Potere sanzionatorio dell'AGCM: natura “penale” dei provvedimenti in materia di tutela del consumatore e principio del ne bis in idem europeo

10 Maggio 2024

La pronuncia in esame afferma che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'AGCM per pratiche commerciali scorrette possono rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea qualora tali sanzioni, benché qualificate come amministrative dalla normativa nazionale, perseguano una finalità repressiva e presentino un elevato grado di severità

Massime

1. Le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'Autorità garante per la concorrenza e il mercato (AGCM) per pratiche commerciali sleali possono rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea qualora tali sanzioni, benché qualificate come amministrative dalla normativa nazionale, perseguano una finalità repressiva e presentino un elevato grado di severità

2. Ai sensi dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, affinché si possa ritenere che una decisione abbia statuito in via definitiva sui fatti sottoposti ad un secondo procedimento, è necessario che tale decisione sia divenuta inoppugnabile o che, ove sottoposta a giudizio, sia stata confermata per prima rispetto alla decisione del secondo procedimento. 

3. L'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, opera solo in relazione alle sanzioni di natura sostanzialmente penale, con la conseguenza che la decisione definitiva di un'autorità giurisdizionale o amministrativa – dello stesso o di altro Stato membro dell'Unione europea – sui medesimi fatti e sulle stesse persone non preclude l'esercizio da parte dall'Autorità garante per la concorrenza e il mercato degli ulteriori poteri conferiti dall'ordinamento a tutela dei consumatori. Di conseguenza:  

a) qualora la decisione di un'altra Autorità, adottata successivamente divenga definitiva prima del provvedimento  adottato in precedenza dall'AGCM a tutela dei consumatori ma non ancora definitivo in quanto sub iudice, l'applicazione – ove ne ricorrano i presupposti - del principio del ne bis in idem non potrà, comunque, invalidare nel giudizio le parti di tale provvedimento che costituiscono esercizio di poteri, di tipo inibitorio o conformativo, diversi da quello sanzionatorio di natura penale;  

b) qualora una decisione definitiva di un'altra Autorità intervenga prima dell'avvio o della conclusione del procedimento dell'AGCM a tutela dei consumatori, all'AGCM non sono, comunque, preclusi né l'avvio né la conclusione di tale procedimento per l'esercizio di poteri diversi da quello sanzionatorio

4. Il principio del ne bis in idem di cui all'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea vieta un cumulo tanto di procedimenti quanto di sanzioni aventi natura penale ai sensi di tale articolo per gli stessi fatti e nei confronti di una stessa persona, e, pertanto, non opera per un soggetto, anche solo formalmente, diverso dalla parte di quel procedimento. 

5. L'art. 50 della Carta della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, opera solo con riferimento a fatti che integrano un'infrazione al diritto dell'Unione nonché alle corrispondenti disposizioni del diritto di tale Stato membro, e, pertanto, occorre verificare se la disposizione applicata abbia lo scopo di attuare una disposizione del diritto dell'Unione, quale sia il suo carattere e se essa persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto dell'Unione, anche se è in grado di incidere indirettamente su quest'ultimo, nonché se esista una normativa di diritto dell'Unione che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa. 

6. Il criterio rilevante per l'applicazione dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, è quello dell'identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di condotte e circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro che hanno condotto all'assoluzione o alla condanna definitiva dell'interessato; di conseguenza, il Giudice nazionale è chiamato a verificare l'identità di tali fatti e non anche la sussistenza di mere analogie o affinità, accertando in particolare che la decisione di altra autorità, dello stesso o di altro Stato membro, divenuta definitiva per prima, abbia verificato in modo effettivo tutti gli elementi, territoriali ed extraterritoriali, e li abbia posti a fondamento della decisione assunta. 

Il caso 

Con decisione del 4 agosto 2016, l'AGCM ha irrogato in solido alla (VWGI) e alla (VWAG) una sanzione pecuniaria di importo pari a 5 milioni di euro per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette ai sensi dell'articolo 20, secondo comma, dell'articolo 21, primo comma, lett. b), e dell'art. 23, primo comma, lett. d), Codice del Consumo (d.lgs. n. 206/2005). 

In dettaglio, alle due società sono state contestate da un lato, l'installazione, sui veicoli diesel commercializzati a far data dal 2009, di un software finalizzato ad alterare la misurazione dei livelli di emissione di ossidi di azoto durante i test per il controllo delle emissioni inquinanti; dall'altro, la diffusione di messaggi pubblicitari contenenti informazioni relative all'attenzione prestata da tali società al livello delle emissioni inquinanti e all'asserita conformità dei veicoli in questione alle norme di legge. Il provvedimento è stato impugnato dinnanzi al TAR Lazio.  

Quando il ricorso dinnanzi al giudice amministrativo si trovava ancora pendente, la procura di Braunschweig (Germania) ha irrogato alla VWAG una sanzione pecuniaria di importo pari a 1 miliardo di euro in ragione della contestata manipolazione dei gas di scarico di taluni motori diesel del gruppo V. Nell'ambito di tale decisione è stato precisato che, mentre una parte dell'importo complessivo - pari a 5 milioni di euro - sanzionava la condotta illecita, la restante somma era destinata a privare la VWAG dei benefici economici ricavati dall'installazione del software de quo

La decisione tedesca è divenuta definitiva il 13 giugno 2018, quando la VWAG, versando la sanzione pecuniaria, ha formalmente rinunciato alla proposizione del ricorso. Conseguentemente, nell'ambito del procedimento pendente dinnanzi al TAR Lazio, la VWGI e la VWAG hanno dedotto l'illegittimità sopravvenuta della decisione controversa per violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 50 della Carta della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) e all'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen (CAAS). 

Con sentenza del 3 aprile 2019, il giudice di primo grado ha respinto il ricorso ritenendo che il principio invocato non ostasse al mantenimento della sanzione pecuniaria prevista dalla decisione impugnata; avverso tale sentenza la VWGI e la VWAG hanno proposto appello riproponendo le censure disattese dal giudice di prime cure

Il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario, ai fini della decisione della controversia, sottoporre alla Corte di Giustizia una serie di quesiti interpretativi: in primo luogo, se le sanzioni irrogate in tema di pratiche commerciali scorrette, ai sensi della normativa interna attuativa della direttiva 2005/29/CE, siano qualificabili alla stregua di sanzioni amministrative di natura penale; in secondo luogo, se l'art. 50 della Carta vada interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente di confermare in sede processuale una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale per condotte illecite che integrano pratiche commerciali scorrette, per le quali nel frattempo è stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico in uno Stato membro diverso, laddove la seconda condanna sia divenuta definitiva anteriormente al passaggio in giudicato dell'impugnativa giurisdizionale della prima sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale; da ultimo, se la disciplina di cui alla direttiva 2005/29/CE, con particolare riferimento agli articoli 3, § 4, e 13, §2, lett. e), possa giustificare una deroga al divieto di ne bis in idem stabilito dall'art. 50 della Carta e dall'art. 54 della CAAS. 

Una volta intervenuta la decisione della Corte di Giustizia sulle questioni pregiudiziali, il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello in applicazione dei principi enunciati dal giudice europeo non ritenendo integrata nella fattispecie una violazione del principio del ne bis in idem

Le questioni 

La natura “penale” delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'AGCM per pratiche commerciali sleali

La prima questione affrontata dalla decisione in commento ha riguardato la natura del procedimento e della sanzione di cui all'art. 27, comma 9, Codice del Consumo con riguardo alla possibilità di ricondurre la sanzione irrogata dall'AGCM nell'alveo applicativo della previsione di cui all'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali. 

Le condizioni per l'applicazione del principio del ne bis in idem europeo 

La seconda questione affrontata è stata quella concernente la ricorrenza nella fattispecie delle condizioni per l'applicazione del principio del ne bis in idem, vale a dire, da un lato, che vi sia una decisione definitiva anteriore (bis) e, dall'altro, che gli stessi fatti siano oggetto tanto della decisione anteriore quanto del procedimento o della decisione successivi (idem). 

Le soluzioni giuridiche 

Sulla natura dei provvedimenti sanzionatori dell'AGCM in materia di tutela del consumatore  

Per risolvere la prima questione, il Consiglio di Stato ha richiamato i principi enunciati dalla Corte di Giustizia secondo cui la natura penale dei procedimenti e delle sanzioni, ai fini dell'applicazione dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere vagliata sulla scorta di tre criteri, e segnatamente: la qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, la natura medesima dell'illecito e il grado di severità della sanzione (i c.d. Engel criteria). 

Applicando i suddetti principi alla fattispecie, la sanzione e il procedimento di cui all'art. 27, comma 9, Codice del Consumo risultano qualificati come “amministrativi”; questo dato, tuttavia, non è di per sé ostativo all'applicazione dell'art. 50 CDFUE, dovendosi compiere una verifica alla luce degli ulteriori criteri. 

Per quanto attiene alla natura dell'illecito, questa impone di verificare se la sanzione persegua una finalità repressiva, eventualmente anche non disgiunta da una preventiva. Nel caso di specie, la sanzione prevista da tale disposizione si aggiunge, obbligatoriamente, alle altre misure che l'AGCM può adottare rispetto a pratiche commerciali scorrette e che comprendono, in particolare, il divieto di proseguire o ripetere le pratiche in questione. Inoltre, la circostanza che la sanzione pecuniaria varia a seconda della gravità e della durata dell'illecito di cui trattasi testimonia una certa gradualità e progressività tipica delle sanzioni.  

Per quanto concerne infine il terzo criterio, la Corte rileva come il grado di severità venga valutato in funzione della pena massima, con la conseguenza che una sanzione amministrativa pecuniaria che può raggiungere un importo di 5 milioni di euro presenta un grado di severità tale da far propendere per il riconoscimento della natura penale. 

Sulla scorta del richiamo a siffatte argomentazioni, la decisione in commento conclude ritenendo che l'art. 50 CDFUE deve essere interpretato nel senso che una sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla normativa nazionale, irrogata a una società dall'autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori per pratiche commerciali sleali, benché sia qualificata come sanzione amministrativa dalla normativa nazionale, costituisce una sanzione penale quando persegue una finalità repressiva e presenta un elevato grado di severità. 

Sulla ricorrenza nella fattispecie dei presupposti per l'applicazione del principio del ne bis in idem 

In aderenza a quanto rilevato dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, il Consiglio di Stato rileva che nonostante il procedimento dell'AGCM fosse stato avviato e concluso prima che la decisione della corte tedesca divenisse definitiva, tale decisione intervenuta nelle more, è divenuta definitiva prima di quella dell'AGCM in quanto le società vi hanno prestato quiescenza e non hanno proposto impugnativa, diversamente da quanto avvenuto rispetto alla sanzione dell'AGCM che è stata impugnata. Sussiste, pertanto, il requisito del bis.  

Per quanto attiene al requisito dell'idem, dalla formulazione dell'art. 50 CDFUE discende che esso vieta di perseguire o sanzionare penalmente lo stesso soggetto più di una volta per lo stesso reato.  

Sotto il profilo dell'identità soggettiva, la decisione in commento ha valorizzato la circostanza, rimessa dalla Corte alla valutazione del giudice nazionale, che nella fattispecie il procedimento dell'AGCM si sia svolto anche nei confronti di VWGI e non solo della capogruppo tedesca (unica destinataria della decisione della procura di Braunschweig) ritenendo che la direzione, il controllo o la partecipazione azionaria totalitaria non elidano la distinta soggettività giuridica della società italiana rispetto alla casa madre ai fini dell'applicazione del diritto sanzionatorio.  

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che questo elemento di alterità tra la decisione della Procura tedesca e il provvedimento dell'AGCM non abbia esclusivo rilievo soggettivo ma si rifletta anche su un piano oggettivo, in quanto il coinvolgimento della Società italiana è affermato in ragione di condotte materiali ulteriori rispetto a quelle valutate dall'autorità giudiziaria tedesca che hanno concorso all'integrazione dell'illecito consumeristico accertato nel territorio italiano. 

D'altro canto, la stessa sentenza della Corte di Giustizia rimetteva al giudice dello stato nel cui ordinamento la decisione straniera dovrebbe produrre gli effetti del ne bis in idem valutare le condizioni di applicazione di tale principio, con la conseguenza che le considerazioni esposte dall'Autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento non sono vincolanti per il giudice nazionale. Partendo da tale assunto, il Consiglio di Stato arriva alla conclusione, dettagliatamente argomentata, che non vi si sia identità oggettiva tra i fatti posti a fondamento delle due decisioni di condanna in quanto l'AGCM ha svolto indagini autonome al fine di decretare il carattere scorretto delle pratiche commerciali in contestazione e ha fondato la propria decisione su un quadro probatorio diverso da quello considerato dalla procura Braunschweig. In particolare, l'AGCM ha svolto uno specifico accertamento in relazione alla componente della fattispecie costituita dalla potenziale incidenza sul comportamento del consumatore che non è stata oggetto di indagine da parte dell'autorità tedesca. 

Il Consiglio di Stato, dunque, non ritiene che nella fattispecie ricorrano i presupposti per invocare l'applicazione del principio del ne bis in idem europeo

Osservazioni 

La sentenza in commento ha particolare importanza per l'assoluta novità della questione esaminata dal Consiglio di Stato. Il giudice nazionale sembra chiedere – per l'accertamento del ne bis in idem - una disamina dettagliata delle condotte in analisi, facendo pensare ad un'applicazione del principio molto più limitata di quanto si sarebbe atteso a valle delle indicazioni rese dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale. Certamente si tratta di un precedente rilevante in ottica prospettica, stante la crescente frequenza di condotte transfrontaliere che intersecano molteplici interessi tutelati da diverse autorità nazionali/sovranazionali pur nascendo dai medesimi fatti “presupposti”, e la tensione che potrebbe crearsi rispetto a un'ipotetica extraterritorialità del diritto nazionale rispettivamente applicato.

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