Mancato deposito per “errore fatale”: entro quanto tempo può essere chiesta la rimessione in termini?

Giovanni Rocchi
13 Maggio 2024

La verifica della tempestività nella formulazione dell'istanza di rimessione in termini deve avvenire tenendo conto del fatto che quest'ultima deve essere formulata entro un termine contenuto e rispettoso del principio di ragionevole durata del processo.

Massima

In tema di istanza di rimessione in termini formulata dalla parte il cui deposito telematico di un atto processuale abbia avuto come esito un messaggio di errore fatale nella c.d. “quarta PEC” con il conseguente determinarsi di una decadenza processuale, il verificarsi dell'errore fatale non implica necessariamente l'imputabilità della decadenza al mittente in quanto esso consegue soltanto all'impossibilità del sistema di caricare l'atto nel fascicolo informatico. La verifica della tempestività nella formulazione dell'istanza deve avvenire tenendo conto del fatto che quest'ultima va formulata entro un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del processo.

Il caso

Una lavoratrice impugnava avanti la Corte di Appello di Bologna la decisione con la quale il Tribunale di Reggio Emilia aveva rigettato le sue pretese.

L'appellante depositava telematicamente il ricorso in appello l'ultimo giorno del termine semestrale per la proposizione del gravame. Il deposito generava regolarmente la ricevuta di avvenuta consegna, ma i controlli automatici rilevavano una anomalia che necessitava di verifiche da parte dell'ufficio ricevente. Tre giorni dopo veniva comunicato alla ricorrente che si era verificato un errore fatale che aveva impedito il buon fine del deposito.

L'appellante reiterava il deposito telematico, ma senza esito.

L'appellante, infine, chiesti chiarimenti alla cancelleria il 9 giugno 2016, provvedeva il 17 giugno 2016 al deposito analogico del ricorso formulando contestualmente istanza di rimessione in termini.

La Corte di Appello dichiarava inammissibile il gravame, rilevando, in primo luogo, che l'errore fatale del deposito telematico fosse stato determinato dal deposito di un atto in formato non ammesso dal sistema ed affermando, ad abundantiam, che anche qualora tale errore potesse essere ritenuto scusabile, l'accoglimento dell'istanza di remissione in termini sarebbe stato precluso dalla circostanza che l'appellante si fosse attivata presso la cancelleria solo a distanza di tre giorni dal fallimento del deposito ed avesse depositato l'istanza solo dopo ulteriori otto giorni.

Avverso tale decisione proponeva ricorso principale la lavoratrice.

La questione

La ricorrente sollevava tre questioni.

In primo luogo, rilevava la violazione dell'art.16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, sostenendo che il deposito dovesse essere ritenuto tempestivo stante la generazione della ricevuta di avvenuta consegna dello stesso ed il tenore della comunicazione relativa all'esito dei controlli automatici, che segnalava solo la necessità di verifiche da parte dell'ufficio ricevente.

In secondo luogo, rilevava che il file che aveva dato luogo all'errore fatale non era quello che conteneva il ricorso in appello ma un allegato che, peraltro, era stato formato nel rispetto delle regole tecniche, lamentando la violazione degli artt. 22, comma 2 e 23-bis del d.lgs. n. 82/2005.

In terzo luogo, rilevava come i tempi con i quali essa si era attivata per rimediare al mancato buon fine del deposito erano dipesi dal ritardo della cancelleria nel segnalare la circostanza e che dovevano essere considerati congrui con particolare riguardo alla presentazione dell'istanza di rimessione in termini, lamentando la violazione dell'art.153, comma 3, c.p.c. e dell'art. 6 CEDU.

La soluzione giuridica

La Corte accoglie il terzo motivo rilevando che la ricorrente, avendo effettuato il deposito in data 3 giugno 2016, avendo ricevuto esito negativo il 6 giugno 2016, avendo chiesto chiarimenti alla cancelleria il 9 giugno 2016 e, infine, avendo depositato il ricorso in appello unitamente all'istanza di remissione in termini il 17 giugno 2016, si sarebbe attivata tempestivamente, tenuto altresì in considerazione che l'esito dei controlli automatici alludeva solo a necessarie verifiche dell'ufficio e non ad un errore irrimediabile, inducendo quindi un affidamento nel buon fine della procedura. La Corte rilevava, inoltre, che l'”errore fatale" non possa essere imputato alla parte che effettua il deposito, poiché esprime esclusivamente l'impossibilità del sistema di introdurre il file nel fascicolo informatico.

Osservazioni

L'ordinanza in commento è pervenuta ad una decisione nella sostanza condivisibile.

Nessuno particolare rilievo in relazione alle argomentazioni utilizzate per rigettare il primo motivo di ricorso. Infatti, nonostante l'art.16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, applicabile ratione temporis, sancisca che il deposito telematico si perfeziona nel momento in viene generata la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio PEC con il quale è veicolato, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che ciò costituisca un effetto provvisorio – per quanto indefettibile – del deposito, che per il suo definitivo perfezionamento richiede la regolare conclusione del relativo procedimento informatico che si verifica con l'accettazione dell'atto processuale e dei suoi allegati da parte del cancelliere. In mancanza del quale non può trovare applicazione il principio del raggiungimento dello scopo ex art.156 c.p.c.

In relazione al secondo motivo di ricorso la Corte, preso atto che anche il secondo tentativo di deposito non era andato a buon fine, ha correttamente rilevato l'impossibilità di reputare valido il deposito considerando unitariamente le due successive procedure di deposito e valorizzando, quanto al momento del perfezionamento, la generazione della ricevuta di avvenuta consegna del primo deposito e, quanto alla effettiva disponibilità dell'atto, il secondo.

La Corte, infine, esaminando il terzo motivo di ricorso lo ritiene fondato, affermando il principio di cui in massima. Procedendo dal presupposto che il verificarsi di un errore fatale nel deposito non presupponga la sua imputabilità alla parte depositante, in quanto esso implica solo una impossibilità tecnica dell'accettazione del deposito di per sé neutra, la Corte ricostruisce la cronologia degli eventi e ritiene integrato anche il requisito della tempestività della reazione del depositante al mancato buon fine del deposito. Ribadendo, quindi, che la parte una volta avvedutasi del mancato buon fine dell'attività processuale da compiere nel termine decadenziale, debba attivarsi in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del processo, secondo un principio sufficientemente consolidato, originariamente elaborato per lo più per le ipotesi di mancato buon fine delle procedure notificatorie (Cass. civ., sez. V, 6 giugno 2012, n. 9114; Cass. civ., sez. VI - Lavoro, 5 aprile 2018, n. 8445). Nella specie la Corte ha ritenuto essere ragionevolmente tempestiva una attivazione verificatasi a distanza di undici giorni dalla comunicazione di mancato buon fine del deposito, lasso di tempo nel quale la ricorrente aveva anche posto in essere un nuovo tentativo di deposito.

La decisione in commento, come detto, è giunta ad un approdo condivisibile ed ha il pregio di ricostruire un quadro operativo cui gli attori del processo possono rifarsi in situazioni analoghe, contiene però un elemento distonico che induce inutile incertezza. La Corte, infatti, richiamando un proprio precedente (Cass. civ., sez. II, 27 settembre 2019, n. 24180) sembra subordinare l'ammissibilità della remissione in termini alla circostanza che la cancelleria comunichi alla parte la mancata accettazione oltre il giorno successivo a quello di ricezione del deposito, termine, come noto, suggerito agli uffici giudiziari dalla Circolare del Ministero della Giustizia 23 ottobre 2015. In particolare, la Corte afferma che le disposizioni della richiamata circolare "sono oggettivamente idonee, per la fonte da cui promanano e per la pubblicità cui sono assoggettate, ad indurre negli avvocati il ragionevole affidamento che l'esito del deposito telematico sarà loro reso noto il giorno successivo alla effettuazione dello stesso, sì da poter i medesimi rimediare tempestivamente, ove emergessero eventuali anomalie della procedura, ai vizi del predetto deposito". Parrebbe potersi ricavare, quindi, che nel caso in cui la mancata accettazione pervenisse il giorno successivo al deposito l'istanza di remissione in termini non sarebbe ammissibile.

Sennonché l'affermazione di un tale principio condannerebbe all'inammissibilità ogni deposito che fosse effettuato nel giorno di scadenza ed andasse incontro ad un mancato buon fine comunicato dalla cancelleria entro il termine di cui alla circolare, conseguenza all'evidenza aberrante. Qualora così fosse, infatti, la parte depositante vedrebbe confiscata la facoltà di avvalersi dell'intero spazio concessole dal termine processuale assegnatole e si vedrebbe soggetta due regimi diversi a seconda che la cancelleria sia tempestiva o meno nel comunicare la mancata accettazione: nel primo caso non potrebbe essere rimessa in termini, nel secondo potrebbe rimediare alla tardività del deposito con l'istanza di remissione in termini. Si tratterebbe, con ogni evidenza, di una soluzione paradossale, che farebbe soggiacere situazioni identiche a regimi ingiustificatamente difformi.

Fermi i presupposti di ammissibilità della rimessione in termini e, quindi, la non imputabilità della decadenza alla parte che vi è incorsa e la tempestiva attivazione della stessa per rimediarvi in un tempo ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del processo, il momento del deposito in rapporto alla scadenza del termine e la tempestività o meno della comunicazione di mancata accettazione, dovrebbero quindi essere del tutto irrilevanti, fermo restando l'onere della parte di accertarsi con diligenza dell'esito definitivo del deposito effettuato.

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