La Consulta sui riti alternativi e sulle pene sostitutive

13 Maggio 2024

Sono state depositate due sentenze della Corte costituzionale – la n. 83 e la n. 84 – con le quali, pur nella loro diversità, si affronta il tema delle scelte legislative di istituti che secondo i giudici remittenti avrebbero meritato maggiore omogeneità di trattamento.

Non omologabile patteggiamento e abbreviato

Con la prima decisione (n. 83/2024) il giudice a quo solleva in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. una questione di legittimità costituzionale dell'art. 444 c.p.p. nella parte in cui nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per reati contravvenzionali prevede la dimezzazione della pena fino ad un terzo, anziché fino alla metà come nel rito abbreviato. Dopo aver dichiarato inammissibili le questioni in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. la Corte dichiara non fondata la questione in relazione all'art. 3 Cost.

Invero, i giudici costituzionali non hanno nessuna difficoltà a sottolineare la diversità dei due riti, tali da giustificare il diverso trattamento riservato alla premialità per le contravvenzioni.

In rapida sintesi:

  • nel patteggiamento la premialità è fino ad un terzo, nell'abbreviato è di un terzo;
  • il patteggiamento è proponibile nelle indagini preliminari, nell'abbreviato è successivo all'esercizio dell'azione penale;
  • nel patteggiamento a differenza dell'abbreviato non c'è nessuna premialità in caso di mancata impugnazione;
  • il potere del giudice nei due riti è fortemente diversificato; nell'abbreviato non è previsto il condizionamento dell'operatività della sospensione condizionale; nel patteggiamento c'è una disciplina sulle spese per la parte civile.

Solo per accennare ad alcune situazioni che rendono improponibile un trasferimento della disciplina delle contravvenzioni da un rito all'altro.

    

Detenzione domiciliare sostitutiva e detenzione domiciliare alternativa

Con la seconda decisione (n. 84/2024) la Corte d'appello di Bologna solleva in relazione agli artt. 3, 27 e 76 Cost. una questione di legittimità costituzionale dell'art. 71, comma1, lett. c), s) e v), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della l. 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), censurando alcuni aspetti della disciplina della pena sostitutiva della detenzione domiciliare ivi introdotta (segnatamente, la durata dell'obbligo di permanenza presso il domicilio designato per l'espiazione della pena; la possibilità di fruire di licenze; le conseguenze penali dell'ingiustificato allontanamento dal domicilio).

In particolare, il rimettente censura in primo luogo – in riferimento agli artt. 3, 27 e 76 Cost. – l'art. 71, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 150/2022, nella parte in cui, modificando l'art. 56, comma 1, della l. n. 689 del 1981, stabilisce che la detenzione domiciliare sostitutiva comporti «l'obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato», prevedendo altresì che «in ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice».

Tale disposizione contrasterebbe, in particolare, con il criterio di delega fissato dall'art. 1, comma 17, lett. f), l. n. 134/2021, che imponeva di «mutuare, in quanto compatibile, la disciplina sostanziale e processuale prevista dalla l. 26 luglio 1975, n. 354» per l'omonima misura alternativa. Il «diritto del condannato a rimanere lontano dal luogo impostogli per l'espiazione della pena per dodici ore al giorno» e «comunque per almeno quattro ore al giorno», non troverebbe infatti riscontro nella disciplina prevista dagli artt. 47-ter, comma 4 e 47-quinquies, comma 3, l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà). Tali disposizioni infatti – rispettivamente per la detenzione domiciliare “ordinaria” e per quella “speciale” – fanno obbligo al tribunale di sorveglianza di dettarne le modalità “secondo quanto stabilito” per gli arresti domiciliari dell'art. 284 c.p.p.; e dunque escludono «qualunque possibilità di allontanamento   [....]  che non sia giustificato dall'impossibilità da parte del condannato di provvedere in altro modo (ricorrendo cioè anche all'aiuto di terzi) alle proprie indispensabili esigenze di vita o dalla necessità di esercitare un'attività lavorativa qualora versi in una situazione di assoluta indigenza».

Non dovendo il giudice a quo fare in concreto applicazione delle situazioni di difformità dei due meccanismi sanzionatori, la Corte dopo aver dichiarato l'inammissibilità delle questioni in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., affronta la questione sotto il profilo della violazione della direttiva della delega (art. 76 Cost.). A tale proposito, i giudici costituzionali, nel dichiarare la questione non fondata, in quanto le scelte del legislatore, già previste nei limiti della compatibilità, si inseriscono coerentemente, dal punto di vista sistematico, nel quadro di un complessivo intervento legislativo volto anche ad assicurare risposte sanzionatorie al reato certe, rapide ed effettive, ancorché alternative rispetto al carcere.

Tale risultato è conseguito sia mediante la regola dell'inapplicabilità della sospensione condizionale alle pene sostitutive (art. 61-bis l. n. 689/1981), sia mediante la disciplina dell'esecuzione delle stesse dettata dall'art. 62 della stessa l. n. 689 del 1981esecuzione che segue immediatamente il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, e durante la quale non possono essere concesse misure alternative alla detenzione (art. 67 della l. n. 689 del 1981), fatta salva la possibilità – per il condannato alla semilibertà o alla detenzione domiciliare sostitutive – di accedere all'affidamento in prova dopo l'espiazione di metà della pena (art. 47, comma 3-ter, ord. penit.).

In tal modo, come osserva la relazione illustrativa del d.lgs. n. 150/2022la riforma intende realizzare «una anticipazione dell'alternativa al carcere all'esito del giudizio di cognizione», essa stessa funzionale a un più efficace perseguimento di obiettivi di prevenzione generale e speciale, realizzati attraverso l'immediata applicazione di misure che consentono anche di controllare l'eventuale pericolosità sociale del condannato sin dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna (se del caso, mediante specifiche procedure di sorveglianza elettronica ai sensi dell'art. 56, comma 4, della l. n. 689 del 1981).

Controllo che sarebbe invece rinviato anche per vari anni dopo il passaggio in giudicato di una condanna a pena detentiva non sostituita e non superiore a quattro anni, la cui esecuzione resterebbe sospesa sino a che il tribunale di sorveglianza decida sull'istanza di applicazione di una misura alternativa al condannato in forza del citato art. 656, comma 5, c.p.p., nel testo risultante a seguito della sentenza n. 41 del 2018 di questa Corte.

Pertanto secondo i giudici costituzionali le scelte qui censurate del legislatore delegato sono certamente compatibili con il dato letterale della legge delega, che imponeva di mutare soltanto “in quanto compatibile” la disciplina della detenzione domiciliare stabilita dalla legge sull'ordinamento penitenziario e appaiono corrispondere alle due essenziali rationes sottese al disegno del legislatore delegante (mettere a disposizione del giudice di cognizione risposte sanzionatorie non carcerarie a spiccato orientamento rieducativo, e incentivare definizioni alternative del processo); e si inseriscono, altresì, in modo coerente all'interno di un quadro normativo volto nel suo complesso ad assicurare risposte certe, rapide ed effettive al reato, ancorché alternative rispetto al carcere.

Va sottolineato, al di là della questione rimessa alla Corte, come il tema de quo abbia costituito un momento di riflessione tra gli operatori, relativamente alle scelte difensive tra l'immediata decisione di condanna ed il differimento della applicazione delle misure alternative, essendo lamento il fatto che il legislatore avrebbe potuto prevedere in fase di cognizione anche la misura penitenziaria.

    

*Fonte: DirittoeGiustizia

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