratiche meno rischiose, perché condotte da medici esperti che preferiscono violare la legge e fornire la propria assistenza alle donne che la richiedono, di ignorare la tendenza degli stessi servizi sociali a informare e suggerire a chi rivolgersi per interrompere la gravidanza, i viaggi, spesso organizzati in forma collettiva, delle donne più abbienti e più emancipate nei paesi europei che hanno già legalizzato l'aborto. Qual è la causa di questo diffuso dissenso sociale verso una legislazione repressiva ormai largamente disapplicata - si chiede Simone Veil. La ragione risiede in un clima sociale profondamente cambiato, in cui le donne, non solamente rifiutano di portare a termine una gravidanza non desiderata, ma non sono più disposte a nascondersi, cercano nuove forme di alleanza con la medicina e l'assistenza sociale, rivendicano politicamente la loro libertà di decidere su una scelta che le riguarda personalmente e intimamente. Un legislatore responsabile non può che prendere atto di questo cambiamento e progettare una legge che sia realistica, umana e giusta. Non si tratta di misconoscere il carattere drammatico della scelta cui sono sottoposte le donne nel caso di una gravidanza indesiderata. “È sufficiente ascoltare le donne” - dice Simone Veil in uno dei passaggi più citati del suo discorso - ; “Nessuna di loro affronta un aborto a cuor leggero (20). “E' sempre un dramma per le donne e tale resterà sempre”. Così come è fuori discussione che l'aborto deve restare una eccezione, l'ultima possibilità per le situazioni senza via di uscita. Quello che serve è trovare, con una nuova legge, una soluzione realmente applicabile, dissuasiva e, nello stesso tempo, protettiva. Analizzando il primo di questi tre requisiti Simone Veil tocca un punto essenziale di una questione così sensibile e che ancora ci interroga. Il compito dello Stato non è, e non può essere, semplicemente quello di depenalizzare l'IVG. Le donne non devono più essere lasciate sole nella loro condizione di detresse (di difficoltà). Devono essere informate dai medici sulle conseguenze dell'IVG sulla loro salute. Devono essere ascoltate dai servizi sociali che le aiutino a oggettivizzare, e possibilmente a risolvere, le difficoltà che le hanno portate a chiedere l'interruzione della gravidanza. Ma se, nonostante questi colloqui, tali condizioni negative non sono ritenute superabili, la parola decisiva deve essere quella della donna, la cui volontà deve essere rispettata perché costituisce il frutto di un travaglio e di una assunzione di responsabilità che riguarda in primo luogo sè stessa e la decisione - che spetta a lei esclusivamente - se mettere al mondo un figlio. Il compito dello Stato è, per un verso, quello di scongiurare gli aborti clandestini, e il loro portato nefasto, e ridurre progressivamente il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza attraverso l'effettività del diritto alla contraccezione, alla pianificazione familiare, utilizzando l'informazione, l'ascolto e la consulenza e predisponendo una politica sociale rivolta al sostegno della natalità e alla rimozione delle disuguaglianze fra uomini e donne nella vita sociale e familiare. Tuttavia, il ruolo centrale e decisivo in questa vicenda resta quello dell'autodeterminazione della donna da rispettare e proteggere. A questa impostazione di grande progresso morale e civile (non solo per il tempo in cui il discorso fu pronunciato) ha fatto evidentemente riferimento la recente proposta governativa della riforma costituzionale francese citando nell'Exposé des motifs sia l'invito, rivolto nel 1974 da Simone Veil al Parlamento, a dare a questo problema sociale una soluzione, nello stesso tempo realistica, umana e giusta, sia, significativamente, richiamando, però, anche l'evoluzione legislativa successiva alla legge del 17 gennaio 1975 (la c.d. legge Veil che recepì in larga parte la proposta governativa). In effetti la legge Veil è ispirata a un confronto di alto profilo con la realtà e alla definitiva acquisizione del principio per cui la libertà e la responsabilità di questa decisione (che la Veil ritiene, come si è detto, sempre dolorosa e spesso tragica) deve spettare esclusivamente alla donna. Tuttavia, è evidente che, per ottenere un consenso parlamentare niente affatto scontato e per rispondere soprattutto ai dubbi di carattere etico presenti in tutti gli schieramenti politici e nella società, la legge Veil si presenta oggi come un testo molto timido e ancora condizionato da secoli di patriarcato e buone intenzioni paternalistiche. Questo carattere emerge in primo luogo dall'esplicita negazione, nel discorso del 26 novembre 1974, del riconoscimento alle donne di un diritto di interruzione volontaria della gravidanza. Ci si muove piuttosto nel quadro di una depenalizzazione condizionata al rispetto delle rigide e numerose prescrizioni procedimentali imposte dalla legge per escludere l'applicazione dell'art. 317 del Codice penale. Non si riconosce neanche il diritto della donna a ottenere dalla Sécurité sociale il rimborso delle spese sostenute per l'intervento, che dovrà comunque essere praticato sempre in ambiente ospedaliero, sia pubblico che privato. Sebbene poi ne sia attribuita la ricognizione alla donna, è presupposto per il legittimo ricorso all'IVG quello di versare in una condizione di detresse di seria difficoltà, di emergenza o pericolo (21). Alla giusta previsione del compito dello Stato di non lasciare sole le donne, che vivono questa difficile scelta, si associa una procedura di consultazione obbligatoria, sia medica che psico-sociale, con una pausa di riflessione imposta per condurre la donna a misurare tutta la gravità della decisione che si propone di prendere. Si richiede poi, per le minorenni, il vincolo della consultazione preliminare dei genitori. Vi è nella filosofia della legge una evidente ambiguità fra l'intento di non ostacolare la decisione della donna di interrompere la gravidanza e quello di cercare di scongiurare questa decisione. Questa ambiguità è stata risolta dai successivi interventi legislativi, sulla spinta del movimento femminista, che ha trainato il passaggio dalla depenalizzazione al diritto, ma anche per effetto del confronto con la realtà della sua applicazione. Per ricostruire, in sommi capi, questa evoluzione normativa vanno menzionate le tappe più importanti. La sentenza Lahache del 1981 del Consiglio di Stato ha sancito il carattere facoltativo della partecipazione del coniuge alla consultazione e alla decisione, sancendo l'esclusiva responsabilità e libertà della donna (22). Di fatto questa decisione ha aperto la strada all'abrogazione del presupposto della detresse (23). La legge n. 1982-172 del 31 dicembre 1982 ha previsto la copertura delle spese di cura e ospedalizzazione da parte della Securité sociale. Progressivamente la copertura è stata resa integrale (24). A partire dal 1990 la IVG con metodo farmacologico è stata autorizzata dal legislatore, prima esclusivamente in ambiente ospedaliero e poi anche presso i medici di base (nel 2004), e i centri di pianificazione familiare e di educazione familiare (25). Nel 1993 è stato introdotto il delitto di ostacolo (entrave) alla IVG, che consiste anche nella disinformazione specificamente su internet e attraverso i numeri verdi. Nel 2013 è stato istituito un sito internet del governo dedicato all'informazione sulla IVG. Nel 2016 la previsione incriminatrice è stata estesa agli ostacoli realizzati attraverso piattaforme digitali (26). Nel 2000 è stata previsto l'accesso alla contraccezione di urgenza senza prescrizione medica e gratuita e anonima per le minorenni (27). Nel 2001 si è previsto che le ragazze minorenni possono richiedere il ricorso alla IVG senza consultare preliminarmente i genitori se sono accompagnate nella struttura sanitaria da un adulto di loro scelta. I genitori non saranno di conseguenza informati sulla richiesta e non avranno accesso al dossier medico. Nel 2015 è stato soppresso il termine di riflessione di una settimana decorrente dalla dichiarazione scritta della donna di voler intraprendere la IVG all'esito delle consultazioni obbligatorie (termine già riducibile a due giorni se il termine massimo per praticare la IVG stava per scadere). Nella prima consultazione medica viene, ancora oggi, effettuato un esame clinico e la gestante viene informata dei differenti metodi, dei rischi e degli effetti secondari possibili. Nel 2016 il colloquio psico-sociale è stato reso facoltativo, e può avere luogo se ve ne è richiesta da parte della donna, mentre è rimasto obbligatorio per le minori. Il medico, o l'ostetrica, può rifiutare di praticare la IVG ma entrambi hanno l'obbligo di indirizzare la donna presso un organismo o un collega che pratichi la IVG. A partire dal 2001 e sino al 2022 (28) è stata progressivamente estesa la durata della gravidanza entro la quale è legittimo il ricorso alla IVG (attualmente 14 settimane). Le statistiche sul numero delle IVG in Francia e nei territori d'oltre mare registrano nel corso degli anni 2000-2023 un tasso di IVG prossimo al 25% delle gravidanze che comporta un totale di circa 200.000 -230.000 IVG per anno. L'IVG è più diffusa fra le donne comprese fra i 19 e i 25 anni, nei territori di oltre mare rispetto alla Francia metropolitana (il c.d. hexagone), fra le fasce di popolazione meno abbienti. Si assiste a una progressiva inversione fra numero di IVG farmacologiche e chirurgiche a favore delle prime. Gli aborti clandestini sono progressivamente diminuiti per sparire del tutto dalle statistiche a partire dall'inizio di questo secolo. Le IVG nel periodo 1975-1985 costituivano il 33% delle gravidanze mentre a partire dalla seconda metà degli anni '80 sono progressivamente diminuite per attestarsi su percentuali e numeri complessivi pari a quelli del XXI secolo (29). La Francia conferma quelli che sono i trend mondiali e cioè che la legalizzazione comporta una diminuzione complessiva delle IVG, quantomeno nei primi anni, e tende a continuare a diminuire o a stabilizzarsi successivamente. Sebbene non immediatamente, scompaiono gli aborti clandestini. A differenza dell'Italia, dove il numero delle IVG è sia quantitativamente che proporzionalmente diminuito in misura maggiore. Tuttavia, i problemi riscontrati - in verità in misura molto maggiore in Italia rispetto alla Francia – riguardano la riduzione delle strutture sanitarie, l'assenza di politiche efficaci sulla contraccezione e sul sostegno alla maternità, la scarsa informazione sulla possibilità di partorire anonimamente, la sperequazione su base territoriale in relazione alla diffusione fra medici, e personale di ostetricia, dell'obiezione di coscienza. L'opinione pubblica in Francia è largamente favorevole (83%) alla legislazione vigente e tale atteggiamento copre l'intero arco delle preferenze politiche passando dal 95% degli elettori ecologisti al 75% degli elettori dell'estrema destra di Eric Zemmour (30). In conclusione si può dire che, a distanza di ormai quasi cinquant'anni dal celebre discorso di Simone Veil del novembre 1974, è entrata nella coscienza collettiva francese la convinzione che alle donne deve essere riconosciuta la libertà di decidere autonomamente sulla propria vita sessuale e riproduttiva e che, se tale libertà di decisione conduce alla scelta di interrompere volontariamente la propria gravidanza, a tale scelta deve essere attribuita la dignità di un diritto fondamentale che obbliga lo Stato a garantirne l'effettività. Non stupisce pertanto l'ampia maggioranza raggiunta in Parlamento dalla proposta di revisione costituzionale. Nell'arco di un cinquantennio si è completamente rovesciata la costituzione materiale e quella formale su un contenuto di vitale importanza e cioè la piena titolarità dell'habeas corpus femminile che, sino ad allora, è stato negato sulla base di una concezione patriarcale e statalista del corpo delle donne, che presupponeva una sovranità limitata, in nome di un dovere procreativo che ne delineava il ruolo subalterno nella società e nelle relazioni familiari. 5. Dalla Francia all' Unione Europea. La risoluzione del Parlamento europeo dell'11 aprile 2024 La riforma costituzionale francese ha trovato un'eco immediata nella risoluzione che il Parlamento europeo ha approvato (con 336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astenuti) lo scorso 11 aprile. L'oggetto specifico della risoluzione è quello della richiesta del Parlamento di includere il diritto all'aborto nella Carta dei diritti fondamentali (31). Questo è il titolo della risoluzione e il testo della modifica proposta consiste nell'inserimento di un paragrafo (2-bis) aggiuntivo all'interno dell'art. 3 della Carta (il cui titolo viene modificato con l'aggiunta al titolo originario: “diritto all'integrità della persona” delle parole “e all'autonomia del corpo” ). Questo è il testo del paragrafo nella versione italiana: «Ogni persona ha diritto all'autonomia del corpo e all'accesso libero, informato, pieno e universale alla salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti, come pure a tutti i servizi di assistenza sanitaria correlati, senza discriminazioni, compreso l'accesso a un aborto sicuro e legale». Il quadro dei riferimenti normativi, politici e di soft law, l'ampio spettro e la rilevanza dei temi affrontati nei considerando, l'importanza e la articolazione delle raccomandazioni e degli ammonimenti rivolti agli Stati membri dell'Unione, nella parte volitiva della risoluzione, la rendono una sorta di quadro riaffermativo e propulsivo dei principi costituzionali, accolti dalla maggioranza degli Stati membri dell'Unione europea. La risoluzione ha il dichiarato intento di contrastare la fase di regressione mondiale dei diritti fondamentali, e, in particolare, di rimessa in discussione delle legislazioni che prevedono da tempo la libertà o il diritto per la donna di abortire seppure rispettando alcune condizioni previste dalle leggi nazionali. La risoluzione, inoltre, partendo dalla libertà di autodeterminazione della donna in tema di sessualità e maternità, investe i compiti che dovrebbero essere assolti dall'Unione e dagli Stati per attuare una piena tutela dei diritti delle persone nella sfera della propria sessualità, delle scelte procreative, della salute e della libera disponibilità del proprio corpo. Si potrebbe dire che la risoluzione traccia una ridefinizione programmatica dell'habeas corpus europeo su questi temi sensibili e che coinvolgono nel profondo la vita delle persone. Nel richiamare i precedenti normative e di soft law, e i testi più strettamente politici, il Parlamento europeo ricorda in primo luogo, e in particolare, le sue, precedenti e recenti, risoluzioni sull'attuale regresso dei diritti delle donne e dell'uguaglianza di genere nell'Unione europea, sulla criminalizzazione e l'impedimento di fatto dell'aborto in Polonia, sull'abolizione del diritto all'aborto a livello federale negli USA per effetto della sentenza Dobbs della Corte Suprema degli Stati Uniti, sulla necessità di tutelare il diritto all'aborto e la salute sessuale e procreativa delle donne e delle persone nell'Unione europea (32). Segue poi il riferimento: a) alle comunicazioni della Commissione UE che delineano le strategie per il quinquennio in corso (2020-25) su parità di genere e uguaglianza LGBTIQ (33); b) ai piani di azione dell'OMS in materia di salute e di benessere delle donne e in particolare di salute sessuale e riproduttiva (34) e nei considerando D, E, e F; c) alle decisioni del Comitato ONU per i diritti umani che sanciscono il diritto di interrompere volontariamente la gravidanza come espressione del diritto al rispetto della vita privata (35); d) alla raccomandazione del Comitato ONU per l'eliminazione delle discriminazioni contro le donne (CEDAW) che invita gli Stati ad abrogare la legislazione che criminalizza l'aborto perché costituisce una violazione della salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti delle donne e, come tale, è integrativa di una violenza di genere (36); e) agli obiettivi di sviluppo sostenibili delle Nazioni Unite sull'accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva e sulla informazione, educazione, pianificazione familiare in materia (37). La risoluzione considera il diritto all'aborto sicuro e legale e, in generale, il diritto al rispetto della salute sessuale e riproduttiva un diritto fondamentale perché intimamente connesso ai valori costitutivi della Carta dei diritti: dignità personale, uguaglianza e parità di genere, non discriminazione, autonomia personale, salute e integrità della persona, protezione della vita privata e della libertà personale. Ritiene che la possibilità di controllare la propria vita riproduttiva, di decidere se, quando e come avere figli è essenziale per il rispetto di tali diritti umani che la Carta dei diritti considera come diritti fondamentali (considerando A, B, C). Negli altri considerando il Parlamento traccia un quadro generale della situazione globale e di quella specifica dell'Unione Europea. In particolare, quanto alla situazione globale, sono di particolare rilievo le considerazioni del Parlamento, di cui ai considerando N e O, dove si ritiene che si sta verificando, a livello mondiale, un regresso coordinato, e ben finanziato da forze regressive, attori ultrareligiosi o di estrema destra che cercano di annullare decenni di progressi in materia di diritti umani e di imporre una visione dannosa dei ruoli di genere nelle famiglie e nella vita pubblica in stretta connessione con la tendenza a un regresso di stampo autoritario ai danni della democrazia globale che costituisce una chiara minaccia allo Stato di diritto in Europa. In particolare, sono sotto attacco i diritti sessuali e riproduttivi e l'autonomia delle donne con l'obiettivo di influenzare le politiche e le legislazioni degli Stati membri. La risoluzione prende in esame specificamente la situazione europea. Esprime un forte apprezzamento per la revisione costituzionale francese, che ha prodotto iniziative analoghe in Spagna e Svezia, e dimostra la necessità di una risposta europea all'attuale fase di regresso e una protezione costituzionale a livello europeo dei diritti all'uguaglianza di genere e alla salute sessuale e riproduttiva delle donne e delle persone (considerando H, I). Esprime, al contrario, un altrettanto forte dissenso per le politiche restrittive adottate in Polonia, Ungheria e Malta (considerando P, Q, R, S) e lamenta come ancora persistano gravi ostacoli di natura giuridica, politica, finanziaria, culturale, informativa, che rendono difficile o anche impossibile l'esercizio dei diritti fondamentali che la risoluzione intende tutelare (considerando K, M, T, U, V, W, X, Z). In particolare la risoluzione si riferisce alle limitazioni all'assistenza e ai tagli finanziari e strutturali in danno dei presidi sanitari, agli impedimenti de facto come avviene, ad esempio, in alcuni paesi (Italia, Romania, Slovacchia) in cui il ricorso generalizzato all'obiezione di coscienza rende, in alcuni territori o presidi sanitari, impraticabile l'aborto anche nei casi di urgenza, alla disinformazione o agli ostacoli all'informazione (come avvenuto in Germania dove la pubblicazione di informazioni, su siti medici web, relative ai metodi abortivi, era considerata incitazione all'aborto), alla persistenza, sia pure parziale, della criminalizzazione (come in Belgio), alla assenza di formazione dei medici e degli studenti universitari, al diniego di accesso all'aborto anche in casi di stupro subite da donne rifugiate (specificamente subiti da donne provenienti dall'Ucraina), alle difficoltà specifiche e ulteriori che subiscono le persone e i gruppi emarginati (migranti o persone appartenenti a minoranze etniche e religiose, a contesti socio-economici svantaggiati, persone che vivono in contesti rurali o isolati, LGBTIQ+, disabili, vittime di violenza). Tutte queste proibizioni, ostacoli o difficoltà costituiscono una forma di violenza di genere o di discriminazione che non produce una riduzione del numero degli aborti ma provoca gravi danni alla salute e decessi, soggezione a sanzioni penali, ricorso a trasferimenti e a spese forzate che pregiudicano le donne più povere e meno istruite. La risoluzione, nel richiedere la citata modifica della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, rammenta dunque il carattere di diritto fondamentale del ricorso all'aborto come espressione dell'autonomia delle donne nel controllo della propria vita sessuale e riproduttiva. Disegna poi una serie di linee di azione rivolte alla Unione europea, in generale e specificamente alla Commissione, e agli Stati membri. In primo luogo il Parlamento opera una scelta di campo laddove invita l'Unione europea ad agire come sostenitore del diritto delle donne e delle persone di decidere sulla propria vita sessuale e riproduttiva e di fare ricorso all'aborto e laddove richiede all'Unione di fare del riconoscimento del diritto delle donne alla salute sessuale e riproduttiva e al ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza una priorità fondamentale nei negoziati in seno alle istituzioni internazionali e in altri consessi multilaterali, quali il Consiglio d'Europa e le Nazioni Unite (38). Altrettanto esplicita è la risoluzione nel condannare il deterioramento dei diritti e le tendenze regressive in atto, come pure le forme di minaccia, intimidazione o vessazione nei confronti delle organizzazioni della società civile e dei singoli cittadini che si adoperano per far progredire i diritti umani e nell'invitare la Commissione a garantire che le organizzazioni che operano contro la parità di genere e i diritti delle donne non ricevano finanziamenti da parte dell'Unione europea. Quanto agli Stati membri dell'Unione, il Parlamento europeo richiede la completa depenalizzazione dell'aborto secondo le linee guida elaborate nel 2022 dall'OMS (39) e la rimozione degli ostacoli che impediscono l'accesso a un aborto legale, sicuro e gratuito nonché di garantire l'accesso a una assistenza sicura, anch'essa legale e gratuita, alla informazione e all'educazione sessuale e riproduttiva, alla pianificazione familiare volontaria, alla contraccezione, con una particolare attenzione ai servizi destinati ai giovani e alle persone e ai gruppi a rischio di discriminazione. Richiede, inoltre, che l'esercizio della obiezione di coscienza non debba pregiudicare mai la vita e la salute delle donne. Invita gli Stati: ad aumentare le risorse finanziarie destinate a rendere effettivi i diritti oggetto della risoluzione; a rendere obbligatoria la formazione dei medici e degli studenti specializzandi in ginecologia sui metodi e le procedure relative all'interruzione della gravidanza; a sostenere e proteggere le organizzazioni delle società civile che prestano servizi e sostengono la tutela della salute sessuale e riproduttiva in armonia con i principi della risoluzione; ad avvalersi, a tal fine, degli strumenti esistenti, specificamente i programmi “Cittadini, uguaglianza, diritti e valori” e “EU4Health”. 6. Quali prospettive apre la risoluzione del Parlamento europeo? La questione del diritto delle donne di interrompere volontariamente la loro gravidanza è oggetto anche in Europa di una forte contrapposizione valoriale, che nasconde in realtà un conflitto politico e, a sua volta, trova la sua radice nella reazione contro un mutamento epocale che è avvenuto negli ultimi cinquant'anni nei rapporti fra uomini e donne e che sta determinando la fine di una costruzione patriarcale della società. Il tema della riappropriazione del proprio corpo da parte delle donne costituisce la chiave di volta di questa silenziosa e incruenta rivoluzione sociale che ha dimostrato di vivificare anche le nostre democrazie. L'impossibilità di scindere questo contenuto politico dai profili etici, che indubbiamente rendono l'aborto un tema controverso e irriducibile a semplicità, ha portato i legislatori e i giudici a trovare un difficile punto di equilibrio che consente di farsi carico del dato reale per cui la proibizione legale dell'aborto non fa che determinare il fenomeno degli aborti clandestini e, sotto un apparente anelito di tutela della vita nascente, nasconde spesso il desiderio di ripristinare una tirannia di genere contro la quale nel corso dei secoli le donne non hanno mai smesso di lottare. La legalizzazione dell'aborto ha significato il tentativo riuscito di uscire da questa oppressione per creare i presupposti di un rapporto di uguaglianza fra i generi e nello stesso tempo per costruire una visione nuova della sessualità e della riproduzione umana improntata alla consapevolezza, all'autodeterminazione e alla condivisione dei compiti della genitorialità. L'accesso a un aborto sicuro, legale e gratuito è una scelta di rilevanza costituzionale per certi versi dolorosa ma necessaria. Questo è il substrato – a mio modo di vedere – della risoluzione del Parlamento europeo che, a una lettura superficiale, può sembrare, invece, un manifesto politico di parte. Ma, non a caso, – proprio perché non lo è - essa ha ricevuto il voto di una larga maggioranza politica composta da gruppi parlamentari diversi e anche distanti fra loro. Di qui la pretestuosità della critica svalutativa della risoluzione perché ignorerebbe un tema etico fondamentale, agitato dai movimenti anti-abortisti, e cioè la violazione, insita nell'aborto, di un diritto umano primario qual è il diritto alla vita del concepito. Si tratta di una critica che prescinde dal dover decidere politico. Un tema questo, come si è detto, ben evidenziato nel 1974 da Simone Veil. Ed è questo il presupposto sottostante alle legislazioni che legalizzano l'aborto: la necessità, il dovere degli Stati di dare una risposta a un grave problema sociale che non poteva, e tanto meno oggi può, consistere in un oscuro ritorno al passato. Contrapporre il diritto alla vita del concepito alla libertà personale della donna è a ben vedere una scelta ipocrita, irresponsabile e antidemocratica. Il progetto politico, che ha prevalso in Europa, è stato, piuttosto, quello di ridurre e, in un futuro auspicabile, eliminare il ricorso all'aborto attraverso la sua legalizzazione e l'intervento attivo dello Stato nel renderlo sicuro ed effettivamente praticabile da parte di tutte le donne. È un progetto che ha avuto successo nonostante le resistenze e gli innumerevoli ostacoli che gli sono stati frapposti. Dove il progetto è mancato non è stato affatto per aver incrementato il numero degli aborti – perché è avvenuto dovunque il contrario - ma per le omissioni e le opposizioni a tutto quello che il progetto comportava come contesto positivo ed emancipatorio: l'accesso alla salute, alla educazione sessuale e riproduttiva, alla contraccezione e alla pianificazione familiare, all'assistenza e alla consulenza rispettosa della dignità personale, il sostegno ai soggetti economicamente deboli e a rischio di discriminazione, lo spazio riservato all'obiezione di coscienza che non può non coesistere con la garanzia per le donne di poter accedere all'IVG senza penalizzazioni territoriali o ritardi da parte delle strutture sanitarie, il sostegno finanziario al sistema sanitario pubblico, alle associazioni e alla ricerca scientifica. Tutto questo c'è nella risoluzione del Parlamento europeo e infatti la proposta di revisione della Carta dei diritti fondamentali si inserisce - a differenza della riforma francese che ha scelto la formula dell'equilibrio fra legislazione ordinaria e costituzione – in una norma che consacra un diritto umano e fondamentale non solo per gli uomini ma finalmente anche per le donne e per le persone in generale. Quello alla integrità personale e alla sovranità personale sul proprio corpo. Un diritto antichissimo, che ha generato il costituzionalismo in Europa, sotto l'espressione dell'habeas corpus , della intangibilità della persona da parte del potere. Come pure nella proposta di revisione della Carta vi è il ruolo attivo che gli Stati devono assolvere per garantire l'accesso libero, informato, pieno e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti e ai servizi di assistenza sanitaria necessari compreso l'accesso a un aborto legale, sicuro e gratuito. Un'altra critica forse ancora più abusata e immediata alla risoluzione del Parlamento europeo è stata quella di essere un documento meramente simbolico e privo di efficacia reale che investe materie sottratte alla competenza dell'Unione. Gli Stati membri contrari a questa revisione di valore costituzionale – si è detto – opporrebbero sicuramente un veto, renderebbero così la revisione della carta inattuabile avvalendosi del principio dell'unanimità che concerne le modifiche dei trattati nel contesto dell'Unione. Sicuramente quest'ultima osservazione è fondata perché è prevedibile che alcuni Stati (e purtroppo forse anche l'Italia) si opporrebbero a questa revisione del testo della Carta, sempre che il Consiglio europeo decida di convocare una convenzione per la modifica dei trattati. Tuttavia, per altro verso, la critica di irrilevanza della risoluzione rivela una percezione disattenta o cripticamente consapevole dell'importanza della risoluzione. In primo luogo, l'importanza politica di questa risoluzione.[GB1] In un contesto globale fortemente regressivo, - inaugurato a livello istituzionale dalla Corte Federale Suprema degli USA -, il Parlamento ha ribadito, prontamente e a larga maggioranza, un dato reale incontestabile. Gli europei non vogliono tornare indietro sovvertendo o depotenziando la legislazione che, nel corso di questi cinquant'anni, ha legalizzato l'aborto. E sono anche favorevoli a veder rilanciare la strategia complessiva, largamente disattesa da molti Stati dell'Unione, che porta progressivamente a una riduzione degli aborti. La maggioranza politica in Europa, quella degli Stati membri, la maggioranza dei cittadini europei, sia nel loro complesso che nei singoli Stati - come dimostra il recente esito elettorale polacco - sono su questa posizione. Si tratta di un messaggio forte all'opinione pubblica internazionale, agli Stati membri e alle correnti oltranziste che puntano al conflitto ideologico su questi temi o pongono in atto azioni di disinformazione, di intimidazione e violenza contro le donne e i medici non obiettori. In secondo luogo, quanto alle competenze dell'Unione, molti dei temi affrontati dalla risoluzione presentano aspetti condivisi di competenza statale e unionale. Vi è poi da considerare l'appartenenza dell'accesso all'aborto al valore costituzionale europeo della libertà e dell'integrità personale, al principio di uguaglianza e non discriminazione, al diritto alla salute, alla tutela della riservatezza personale e della non ingerenza nella vita privata. Tutti principi e diritti consacrati nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione di cui la Corte di Giustizia UE è l'interprete finale. Come pure l'evidenza di un idem sentire non solo fra gli Stati, ma anche fra i cittadini europei, sul tema dell'aborto non può non essere preso in considerazione dalla Corte Europea dei diritti umani. Infine, la risoluzione offre agli Stati membri e ai cittadini europei una possibilità di comunicazione diretta con il Parlamento per valorizzare e difendere i diritti che la risoluzione riafferma. In questa prospettiva oltre all'adempimento dei doveri e dei compiti e all'accoglimento degli inviti che la risoluzione rivolge o richiede agli Stati, i temi posti in discussione dalla risoluzione potrebbero generare, vista la sostanziale identità di vedute fra la maggioranza degli Stati europei, e quella con altri Stati non appartenenti all'Unione, l'occasione per accordi multilaterali, che sanciscano l'esistenza di un'area geopolitica omogenea, che riconosca i valori della risoluzione come valori comuni, e istituisca forme di cooperazione per la realizzazione dei compiti di assistenza, informazione, cogestione dei servizi, con la finalità di una piena liberazione personale nelle scelte riproduttive, orientata alla fruibilità, ma anche alla progressiva riduzione, del ricorso all'aborto. Allo stesso modo non sembra preclusa la possibilità di ricorrere da parte degli Stati membri a strumenti di cooperazione rafforzata che abbiano ad oggetto, ad esempio, i servizi di informazione, di assistenza e consulenza, la ricerca scientifica e sociologica, lo scambio di informazioni e di personale qualificato. In conclusione, può registrarsi la sintonia fra i due interventi del Parlamento francese e di quello europeo. In entrambi sembra rivivere lo spirito dialogante e costruttivo del discorso di Simone Veil. Se si parte, senza pregiudizi ideologici, dal dovere della politica di dare una risposta ai cambiamenti e alle esigenze della società si apre quel percorso che in Europa ha portato alla costruzione dei diritti fondamentali delle persone alla autodeterminazione e alla tutela della vita sessuale e riproduttiva. In questo quadro il diritto all'aborto legale, sicuro e gratuito va mantenuto e reso effettivo perché costituisce – come dimostra l'esperienza di questi cinquant'anni – la condizione per una progressiva riduzione del ricorso a una scelta impegnativa per ogni persona e carica di profili etici e morali. Al contrario il ritorno a politiche e legislazioni repressive o il sabotaggio della legislazione esistente non può che far rivivere il fantasma sinistro degli aborti clandestini e della sottomissione delle donne. Note (1) La sentenza Dobbs (Dobbs, State Health Officer of the Mississippi Dep. Of Health et al. v. Jackson Women's Health Organization et al. è riportata per intero in supremecourt.gov. (2) La letteratura sulla giurisprudenza Roe - Wade è sterminata. Fra i contributi in lingua italiana si segnalano senza pretesa di esaustività: Baraggia A., Stati Uniti e Irlanda. La regolamentazione dell'aborto in due esperienze paradigmatiche, Torino, 2022; Busatta L., Effettività dei diritti e dati scientifici: verso una nuova era dell'abortion rights adjudication negli Stati Uniti in Quaderni Costituzionali, 4, 2016; Quanto vincola un precedente? La Corte Suprema degli Stati Uniti torna sull'aborto, in DPCE on line, n. 3, 2020, p. 4453 ss.; Di Martino A., Donne, aborto e Costituzione negli Stati Uniti d'America: sviluppi dell'ultimo triennio, in Nomos, n. 2, 2022; Mancini S., Il canarino nella miniera del liberalismo: i diritti riproduttivi nell'America di Trump, in Riv. BioDir., n. 2, 2021, p. 257 ss.; Un affare di donne. L'aborto fra libertà eguale e controllo sociale, Padova, 2012; Sperti A., La Corte Suprema degli Stati Uniti ritorna sul tema dell'aborto, in Riv. dir. civ., n. 4, 2001; La Corte Suprema statunitense ed il tema dell'aborto: una pronuncia restrittiva in vista di un futuro ripensamento del caso Roe-Wade?, in Foro It. 2007, VII, IV, p. 396 ss. 2007; Viggiani G., La questione giuridica dell'aborto negli USA, in International Journal of Gender Studies III, V, 2014, p. 108 ss. (3) Nel 2022 sono state presentate all'Assemblea Nazionale due proposte di legge costituzionale: il 30 giugno 2022 da parte di Aurore Bergé, presidente del gruppo parlamentare Renaissance, (che prevede la modifica dell'art. 66 della Costituzione disponendo che «nessuno può essere privato del diritto all'interruzione della gravidanza») e il 6 luglio 2022, da parte dei presidenti dei gruppi parlamentari federati nella NUPES, prima firmataria Mathilde Panot. Il testo prevede che sia inserito un paragrafo nell'art. 66 secondo cui «Nessuno può ostacolare il diritto fondamentale alla IVG. La Nazione garantisce a ogni persona l'accesso effettivo a questo diritto». La senatrice ecologista Mélanie Vogel ha presentato, a sua volta, il 12 ottobre 2022, una proposta di legge costituzionale, respinta dal Senato il 19 ottobre, secondo cui “Nessuno può portare pregiudizio al diritto alla IVG e alla contraccezione. La legge garantisce a chiunque ne faccia domanda l'accesso libero ed effettivo a questo diritto”. Il 7 ottobre 2022 il gruppo federato NUPES ha riproposto alla Assemblea nazionale il testo presentato al Senato dalla sen. Vogel che è stato approvato, con 337 voti a favore contro 32, il 24 novembre 2022, emendato come segue: «La legge garantisce l'effettività e l'eguale accesso al diritto alla IVG». In parallelo il Senato, il 1° febbraio 2023, anche al fine di precludere la necessità del ricorso al voto referendario, necessario se l'approvazione delle due camere fosse intervenuta su un identico testo - ha approvato un testo differente («La legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà delle donne di mettere fine alla propria gravidanza»). In questa situazione di stallo, l'8 marzo 2023, il Presidente Macron ha annunciato la imminente presentazione di un progetto di legge costituzionale. Per pressare l'iniziativa del Governo, il gruppo parlamentare di France Insoumise ha annunciato, a sua volta, la ripresentazione del suo progetto di legge costituzionale. Infine, il 12 dicembre 2023, è stato presentato il progetto governativo, a firma del Presidente Macron, di Elisabeth Borne (Primo Ministro) e di Eric Dupond Moretti (Guardasigilli). Il progetto ha ripreso, con leggere modificazioni, il testo approvato al Senato (“La legge determina le condizioni con le quali si esercita la libertà garantita alla donna di fare ricorso alla interruzione volontaria della gravidanza”). Tale progetto aveva già ottenuto, il 7 dicembre 2023, il parere favorevole del Consiglio di Stato che, in particolare, aveva sciolto due interrogativi che potevano mettere in forse l'approvazione delle due Camere e cioè: a) che non vi è differenza di effetti tra la costituzionalizzazione della libertà di IVG rispetto a quella del diritto; b) che la parola “donna” al posto di “persona” non può significare che la libertà di IVG non sarà garantita a chiunque, e in particolare alle persone LGBTIQA+, senza considerare lo stato civile, l'età, la nazionalità e la situazione relativa al permesso di soggiorno. Dopo essere stata approvata dall'Assemblea nazionale (493 voti favorevoli contro 30) e dal Senato (267 voti favorevoli contro 50) la proposta di legge costituzionale è stata approvata dal Parlamento in seduta plenaria (réuni en Congrès) il 4 marzo 2024 (con 780 favorevoli e 72 contrari). Hanno votato a sfavore 50 parlamentari del gruppo LR (Les Républicains) e 13 del gruppo RN (il Rassemblement National di Marine Lepen). La legge costituzionale n. 2024-200 relativa alla libertà di ricorrere all'interruzione di gravidanza porta, significativamente, la data dell' 8 marzo 2024 e recita: «Après le dix-septième alinéa de l'article 34 de la Constitution, il est inséré un alinéa ainsi redigé: “La loi détermine les conditions dans lesquelles s'exerce la liberté garantie à la femme d'avoir recours à une interruption volontaire de grossesse". (4) V. videos.senat.fr. (5) Lamizet B., Comprendre la Constitutionnalisation de l‘IVG, Médiapart, 7 mars 2024 in blogs.mediapart.fr. (6) Secondo parte della dottrina statunitense la sentenza Roe-Wade rappresenta un esempio negativo di assunzione di un ruolo improprio da parte del giudiziario, per altri versi si è imputato alla sentenza Roe-Wade di non aver analizzato la questione dell'aborto sotto il profilo dell'uguaglianza tra i generi. In generale, tuttavia, si riconoscono gli effetti deflagranti dell'overruling di Dobbs, che costituiscono una rottura inedita del principio cardine, in un ordinamento di common law, dello stare decisis, proprio in una materia riconosciuta da oltre cinquant'anni come attinente a diritti fondamentali delle donne. Si prospetta con preoccupazione, da molti, il possibile impatto, di questa visione neo-originalista, su altri diritti fondamentali che potrebbero subire un downgrade da parte di una Corte Suprema fortemente conservatrice. Una accurata ricostruzione sul dibattito ultradecennale che, negli USA, ha investito i limiti della judicial review e del judicial activism, si trova in Baraggia A., Stati Uniti e Irlanda. La regolamentazione dell'aborto in due esperienze paradigmatiche, cit. Mentre in Mancini S., Un affare di donne. L'aborto fra libertà eguale e controllo sociale, Padova, 2012 si trova una interessante ricostruzione del dibattito sulla carenza in Roe di qualsiasi reasoning relativo alla equal protection clause e al principio di uguaglianza e non discriminazione come fondamenti costituzionali del diritto all'aborto. Particolarmente interessanti nei due testi i riferimenti a Balkin J.M., What Roe-Wade should have said, Preface, in New York University Press, N.Y.C. – London, 2005; Shapiro I., Abortion, the Supreme Court Decisions (1965/2077), Introduction, Indianapolis, 2007; Bader Ginsburg R.B., Some Thoughts on Autonomy and Equality in relation to Roe v. Wade, in North Carolina Law Review, n. 63, 1985, p. 375 ss.; Speaking in a Judicial Voice, in New York Law Review, VI, 67, 1992; Dworkin R., The life's dominion. An argument about abortion, euthanasia, and individual freedom, New York, 1994; Tribe L., The Clash of Absolutes, W.W. Norton Company, New York, 1990; Bartlett K., Pregnancy and the Constitution. The uniqueness trap, in California Law Review, 62, 5, 1974, p. 1532-1536; S.A., Law, Rethinking Sex and the Constitution, in University of Pennsylvania Law Review, 132, 1984, p. 1007; MacKinnon C.A., Towards a Feminist Theory of the Stat, in Harvard University Press, Cambridge, 1989, p. 184 ss.; Caruso C., Originalismo e politicità della Corte suprema degli Stati Uniti, in associazionedeicostituzionalisti.it, n. 7/2022. (7) In tema di originalismo, in relazione al diritto all'aborto a partire dalla sentenza Roe, cfr. Balkin J.M., Abortion and Original Meaning, in Constitutional Commentary 24, 2007, p. 291 ss.; Barnett R.E., Restoring the Lost Constitution, The Presumption of Liberty, in Princeton University Press, New Jersey, 2004; Calabresi S.G.,The True Originalist Answer to Roe – Wade, in The Wall Street Journal, 8 maggio 2022; Camerlengo Q., Originalism and Living Constitutionalism, tra domanda di Costituzione e principi supremi, in associazionedeicostituzionalisti.it, n. 7/2022; Caruso C., Originalismo e politicità della Corte Suprema USA, cit.; Chessa O., Originalismo moderato e neutralità costituzionale, in associazionedeicostituzionalisti.it, n. 7/2022; Chessa O., La novità delle origini, recenti sviluppi del pensiero costituzionale originalista, in associazionedeicostituzionalisti.it, n. 7/2022; Kozel R.J., Original Meaning and the Precedent Fallback, in Vanderbilt Law Review 68, 2015, p. 105 ss.; Lash K.T., Originalism, Popular Sovereignty and Reverse Stare Decisis, in Virginia Law Review, 2007, n. 93, p. 1437 ss.; McConnell M.W., Originalism and the Desegregation Decisions, in Virginia Law Review, 1995, n. 81, p. 947 ss.; Mc Ginnis J, Rappaport M.B., Reconciling Originalism and Precedent, in Northwestern University Law Review, 103 (2), 2009; Pedrini F., Una lezione teorica dell'originalismo: l'interpretazione di quale Costituzione? In associazionedeicostituzionalisti.it 7/2022; Pin A., Precedente e mutamento giurisprudenziale. La tradizione angloamericana e il diritto sovranazionale europeo, Padova, 2017; Razzano G., Un'analisi costituzionale può essere fuori dai confini di ogni ragionevole interpretazione delle varie disposizioni costituzionali? in associazionedeicostituzionalisti.it, n. 7/2022; Romeo G., L'argomentazione costituzionale di Common Law, Giappichelli, Torino, 2020; Siegel R.B., Memory Game: Dobbs Originalism as Anti-Democratic Living Constitutionalism and Some Pathways to Resistance, in Texas Law Review, 101, 2023; Sperti A., Il Diritto all'Aborto e il Ruolo della Tradizione nel Controverso Overruling di Roe v. Wade, in Rivista del Gruppo di Pisa, n. 3, 2022; Valentini C., Originalismo e Politica dell'Originalismo, in associazionedeicostituzionalisti.it, 7/2022; Vanoni L.P., Originalismo e Costituzione, in associazionedeicostituzionalisti.it, n. 7/2022; Whittington K., Constitutional interpretation, textual meaning, original intent and judicial review, in University Press of Kansas, 1999. (8) Negli Stati Uniti, dopo la sentenza Dobbs, si sta creando una situazione paradossale in cui coesistono ormai legislazioni statali che penalizzano pesantamente l'aborto (Missouri) o al contrario lo ergono a diritto fondamentale nella loro costituzione (come l'Ohio e altri Stati). Sono ormai particolarmente restrittive le legislazioni di 16 stati e, di recente, ha fatto molto scalpore la sentenza della Corte suprema dell'Arizona che ha riportato in vigore la legislazione penale del 1864. Al contrario molti Stati hanno ulteriormente liberalizzato le loro legislazioni ed è ormai possibile ricevere la pillola RU-465 per posta anche negli Stati che vietano l'aborto. Progetti di leggi federali antitetici sono in discussione. In Italia e in Europa, oltre che negli Stati Uniti, molte voci fortemente critiche sulla sentenza Dobbs si sono espresse in dottrina e nel dibattito politico. Segnalo fra le molte E. Faletti, Una marcia indietro lunga cinquant'anni: la sentenza della Corte Suprema americana Dobbs v. Jackson, in tema di aborto, in Genius, rivista di studi giuridici su orientamento sessuale e identità di genere, 23 gennaio 2023 e F. Rescigno, Prime note sulla riforma costituzionale francese in tema di interruzione di gravidanza. C'è più di un oceano a separare Parigi da Washington, in Genius, 20 marzo 2024. (9) Oltre alle due risoluzioni del Parlamento Europeo citate e cioè: quella del 7 luglio 2022, «sulla decisione Dobbs e la necessità di tutelare il diritto all'aborto e la salute delle donne nell'U.E”, e quella del 22 novembre 2023, “sui progetti del Parlamento intesi a modificare i trattati», vanno anche richiamate le precedenti risoluzioni del Parlamento europeo: a) del 13 febbraio 2019, «sull'attuale regresso dei diritti delle donne e dell'uguaglianza di genere nell'U.E.»; b) del 24 giugno 2021, «sulla situazione della salute sessuale e riproduttiva e sui relativi diritti nell'U.E., nel quadro della salute delle donne»; c) del 9 giugno 2022 “sulle minacce al diritto all'aborto nel mondo”. (10) Non può non ricordarsi qui - e rendere onore - a una donna straordinaria, Olympe de Gouges (pseudonimo di Marie Gouze), che fu l'autrice, nel 1791, di un visionario, e autenticamente illuminato, progetto di Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (in gallica.bnf.fr). Il progetto era improntato ai principi della assoluta uguaglianza fra uomini e donne, della fine della tirannia esercitata per secoli dagli uomini sulle donne, del diritto delle donne a una piena cittadinanza, politica, giuridica e sociale, e alla parità dei diritti, anche nella vita privata e familiare. Olympe de Gouges, attivista di ispirazione girondina, fu arrestata il 20 luglio 1793 mentre affiggeva, per le vie di Parigi, manifesti con i quali rivendicava i diritti delle donne e delle cittadine. Fu condannata a morte e uccisa il 3 novembre 1793. Con lei moriva simbolicamente l'opportunità di rimuovere, dalla storia della Francia e del mondo, con uno straordinario anticipo temporale, secoli, passati e futuri, di patriarcato. Si ricordano spesso le parole finali del Preambolo della dichiarazione: «le sexe supérieur en beauté comme en courage dans les souffrances maternelles reconnaît et déclare, en présence et sous les auspices de l'Être suprême, les droits suivants de la femme et de la citoyenne». (11) Una ricostruzione di Bibia Pavard sugli antecedenti storici della Legge Neurwith si può leggere in La loi Neurwith (1967) un tournant historique? articolo pubblicato il 17 dicembre 2017 sul sito della Fondazione Jean Jaurès (in jean-jaures.org). (12) Il comma 3 della legge 31 luglio 1920 prevedeva la reclusione con la pena da un mese a sei mesi e con una ammenda da 100 a 5.000 franchi chiunque, per finalità di propaganda anticoncezionale, descriveva, divulgava o offriva di rivelare delle procedure idonee a prevenire la gravidanza o anche a facilitare l'utilizzazione di queste procedure. Le stesse pene erano applicabili a chiunque si dedicasse alla propaganda anticoncezionale o contro la natalità. Si trattava di reprimere, con queste dure disposizioni, la propaganda neo-maltusiana che diffondeva, già da almeno venti anni, materiale divulgativo sui metodi anticoncezionali. La legge non impediva, ovviamente, l'utilizzazione dei metodi dell'astinenza periodica, del coito interrotto, e non criminalizzava l'utilizzazione dei preservativi, il cui uso era considerato legittimo in quanto necessario nella lotta contro la diffusione delle malattie veneree. Tutti gli altri metodi anticoncezionali erano illegali e in particolare la cd. pillola contraccettiva, inventata nel 1953 e prodotta e diffusa a partire dalla fine degli anni '50, che poteva essere prescritta solo per finalità mediche (ad esempio per la cura di dolori mestruali o la regolarizzazione dei cicli). Significativo che la contraccezione fosse invece legale e incoraggiata nei c.d. Dom-Tom (territori e domini di oltremare). (13) Assemblée nationale, dossier thematique: 1967 la pillule devient lègal, in assembleenationale.fr. (14) Nell'aprile del 1971 il Nouvel Observateur pubblicò un manifesto, scritto da Simone de Beauvoir e noto come il manifesto delle 343 donne (in realtà le firme furono molte di più). Le firmatarie si autodenunciavano per aver praticato illegalmente l'aborto. Questo era l'incipit del manifesto: “Un milione di donne abortiscono ogni anno in Francia. Lo fanno in condizioni pericolose in ragione della clandestinità alla quale sono condannate, mentre questa operazione è fra le più semplici, se praticata sotto il controllo medico. Ma vi è il silenzio su questi milioni di donne. Io dichiaro che sono stata una di loro ad aver abortito. Quando reclamiamo il libero accesso ai metodi anticoncezionali reclamiamo allo stesso tempo l'aborto libero”. Il manifesto è considerato la goccia che fece traboccare il vaso dell'omertà che ancora regnava sull'argomento e l'inizio delle dimostrazioni di massa negli anni che precedettero la legge Veil. La reazione dell'opinione pubblica non fu unanimemente positiva e un giornale satirico, Charlie Hebdo, lo denominò, forse ironicamente, le « manifeste des 343 salopes ». Quali che fossero le intenzioni del giornale il titolo si trasformò, come un boomerang, in un moltiplicatore dell'indignazione femminile e femminista. Al manifesto si richiamò quello, pubblicato sempre dal Nouvel Observateur il 3 febbraio 1973, di 331 medici che dichiaravano di aver eseguito degli aborti con il metodo Karman nonostante il divieto penale della legge del 1920. (15) Halimi G., Le procès de Bobigny. Choisir la cause des femmes, Paris, 2006. Il libro riporta la stenotipia integrale del dibattimento svoltosi davanti al Tribunale di Bobigny l'8 novembre del 1972 preceduto da una introduzione dell'avvocata Halimi, che difese l'imputata Marie Claire Chevalier, dal titolo “Disobbedire per il diritto di aborto” e da una postfazione della stessa Chevalier. Il processo ebbe un'eco enorme in Francia e servì da catalizzatore per le manifestazioni del movimento femminista. Si concluse con l'assoluzione della ragazza perché «era stata costretta ad abortire dai condizionamenti di ordine morale, sociale e familiare ai quali non aveva potuto resistere». Sicuramente l'esito del processo, che peraltro si concluse con la condanna della madre, e di altre due donne, accusate di complicità e partecipazione all'aborto - condanne mai eseguite perché dichiarate con sospensione condizionale della pena e perché il PM fece scadere, deliberatamente, il termine di prescrizione del reato – fu condizionato dal clima in cui si svolse il processo e anche dalla deposizione testimoniale di personaggi eminenti della cultura e della politica, come il premio Nobel Jacques Monod, la Ministra Simone Veil e Simone de Beauvoir, che prospettarono alla Corte le ragioni per cui la legge del 1920 dovesse considerarsi ormai un relitto storico. (16) Significativamente l'illustrazione della motivazione della proposta di riforma costituzionale fa un cenno al ricordo che il Presidente Macron ha dedicato all'avvocata Halimi e al ruolo da lei svolto nella difesa dei diritti delle donne. Gisèle Halimi è stata avvocata, militante femminista, parlamentare e scrittrice. Nata in Tunisia nel 1927, ha denunciato, negli anni ‘60, le torture praticate dai militari francesi in Algeria, ha difeso una combattente indipendentista algerina, Djamila Boupacha, condannata alla pena di morte e graziata alla fine della guerra di liberazione combattuta dal FLN. In Francia ha compiuto i suoi studi e ha esercitato la professione di avvocata difendendo Marie Claire Chevalier nel già citato processo Bobigny del 1972. In quello stesso anno ha fondato con Simone de Beauvoir l'associazione "Choisir la cause des femmes” ancora attiva oggi (choisirlacausedesfemmes.org). È stata eletta parlamentare nel PS nel 1981 e in quella legislatura si è battuta per l'assunzione delle spese di assistenza all'aborto da parte del Servizio sanitario pubblico. Nel 1998 ha partecipato alla fondazione di Attac (Association pour la taxation des transactions financières et pour l'action citoyenne). È stata autrice di 15 opere letterarie, fra cui un romanzo sulla storia di Djamila Boupacha. (17) In Italia la spinta per una legalizzazione dell'IVG ebbe modi e tempi sostanzialmente paralleli alla Francia. Anche in Italia vi fu un processo catalizzatore dell'opinione pubblica che rivelò l'inadeguatezza e iniquità della legislazione esistente. Si tratta del processo contro Gigliola Pierobon. Lo ricorda Francesca Rescigno in Prime note sulla riforma costituzionale francese, cit., «Il processo Bobigny richiama alla mente l'esperienza italiana del processo Pierobon del giugno 1973, quando dinanzi al Tribunale di Padova l'imputata era Gigliola Pierobon, una donna di 23 anni accusata di aver abortito clandestinamente nel 1967, a soli 17 anni. Quando rimase incinta di un uomo adulto che la abbandonò Gigliola riuscì ad interrompere la gravidanza grazie all'aiuto di un vecchio amico che le procurò i contatti e le 40.000 lire necessarie. L'intervento le causò un'infezione che dovette curare rivolgendosi al suo medico di famiglia. Nel 1972, a più di quattro anni dall'aborto, Pierobon ricevette dal Tribunale di Padova una notifica di rinvio a giudizio; incoraggiata dalla sua militanza nel gruppo femminista, decise di trasformare il processo in una mobilitazione collettiva per la legalizzazione dell'aborto prendendo ispirazione proprio dal processo di Bobigny. Quello contro Gigliola Pierobon fu un processo particolare poiché l'imputata era rea confessa in un paese in cui i processi per aborto non erano frequenti e terminavano spesso con l'assoluzione per insufficienza di prove, ma soprattutto perché la difesa puntava a contestualizzare il singolo caso per condannare una legge sbagliata, anche se le resistenze dei giudici resero alquanto difficile ricondurre il caso personale di Pierobon a una più ampia dimensione politica. In ogni caso i giudici non poterono impedire che, nei giorni delle udienze, centinaia di donne scendessero in piazza a manifestare ovunque nel Paese. La protesta collettiva entrò perfino nell'aula del tribunale quando alcune donne si autodenunciarono davanti al pubblico ministero gridando: “Tutte noi abbiamo abortito”. In questo clima decisamente teso, il 7 giugno 1973, arrivò la sentenza di condanna a un anno di carcere, ma secondo la visione prevalente dell'epoca, la Pierobon ottenne il perdono giudiziale perché, negli anni successivi all'aborto, si era sposata e aveva avuto una figlia, perdono rispetto al quale la stessa affermò: ̔Io il perdono non l'avevo chiesto: non mi sento colpevole. Quindi non sono pentita. A stabilire il mio pentimento è stata la legge. Anche se non ebbe la stessa risonanza del caso francese, il processo Pierobon si rivelò fondamentale per almeno due motivi: non solo intaccò l'omertà diffusa circa la pratica dell'aborto clandestino, che nell'Italia degli anni Settanta interessava milioni di donne, ma riuscì anche a creare una mobilitazione di massa̕ ». (18) V. in assemblee-nationale.fr. (19) I dati relativi agli aborti praticati clandestinamente in Francia nel periodo precedente al 1975 sono quanto mai divergenti. Tuttavia, la stima di oltre 300.000 indicata da Simone Veil nel suo discorso al Parlamento può considerarsi – sulla base del riscontro con le altre stime – prudenziale e probabilmente non lontana dalla realtà. (20)“Ne recourt de gaieté de coeur” fu l'espressione usata da Simone Veil. (21) Il termine detresse può essere tradotto con plurimi significati (difficoltà, emergenza, sofferenza, angoscia, pericolo) e nessuno di essi ha un contenuto specificamente giuridico, soprattutto se rapportato alla interruzione volontaria di gravidanza. Piuttosto esso segnala uno stato di difficoltà, di perturbazione negativa legata alla prosecuzione della gravidanza. Non può negarsi però che è sempre insito nella scelta di ricorrere alla IVG uno stato soggettivo di perturbazione legato alla prosecuzione della gravidanza e alla nascita indesiderata di un figlio che determinerebbe comunque uno stato di malessere mai banale e destinato ad aggravarsi. Di qui la difficoltà di tracciare un confine fra sussistenza o meno di uno stato di detresse e la convinzione, espressa dalla stessa Simone Veil, che la parola decisiva sulla esistenza di una condizione di detresse spetta, in ultima analisi ed esclusivamente, alle donne. Appare dunque condivisibile l'opinione di Stéphanie Hennette- Vauchez (prof. di diritto pubblico all'Université Paris Nanterre) che, in una intervista del 2014 a Libération (in liberation.fr), ha affermato che l'utilizzazione della parola detresse, con il suo carico di ambiguità e il suo contenuto morale più che giuridico, sia stato un contro argomento utilizzato nel 1974 da Simone Veil per superare le obiezioni dei parlamentari e dell'opinione pubblica che condannavano la IVG definendola come una mera scelta di convenienza egoistica. Proprio tale significato più morale che giuridico ha quindi segnato dall'origine l'appartenenza del suo accertamento alla libera ed esclusiva valutazione della donna. (22) La mera soggettività della valutazione, in capo alla donna, della condizione di detresse divenne esplicita dopo il chiarimento del Conseil d'Etat del 31 ottobre 1980, nell'affaire Lahache. Secondo il Consiglio di Stato l'apprezzamento della sussistenza di uno stato di detresse era affidato esclusivamente alla donna e non al medico, cui era rivolta la richiesta di abortire, e nessun diritto ad ottenere un risarcimento dalla struttura sanitaria, che aveva praticato la IVG, poteva spettare al coniuge, che non aveva partecipato alla consultazione socio-psicologica prevista dalla legge Veil, per il carattere facoltativo e non vincolante della sua partecipazione. La Cour de Cassation nel 2000 ha rafforzato, in un certo senso, questa interpretazione, pronunciandosi sull'affaire Perruche, nel quale ha riconosciuto che la madre e il bambino, nato handicappato, hanno diritto a ottenere il risarcimento del danno derivato dalla nascita, e dalla conseguente acquisizione dell'handicap, se la madre, a causa di un errore medico, è stata privata della possibilità di conoscere il rischio della trasmissione dell'handicap e quindi di ricorrere a una interruzione della gravidanza. Peraltro, il legislatore francese è intervenuto, successivamente alla sentenza, vanificando il diritto al risarcimento, anche in favore del figlio, per la natalità non desiderata da parte della madre (con la c.d. Loi antiPerruche). Il requisito della detresse ha riguardato, a partire dal 2000, la somministrazione, da parte degli infermieri, della contraccezione d'urgenza in caso di detresse dei minori. (23) L'art. L2212-1 del Code de la Santé publique che, secondo il testo della legge Veil, prevedeva: «La femme enceinte, que sa condition place dans une situation de detresse, peùt demander à un medecin d'interrompre sa grossesse” è stata modificata nel 2014 disponendo che “la femme enceinte, qui ne veut pas poursuivre sa grossesse, peut demander …». (24) La legge n. 82-1172, relativa alla copertura dei costi afferenti alla IVG non terapeutica e alle modalità di finanziamento di questa misura, instaura la presa in carico, da parte dello Stato, delle spese sopportate dall'assicurazione malattia a titolo di IVG. La presa in carico delle spese dell'intervento di IVG è integrale dal 2013 mentre le spese per tutti gli atti strumentali e accessori (consultazioni, analisi, ecografie) lo sono a partire dal 1 aprile 2016. Dal 2021 le donne non devono anticipare più alcun costo. (25) Cfr. Dossier guide in ivg.gouv.fr. (26) Loi 27 janvier 1993, n. 121 «qui introduit un délit d'entrave à l'interruption volontaire de grossesse et supprime la pénalisation de l'auto-avortement». (27) Loi 13 décembre 2000, n. 1209 “relative à la contraception d'urgence”. (28) La legge n. 2022-295 del 2 marzo 2022 prolunga il termine legale della IVG strumentale a 14 settimane e il termine legale per la IVG farmacologica a 7 settimane di gravidanza. Consente la realizzazione della IVG farmacologica in teleconsultazione. Sopprime il termine di 7 giorni di riflessione per le donne minori già soppresso per le donne maggiorenni con la legge 26 gennaio 2016, n. 41. Sanziona il rifiuto di dispensare la contraccezione di urgenza. Autorizza il personale ostetrico a praticare la IVG strumentale nelle strutture sanitarie mentre la legge n. 2016-41 aveva già consentito di praticare la IVG farmacologica. (29) Il sito insee.fr dell'Istituto Nazionale di statistica e studi economici fornisce le cifre del rapporto INED Institut National d'Etudes démographiques in ined.fr sul numero degli aborti praticati sino al 2023. La Francia presenta un tasso di natalità più alto rispetto agli altri paesi europei. Nel 2023 è stato di 1.68 (contro l'1.24 dell'Italia) nonostante un forte calo rispetto all'anno precedente (1.79) secondo l'Istituto Nazionale di statistica e studi economici in insee.fr. (30) IFOP Institut Français d'Opinion Publique, Rapport d'étude pour la Fondation Jean Jaurès, 29 juin 2022. Le rapport des Français à l'avortement et la question de l‘inscription de l'IVG dans la constitution française in ifop.com. (31) Attualmente il testo dell'art. 3 della Carta DFUE è il seguente: «1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. 2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone, il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani». (32) Cfr. nota n. 9. Le risoluzioni relative alla Polonia sono: quella del 14 novembre 2020 sulla criminalizzazione dell'educazione sessuale in Polonia e quelle del 26 novembre 2020 e dell'11 novembre 2021 sul divieto di fatto del diritto di aborto in Polonia. (33) Comunicazione del 5 marzo 2020 della Commissione “Una Unione dell'uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025” e Comunicazione del 12 novembre 2020 “Un'unione dell'uguaglianza: strategia per l'uguaglianza LGBTIQ 2020-2025”. (34) I documenti richiamati sono: a) “Safe abortion: technical and policy guidance for health systems” del 2015 in who.int; b) strategia 2017-2021 del 30 settembre 2017 “Salute e benessere delle donne in Europa oltre il vantaggio in termini di aspettativa di vita” in who.int. c) “Piano di azione per la salute sessuale e riproduttiva: per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile in Europa – non lasciare nessuno indietro” del 12 settembre 2016 in who.int. (35) Il Comitato Onu per i diritti umani ha affermato - decidendo, il 9 giugno 2016, sul ricorso proposto nei confronti dell'Irlanda da Amanda Mellet - che il divieto legale dell'accesso all'aborto è una intromissione abusiva nella vita privata e – decidendo, il 13 giugno 2017, sul ricorso proposto da Siobhan Whelan, sempre nei confronti dell'Irlanda, – ha affermato che costringere a recarsi in un altro paese per poter abortire costituisce una violazione dei diritti umani sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici e in particolare del diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti. Il Comitato ha rilevato nel 2017 che l'Italia non garantisce un pieno accesso all'aborto per l'elevato numero di obiezioni di coscienza fra medici e infermieri cui non corrisponde una gestione adeguata dei servizi sanitari. Nello stesso anno ha riconosciuto che è un dovere degli Stati di assicurare che le donne non siano costrette a sottoporsi a aborti non sicuri. (36) CEDAW, “General Recommendation 35 (2017) on gender-based violence against women, updating general recommendation 19, para. 18”. Nella raccomandazione si afferma che “Violations of women's sexual and reproductive health and rights, such as criminalization of abortion, denial or delay of safe abortion and/or post-abortion care, and forced continuation of pregnancy, are forms of gender-based violence that, depending on the circumstances, may amount to torture or cruel, inhuman or degrading treatment.” (37) V. unric.org. Risoluzione adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015: “Trasformare il nostro mondo: Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”. (38) La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo non riconosce, sulla base della dottrina del margine di apprezzamento, un diritto “europeo” all'accesso all'aborto, nonostante la maggioranza degli Stati aderenti alla Convenzione riconosca tale diritto, perché dà rilievo “alle radicate concezioni morali” dei paesi che vietano l'aborto (sentenza ABC c. Irlanda del 2010). Né, per altro verso, la Corte Europea ritiene che possa attribuirsi al nascituro la qualità di persona, ai sensi dell'art. 2 della Convenzione (casi Paton c. UK del 1980 e Vo c. Francia del 2004). La CEDU ha invece, in più occasioni, sanzionato gli Stati membri che non rispettano il principio di effettività, rendendo solo apparente il riconoscimento del diritto all'aborto, in realtà inaccessibile per le restrizioni procedurali imposte alle donne (casi Tyriac c. Polonia del 2007, RR c. Polonia del 2011 e P&S c. Polonia del 2013), o che non rispettano il principio di proporzionalità, nel caso di legislazioni che non consentono l'accesso all'aborto (ABC c. Irlanda). La tutela della salute sessuale e riproduttiva della donna è, in altri termini, riconosciuta dal Consiglio d'Europa e dalla Corte E.D.U., ma non è riconosciuto come diritto protetto dalla Convenzione il diritto all'accesso all'aborto, se gli Stati aderenti alla Convenzione non lo consentono. È invece riconosciuto il diritto a non subire i danni o a limitarli, in caso di aborto praticato illegalmente o all'estero, in quanto vi è l'obbligo in base alla Convenzione di tutelare il diritto alla salute delle persone. Si tratta di un approccio che mitiga la ammissibilità di regolamentazioni e prassi che incidono gravemente sul diritto alla salute delle donne nei paesi che non consentono l'accesso all'aborto legale ma anche di un approccio eccessivamente prudente e, in definitiva incoerente, con la stessa dottrina del minimo comune denominatore e del margine di apprezzamento riservato agli Stati, come correttamente evidenzia Susanna Mancini in Un affare di donne cit. 98 e ss. Fra gli altri contributi sulla giurisprudenza CEDU si segnalano Penasa S., La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di fronte al fattore scientifico: analisi della recente giurisprudenza in materia di procreazione medicalmente assistita e interruzione volontaria della gravidanza, in Forum Cost., 3 aprile 2013 e Erdman J.N., The Procedural Turn. Abortion at the European Court of Human Rights, in Abortion Law in Transnational Perspective, (ed. Cook R.J, Erdman J.N., Dickens B.M.), University of Pennsylvania Press, 2014. Attesta la problematicità della giurisprudenza e le contraddizioni esistenti in seno al Consiglio d'Europa la lettura del documento tematico “La salute e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne in Europa” pubblicato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa in rm.coe.int. (39) WHO Abortion care guidelines 8 march 2022 in who.int. Bibliografia AA.VV., Originalismo e Costituzione, in La lettera 7/2022 (associazionedeicostituzionalisti.it). Baraggia A., Stati Uniti e Irlanda. La regolamentazione dell'aborto in due esperienze paradigmatiche, Torino, 2022. Brunelli G., L'interruzione volontaria della gravidanza: come si ostacola l'applicazione di una legge (a contenuto costituzionalmente vincolato), in Scritti in onore di Lorenza Carlassare, Napoli, 2009. Busatta L., Iadicicco M.P., Liberali B., Penasa S., Tomasi M., Gli abortion rights e il costituzionalismo contemporaneo, in BioDir., n. 1/2023. 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Sul tema, si rimanda a Costituzionalizzazione dell’aborto: la nuova frontiera dei diritti in Francia |