Appello: il “nuovo” termine a comparire di 40 giorni si applica solo agli atti d'impugnazione proposti dal 1° luglio 2024

01 Luglio 2024

Il nuovo statuto delle impugnazioni, come ridisegnato dalla c.d. riforma Cartabia, ha raddoppiato la durata del termine a comparire nel giudizio di appello, già pari a venti giorni: a quali giudizi è applicabile il nuovo termine? In assenza di una disciplina transitoria, a quale atto della sequenza procedimentale (sentenza, impugnazione, decreto di citazione a giudizio) deve guardarsi per dare applicazione al principio tempus regit actum?

Questione controversa

La questione controversa riguarda la regola dettata nella parte finale dell'art. 601 comma 3, c.p.p., come riscritto dal d.lgs. n. 150/2022, a mente del quale «Il termine per comparire non può essere inferiore a quaranta giorni»: in assenza di una disciplina transitoria, ed in presenza di una norma che ha differito al 30 giugno 2024 l'entrata in vigore del nuovo statuto delle impugnazioni, il più lungo termine a comparire previsto dal legislatore della riforma può trovare applicazione fin da subito?

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione Terza soluzione
  • Secondo un primo orientamento «La nuova disciplina dell'art. 601, comma 3, c.p.p., introdotta dall'art. 34, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 150/2022, che individua in quaranta giorni, anziché in venti, il nuovo termine a comparire nel giudizio di appello, è applicabile a far data dal 30 dicembre 2022, in base al combinato disposto del predetto d.lgs. n. 150/2022, dell'art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito in legge 25 febbraio 2022, n. 15, nonché dell'art. 6 d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito in legge 30 dicembre 2022, n. 199. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'art. 5-duodecies d.l. n. 162/2022 non incide sulla disciplina dei termini a comparire, ma esclusivamente sulla disciplina del cd. “rito pandemico a trattazione scritta”, estendendone l'applicazione sino al 30 giugno 2023)» (così, ex plurimis, Cass. pen., sez. II, 2 novembre 2023, n. 49644).
  • Ed invero, l'art. 94 comma 2, d.lgs. n. 150/2022, nel prevedere una limitata ultrattività del c.d. rito pandemico, con conseguente differimento dell'entrata in vigore di quello previsto dalla c.d. riforma Cartabia, non fa alcun riferimento al più lungo termine di comparizione previsto dalle nuove disposizioni, sicché detto termine dovrebbe considerarsi vigente già a far data dal 31 dicembre 2022.
  • Le pronunce che hanno seguito questo orientamento hanno individuato nel decreto di citazione per il giudizio di appello l'actus al quale fare riferimento per individuare la legge applicabile: sicché, a prescindere dalla data di deposito della sentenza impugnata, il termine di quaranta giorni previsto dal nuovo art. 601 comma 3, c.p.p. sarebbe applicabile nei procedimenti nei quali detto decreto è stato emesso dopo il 30 dicembre 2022 (1).
  • Secondo l'opposto orientamento, «In tema di atti preliminari al giudizio di appello, per effetto delle modifiche apportate all'art. 601, comma 3, c.p.p. dall'art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, 150, la disciplina del termine a comparire dev'essere individuata, in assenza di norma transitoria, con riguardo alla data di emissione del provvedimento impugnato, e non a quella della proposizione dell'impugnazione, sicché, per gli appelli proposti avverso sentenze pronunciate fino al 31 dicembre 2022, tale termine è di venti giorni. (In motivazione, la Corte ha escluso che la disposizione transitoria di cui all'art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, 150, sia riferibile agli atti preliminari al giudizio di appello, con la conseguenza che, per l'individuazione della normativa processuale applicabile, occorre fare riferimento al principio tempus regit actum)» (Cass. pen., sez. II, 5 dicembre 2023, dep. 2024, n. 6010).
  • Questo orientamento muove dal principio - affermato dal massimo organo della nomofilachia con la sentenza Lista (Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2007, n. 27614) - secondo cui in tema di impugnazioni, quando si succedano nel tempo diverse norme, e non sia prevista una disciplina transitoria, deve prestarsi ossequio al generale principio tempus regit actum, facendosi riferimento non al momento di proposizione dell'impugnazione, ma a quello di emissione del provvedimento impugnato: sicché, a prescindere dalla data di proposizione dell'impugnazione e dalla data di emissione del decreto di citazione per il giudizio di appello («mero atto esecutivo» privo di autonoma rilevanza, secondo la sentenza da ultimo citata), la nuova disposizione dovrebbe trovare applicazione nei giudizi di appello che riguardano sentenze pronunciate dopo il 30 dicembre 2022 (2).
  • Secondo un terzo orientamento, «La nuova disciplina dell'art. 601, comma 3, c.p.p., introdotta dall'art. 34, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 150/2022, che individua in quaranta giorni, anziché in venti, il nuovo termine a comparire nel giudizio di appello, è applicabile alle impugnazioni proposte dopo il 30 giugno 2024, per effetto della proroga disposta dall'art. 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n. 215. (In motivazione, la Corte ha precisato che sussiste una stretta correlazione tra la perdurante applicazione delle disposizioni emergenziali per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2024 e l'entrata in vigore della disciplina sui nuovi termini a comparire, non applicabili in forza della proroga delle citate disposizioni)» (Cass. pen., sez. II, 31 gennaio 2024, n. 7990).
  • Questo orientamento si fonda sulla considerazione che il più lungo termine di comparizione introdotto dalla cd. riforma Cartabia «è una conseguenza necessitata delle nuove cadenze processuali»: sicché sarebbe irragionevole dare all'art. 601 comma 3, c.p.p., «norma ancillare» al ridisegnato statuto delle impugnazioni, una applicazione «anticipata e isolata» (3).

(1Cass. pen., sez. VI, 20 febbraio 2024, n. 12157; Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 2024, n. 5481; Cass. pen., sez. II, 2 novembre 2023, n. 49644; Cass. pen., sez. IV, 16 novembre 2023, n. 48056.

    

(2Cass. pen., sez. II, 5 dicembre 2023, dep. 2024, n. 6010.

     

(3Cass. pen., sez. II, 31 gennaio 2024, n. 7990; Cass. pen., sez. V, 2 febbraio 2024, n. 5347.

Rimessione alle Sezioni Unite

Cass. pen., sez. II, 5 aprile 2024, n. 16364

Cass. pen., sez. II, 5 aprile 2024, n. 16365

  • I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare i ricorsi per cassazione di imputati che si dolevano del mancato rispetto, da parte dei giudici di appello, del termine a comparire di 40 giorni introdotto dalla cd. riforma Cartabia.
  • La Seconda Sezione ha dato atto del contrasto venutosi a creare negli ultimi mesi nella giurisprudenza di legittimità, non solo in merito alla individuazione della data di entrata in vigore dell'art. 601 comma 3, c.p.p. nella sua nuova formulazione, ma anche in merito alla natura del decreto di citazione a giudizio in appello, ed alla sua idoneità ad essere considerato l'actus al cui tempus deve essere calibrata l'applicazione della legge processuale.
  • Quanto al primo aspetto, è stato rilevato il contrasto tra l'orientamento ad avviso del quale «l'obbligo di assegnare il termine di comparizione di quaranta giorni deve considerarsi sicuramente vigente dal 30 dicembre 2022; ne segue che il mancato rispetto del nuovo termine integra una nullità generale a regime intermedio, che, se tempestivamente eccepita, deve essere rilevata», e quello secondo cui «la ultrattività del rito pandemico implica la sospensione della operatività del nuovo termine di comparizione, in ragione della sua stretta connessione con le norme “sospese” e della irragionevolezza della sua anticipata operatività».
  • Quanto al secondo aspetto, mentre alcune pronunce hanno qualificato il decreto di citazione a giudizio in appello come «atto “autonomo”, idoneo ad individuare la legge processuale applicabile», in altre occasioni i giudici di legittimità l'hanno ritenuto atto necessitato e conseguente alla proposizione dell'impugnazione, e dunque privo di autonomia, sicché esso dovrebbe rispettare le prescrizioni vigenti al momento della pronuncia della sentenza impugnata, che assurgerebbe ad actus sul quale parametrare l'applicazione del principio tempus regit actum.
  • Il ricorso è stato, pertanto, rimesso alle Sezioni Unite, alle quali sono stati rivolti i seguenti quesiti: «Se la disciplina dell'art. 601, comma 3, c.p.p., introdotta dall'art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni, anziché in venti, il termine a comparire nel giudizio di appello, sia applicabile a far data dal 30 dicembre 2022 oppure dal 30 giugno 2024»; «Se, in tema di successione di leggi regolanti il termine a comparire nel giudizio di appello, ai fini dell'individuazione della disciplina da applicare, debba farsi riferimento alla data di emissione del decreto di citazione in appello, considerata l'autonoma rilevanza dello stesso, ovvero a quella della deliberazione della sentenza impugnata».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all’esito della camera di consiglio del 27 giugno 2024, hanno risolto le questioni controverse sottoposte al loro esame statuendo che «la disciplina dell'art. 601, comma 3, c.p.p., introdotta dall'art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nel giudizio di appello, è applicabile agli atti d'impugnazione proposti a far data dal 1° luglio 2024».

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