Liberalità senza forma e regime fiscale

02 Maggio 2024

Liberalità indirette (o non donative) e, più nello specifico, applicabilità ad esse dell'imposta di donazione sono i temi affrontati dalla Cassazione nella sentenza 7442/2024, che tanto rilievo ha avuto sui siti web e sulla stampa, non soltanto di settore. Nel commento qui di seguito il Notaio Gabriele Mercanti, autore di molte pubblicazioni in materia nonché membro del comitato scientifico di questo portale, ripercorre l'iter argomentativo della pronuncia, analizzandone nel dettaglio i vari aspetti e integrando la trattazione con approfondimenti e puntuali osservazioni.

Massima

In tema di imposta sulle donazioni, l'art. 56-bis c. 1 D.Lgs. 346/1990 va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l'adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall'art. 769 c.c., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte ad imposta (con l'aliquota dell'8%) – pur essendo esenti dall'obbligo della registrazione – in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall'interessato nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti (Euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, Euro 100.000 per fratelli e sorelle, Euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap).

Il caso

Un soggetto (nel caso di specie lo zio) impartiva alla propria banca, sita in Svizzera, l’ordine di trasferire denaro e strumenti finanziari per il complessivo importo di euro 816.116,00 su un diverso conto corrente, sempre in Svizzera, intestato ad un altro soggetto (nel caso di specie la nipote).

Pochi mesi dopo la nipote effettuava presso un Notaio di Lugano una non meglio identificata rinuncia all’attribuzione effettuata a suo favore.

Successivamente l’Agenzia delle Entrate, acquisendo le risultanze di quanto emerso dalla procedura di voluntary disclosure di cui alla L. 186/2014 della quale si era avvalso lo zio, emetteva avviso di accertamento di versamento dell’imposta di donazione per un importo pari all’8% di quanto trasferito.

La nipote promuoveva impugnazione presso la Commissione Provinciale di Bergamo che, però, non l’accoglieva reputando che l’operazione, ancorché priva di requisiti formali, fosse qualificabile come una «liberalità» e, come tale, da assoggettare all’imposta di donazione. Analoga posizione veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Ecco che, allora, parte soccombente promuoveva ricorso per Cassazione affidandolo a quattro motivi:

  • con il primo, denunciava l’erronea valutazione per cui il trasferimento di strumenti finanziari privo di forma pubblica fosse valido, dato che dalla sua nullità (per difetto di forma) ne sarebbe scaturita l’assenza del presupposto tributario;
  • con il secondo, denunciava l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla dichiarazione di rifiuto resa avanti al Notaio di Lugano;
  • con il terzo, denunciava l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla lacunosità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata;
  • con il quarto, denunciava l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dal travisamento della prova circa il rifiuto della liberalità in questione.

È, tuttavia, evidente che è sul primo dei quattro che si accentri la reale questione giuridica della vertenza, poiché è solo dalla corretta qualificazione del trasferimento di ricchezza che può linearmente ricavarsi il relativo trattamento fiscale.

Le questioni

La vertenza in commento pone essenzialmente due questioni:

  1. una liberalità effettuata con uno strumento diverso dal contratto di donazione (di qui in seguito, indifferentemente, donazione indiretta o liberalità non donativa), è soggetta al pagamento dell’imposta di donazione?;
  2. in caso affermativo, si applicano le regole ordinarie oppure, stanti le particolarità della fattispecie, valgono dei differenti principi di imposizione fiscale?

Soluzioni giuridiche

Prima di entrare nel merito delle questioni sopra proposte, occorre partire da una condivisibile raffigurazione del panorama: l'atto gratuito è il genus del quale la liberalità ne è una sottospecie, a sua volta idealmente suddivisibile in quella donativa, cioè attuata attraverso il formale contratto di donazione, e quella non donativa, cioè risultante da atti diversi rispetto a quello di cui all'art. 769 c.c. (così, G. Capozzi (a cura di) A. Ferrucci - C. Ferrentino, Successioni e donazioni, Milano, Giuffrè, 2015, II, 1505).

Prova dell'assunto è data dall'art. 809 c.c. che è, appunto, rubricato «norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità», così chiarendo che quando un soggetto intende arricchire un'altra parte può farlo non solo attraverso un contratto di donazione, ma anche con un diverso strumento tecnico-giuridico che, di fatto, raggiunge analogo risultato che si sarebbe ottenuto concludendo il contratto di donazione.

La casistica in tal senso è vasta, di seguito sono riepilogate solo alcune esemplificazioni.

a) il negotium mixtum cum donatione che ricorre quando il venditore, al fine di arricchire l'acquirente, gli vende un bene ad un prezzo volutamente inferiore a quello reale di mercato cosicché questi beneficerà della differenza non sborsata (Cass. 19 marzo 2019 n. 7681Cass. 23 maggio 2016 n. 10614, Cass. 3 novembre 2009 n. 23297, Cass. 30 gennaio 2007 n. 1955, Cass. 7 giugno 2006 n. 13337, Cass. 15 maggio 2001 n. 6711, Cass. 21 gennaio 2000 n. 642)

b) il pagamento del debito altrui (in generale) che ricorre quando un terzo estraneo al rapporto obbligatorio estingue, al fine di arricchire l'originario debitore, il di lui debito (Trib. Milano 31 maggio 2006, Trib. Padova 3 maggio 2004)

c) l'intestazione di beni in nome altrui (in particolare) che ricorre quando un soggetto, di solito il genitore, paga al venditore il prezzo della compravendita, ma – per spirito di liberalità verso altro soggetto, di solito il figlio – decide di non rendersi acquirente del bene, bensì di far intervenire al rogito notarile, appunto quale acquirente, il soggetto che intende beneficiare, cioè il figlio (Cass. SU 5 agosto 1992 n. 9282, Cass. 10 maggio 2022 n. 14740, Cass. 25 ottobre 2021 n. 29980, Cass. 4 ottobre 2018 n. 24160, Cass. 2 febbraio 2016 n. 1986, Cass. 4 settembre 2015 n. 17604, Cass. 10 ottobre 2014 n. 21494, Cass. 25 marzo 2013 n. 7480, Cass. 17 ottobre 2012 n. 17805, Cass. 25 ottobre 2005 n. 20638, Cass. 22 settembre 2000 n. 12563, Cass. 22 giugno 1994 n. 5989, Cass. 8 febbraio 1994 n. 1257, Cass. 23 dicembre 1992 n. 13630)

d) il contratto a favore di terzo (in generale) che ricorre quando lo stipulante, animato da spirito di liberalità verso il terzo, conclude un contratto secondo lo schema di cui all'art. 1411 c.c. ed il terzo acquista il diritto per effetto della stipulazione altrui senza essere tenuto ad effettuare prestazioni di sorta (Cass. 29 luglio 1968 n. 2727);

e) la costituzione di rendita vitalizia a favore di un terzo ai sensi dell'art. 1875 c.c., quale applicazione del contratto a favore di terzo (Cass. 12 agosto 1996 n. 7492);

f) l'assicurazione sulla vita a favore del terzo in cui l'assicurato – versando i premi ed indicando il beneficiario – può realizzare a favore di quest'ultimo un arricchimento ai fini liberali (Cass. 19 febbraio 2016 n. 3263)

g) il negozio rinunziativo (in genere) che ricorre quando il soggetto dismette unilateralmente un proprio diritto al fine di beneficiare un altro soggetto (Cass. 25 febbraio 2015 n. 3819, Cass. 3 marzo 1967 n. 507, per la rinuncia alla comproprietà; Cass. 10 gennaio 2013 n. 482, per la rinuncia ai diritti parziari)

h) il mandato ad amministrare dato ad un soggetto con l'obbligo di versare le rendite o altre somme in denaro ad altro soggetto al fine di arricchire quest'ultimo (Cass. 6 giugno 1969 n. 1987)

i) la delegazione di pagamento in assenza di rapporto di provvista e/o di valuta al fine di arricchire il delegatario (Cass. 29 maggio 2003 n. 8590, Trib. Bologna 6 giugno 2006)

j) l'atto di dotazione di beni in trust (Cass. SU  2 luglio 2019 n. 18831, Cass. 26 ottobre 2016 n. 21614);

k) la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito (Cass. 4 maggio 2012 n. 6784, Cass. 12 novembre 2008 n. 26983, Cass. 22 settembre 2000 n. 12552, Cass. 10 aprile 1999 n. 3499);

l) la cointestazione di buoni postali del padre a favore dei figli (Cass. 9 maggio 2013 n. 10991);

m) l'accollo interno con cui l'accollante, allo scopo di arricchire la figlia con proprio impoverimento, si sia impegnato nei confronti di quest'ultima a pagare all'istituto di credito le rate del mutuo bancario dalla medesima contratto (Cass. 30 marzo 2006 n. 7507)

In tutti i casi sopra citati abbiamo un soggetto che si impoverisce, uno che si arricchisce ed il collante tra le due condizioni è dato dall'intento liberale … eppure nessun contratto di donazione è stato stipulato: ecco che, pragmadicamente, è “nata” una liberalità non donativa.

Passando al versante del prelievo indiretto (leggasi, imposta di donazione) il legislatore è categorico: l'art. 1 D.Lgs. 346/1990, c.d. Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni (per brevità, in seguito, t.u.i.s.), infatti, stabilisce:

  • al comma 1 che l'imposta si applichi ai trasferimenti determinati da donazione o «altra liberalità tra vivi»;
  • al comma 4-bis che, salve le esimenti ivi stabilite, è ferma l'applicazione dell'imposta «anche alle liberalità indirette risultanti da atti  soggetti  a  registrazione». Concettualmente la posizione del legislatore è lineare: dato che la liberalità non donativa differisce da quella donativa non per il connotato causale, ma squisitamente per la differente tecnicalità, la capacità contributiva – alla base del nostro impianto fiscale – che si sprigiona tanto dall'una quanto dall'altra è identica.

Certo, c'è un aspetto pratico di non poco conto. Il contratto di donazione deve essere registrato dal Notaio rogante stante l'art. 55 t.u.i.s. che richiama le regole del DPR 131/1986 e, quindi, l'Agenzia delle Entrate ha a propria disposizione tutti gli elementi per procedere alla riscossione di quanto dovutole;

Nella liberalità non donativa, invece, non vi è un corredo documentale a disposizione dell'erario (banalmente: se il padre paga le rate del mutuo del figlio addebitandole sul proprio conto … come può l'Agenzia delle Entrate riscuotere un'eventuale imposta di donazione dato che la vicenda non “transita” presso i pubblici uffici? O ancora, come può affermarsi con certezza che il pagamento da parte del padre è avvenuto per spirito di liberalità e non magari ad altro titolo?).

La soluzione adottata dal legislatore deve essere, fatalmente, rimodulata: in tal senso, l'art. 56 bis t.u.i.s. prevede che l'imposta sia sì dovuta, ma o perché la liberalità risulti dalla registrazione effettuata volontariamente da parte del contribuente o perché, nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi, risulti dalle dichiarazioni rese dall'interessato sottoposto a verifica. Su quest'ultima eventualità, che è quella alla base del contenzioso in commento, vi è – inoltre – un difetto di coordinamento normativo, poiché il citato art. 56 bis t.u.i.s. continua a far riferimento ad un parametro patrimoniale, cioè l'incremento superiore a trecentocinquanta milioni di lire, non più operante nell'attuale impianto legislativo.

In questa zona critica si è insinuata la giurisprudenza affermando che l'aliquota dovuta, nonostante ad oggi ne siano previste tre (4%, 6%, 8%) in base al rapporto intercorrente tra donante e donatario, sia sempre e comunque quella più elevata dell'8% a prescindere dal rapporto soggettivo in essere tra le parti, tuttavia:

  • secondo una tesi minoritaria l'imposta è dovuta solo per l'importo eccedente l'eventuale franchigia (Cass. 24 febbraio 2023 n. 5802);
  • secondo l'orientamento prevalente, anche in una logica sanzionatoria del contribuente che ha ammesso la sussistenza della liberalità solo nell'ambito di un accertamento reddituale, l'imposta è dovuta sull'intero importo accertato (Comm. Trib. Reg. Toscana 10 febbraio 2021, Cass. 3 dicembre 2020 n. 27665, Cass. 9 dicembre 2020 n. 28047);
  • la prassi amministrativa, invece, non ha dubbi di modo che «l'art. 56 bis [t.u.i.s.], rimasto immutato nella sua formulazione, deve tuttavia essere armonizzato con le nuove disposizioni, e quindi deve logicamente riferirsi alle aliquote e alle franchigie attuali e non più a quelle previste nel precedente regime» (Circ. AE 11 agosto 2005 n. 30/E, par. 1.2).

Osservazioni

La pronuncia in commento, pur non dettando dei principi di particolare innovatività, ha suscitato un certo clamore mediatico: da molti, infatti, è stata propinata come l'affermazione di una sorta di zona franca tributaria tale per cui basterebbe non formalizzare l'atto di donazione per uscire indenni dal pagamento dell'imposta.

In realtà, l'art. 56 bis t.u.i.s. dice proprio questo, e cioè che solo la registrazione volontaria o la dichiarazione ammissiva in seno ad un accertamento reddituale possono far scattare il prelievo sulla liberalità indiretta dato che, come tale, la stessa mai è soggetta al vincolo di forma (tra le molte: Cass. 5 giugno 2013 n. 14197, Cass. 16 marzo 2004 n. 5333, Cass. 29 marzo 2001 n. 4623, Cass. 21 gennaio 2000 n. 642, Cass. 3 novembre 1999 n. 3499, Cass. 14 maggio 1997 n. 4231, Cass. 10 febbraio 1997 n. 1214, Cass. 28 novembre 1988 n. 6416, Cass. 19 febbraio 1985 n. 1446, Cass. 16 ottobre 1976 n. 3526; contra, del tutto isolatamente, Trib. Genova 2 agosto 2006).

Occorre - però - dire che la Corte, ad avviso di chi scrive, ha alimentato l'equivoco nel momento in cui accanto alle donazioni dirette ed indirette ha reiteramente utilizzato la tipologia della donazione «informale» ivi includendovi due macrocategorie:

  • lo svolgimento di un'attività materiale (citando all'uopo i casi: del trasferimento di denaro o di strumenti finanziari attuati brevi manu, impartendo ordini bancari di vario genere; della consegna di titoli di credito; dell'incremento del fondo altrui con costruzioni o piantagioni) e
  • la tenuta di un comportamento consapevolmente omissivo (citando all'uopo i casi: del lasciare decorrere un termine di prescrizione o di usucapione; del lasciare operare il meccanismo previsto dall'art. 177 c. 1 lett. a c.c. nonostante l'utilizzo di denaro personale).

Al netto della valutazione delle singole ipotesi invocate, resta una questione di fondo: ha un senso ontologico la categoria della donazione priva di forma? Il dubbio, a chi scrive, nasce perché (freudianamente?) gli Ermellini, a sostegno della categoria della «donazione informale», enunciano vicende che la giurisprudenza stessa, come già sopra riportata, tradizionalmente ha sempre ricondotto allo schema delle liberalità non donative.

Ad ogni modo il ragionamento della Suprema Corte è pienamente convincente dato che da un lato ribadisce come la donazione indiretta non sia soggetta ad obbligo di registrazione (e diversamente non poteva essere … altrimenti l'art. 56 bis t.u.i.s. sarebbe norma completamente inutile) e dall'altro che il meccanismo impositivo della figura in esame debba essere fisiologicamente armonizzato con il sopravvenuto quadro impositivo nel quale l'imposta è dovuta solo su quanto eccedente l'ammontare delle eventuali franchigie ancorché venga, discutibilmente, ribadito che «l'aliquota da applicare è quella dell'8%, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore».

Tale punto desta qualche disagio: non solo perché un'aliquota fiscale viene vista in chiave punitiva, così promuovendola al rango di sanzione, ma anche perché qualsiasi presunta punizione ha una logica intrinseca solo se posta come reazione alla violazione di un obbligo (nel caso di specie quello di omessa registrazione) che la Corte stessa ha correttamente reputato non sussistere.

Per quanto esposto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Guida all’approfondimento

  • G. Mercanti, La donazione di denaro esiste ancora? Spunti di riflessione tra teoria e prassi, in Vita notar., 2020, 3, 1597;
  • F. Pinto, L’imposizione indiretta delle liberalità diverse dalle donazioni non risultanti da atto scritto soggetto a registrazione, in Dir. e prat. trib., 2022, 1, 209
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