Sospensione impropria “in senso lato” e presupposti applicativi nel processo amministrativo

15 Maggio 2024

Con la pronuncia in commento l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che: la sospensione impropriain senso lato” rientra tra le ipotesi di sospensione necessaria di cui all'art. 295 c.p.c.; essa può essere ritualmente disposta soltanto con il consenso di tutte le parti; il termine di cui all'art. 80, comma 1, c.p.a. per la riattivazione del processo ha sempre natura perentoria. 

Massima

La sospensione impropriain senso lato” del processo, ossia quella disposta nelle more della definizione di una identica questione pregiudiziale già rimessa in un altro giudizio alla Corte costituzionale, alla Corte di giustizia dell'Unione europea oppure all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, trova fondamento nell'art. 295 c.p.c., che è applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio previsto all'art. 79, comma 1, c.p.a; la relativa ordinanza può però essere ritualmente adottata soltanto con il consenso di tutte le parti; ai fini della prosecuzione del giudizio, il termine di novanta giorni di cui all'art. 80, comma 1, c.p.a. ha natura perentoria, quand'anche ciò possa risolversi, nell'inerzia delle parti, in un ostacolo di fatto all'applicazione del diritto unionale.

Il caso

La sospensione del giudizio in attesa della decisione di un'analoga questione pregiudiziale di diritto unionale e la successiva inerzia delle parti

Una società assicuratrice aveva impugnato dinanzi al TAR del Lazio due provvedimenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (“AGCM”): l'uno sanzionatorio per pratica commerciale scorretta; l'altro di rigetto dell'istanza di impegni. Il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso per difetto di competenza, ritenendo che il potere esercitato dall'AGCM spettasse invece all'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (“Isvap”, oggi “Ivass”).

L'Autorità aveva quindi proposto appello e il giudice del secondo grado, con l'ordinanza del 7 marzo 2017, n. 1068, aveva sospeso il giudizio su concorde richiesta delle parti ai sensi degli artt. 79 c.p.a. e 295 c.p.c., osservando che la controversia era incentrata sulla individuazione dell'autorità titolare del potere sanzionatorio per pratiche commerciali scorrette nel mercato delle assicurazioni e che un'analoga questione (rapporti tra AGCM e autorità di regolazione di settore) era stata già rimessa alla Corte di giustizia dell'Unione europea dal Consiglio di Stato con ordinanza del 17 gennaio 2017, n. 167.

Il giudice sovranazionale si era poi pronunciato con sentenza del 13 settembre 2018 (cause riunite C-54/17 e  C-55/17), ma nessuna delle parti si era più adoperata per la riattivazione del processo.

A distanza di anni dalla sospensione è stata quindi fissata d'ufficio l'udienza pubblica di discussione, in vista della quale l'autorità appellante ha riaffermato la propria competenza alla luce della sentenza della Corte di giustizia, mentre la società assicuratrice ha eccepito l'estinzione del giudizio di appello a causa del decorso del termine previsto dall'art. 80, comma 1, c.p.a. per la prosecuzione del processo sospeso.

In tale contesto è dunque maturata la decisione della Sezione VI di rimettere alcuni quesiti all'Adunanza plenaria (ordinanza 17 novembre 2023, n. 9876), riportati nel paragrafo che segue.

La questione

Il fondamento giuridico della sospensione impropria “in senso lato” e la natura del termine di cui all'art. 80, comma 1, c.p.a.

Il thema decidendum della pronuncia in commento si incentra sui seguenti quesiti:

a) se, alla luce della giurisprudenza costituzionale sopravvenuta alla pronuncia dell'Adunanza plenaria n. 28/2014, debba confermarsi quanto ritenuto dall'Adunanza plenaria in ordine alla ammissibilità della prassi della sospensione c.d. impropriain senso lato” nel giudizio amministrativo;

b) ove la risposta sia affermativa, se, nel caso in cui in un giudizio amministrativo sia disposta una sospensione in attesa che la Corte di giustizia si pronunci su un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sollevato su medesima questione in un altro giudizio, si abbia una sospensione in senso tecnico, con la conseguenza che la prosecuzione del giudizio è subordinata necessariamente all'impulso di parte, ovvero una situazione differente, di mero rinvio della causa, tale da non giustificare l'applicazione dell'art. 80, comma 1, c.p.a.;

c) ove si risponda nel primo senso anche al quesito sub b), così confermandosi quanto a suo tempo ritenuto dall'Adunanza plenaria n. 28/2014, visto il contrasto tra la pronuncia della Sezione IV, 26 febbraio 2021, n. 1686 e la pronuncia della Sezione VI, 3 gennaio 2023, n. 82  (art. 99, comma 1, c.p.a.), quale interpretazione occorra dare all'art. 80, comma 1, c.p.a. - secondo il quale «[i]n caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione» - e, in particolare, se il termine previsto dalla disposizione citata abbia natura perentoria oppure ordinatoria.

Le soluzioni giuridiche

La sospensione impropria “in senso lato” come sospensione necessaria e la natura perentoria del termine per la prosecuzione del giudizio

L'Adunanza plenaria ha anzitutto evidenziato che l'utilità pratica della sospensione impropria “in senso lato” - quella disposta nelle more della definizione di una identica questione pregiudiziale già rimessa in un altro giudizio alla Corte costituzionale, alla Corte di giustizia dell'Unione europea oppure all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato – è correlata ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo. In particolare, essa evita, quando le parti non intendano interloquire nel processo destinato alla definizione della questione pregiudiziale, che gli organi giurisdizionali e gli uffici siano onerati da una pluralità di incombenti sostanzialmente inutili (o persino forieri di rallentamenti), giacché meramente ripetitivi di quelli che hanno già consentito la rimessione.

Ad avviso dell'Adunanza plenaria, proprio l'assenso di tutte le parti consente di superare i rilievi critici espressi dalla Corte costituzionale e incentrati sul fatto che la sospensione impropria “in senso lato” priverebbe le parti della possibilità di esercitare il diritto di difesa nel giudizio ad quem. Invero, ribadisce il supremo consesso, tale sospensione può essere disposta soltanto con il constatato consenso delle parti, che rimangono così libere di scegliere le modalità di esercizio del diritto di difesa.

Non si tratta, soggiunge il Consiglio di Stato, di una prassi priva di fondamento legislativo, ma di una delle ipotesi riconducibili alla sospensione necessaria di cui all'art. 295 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in forza del richiamo contenuto all'art. 79 c.p.a. Invero, non solo una causa, ma anche una “questione” può assumere carattere pregiudiziale, e dunque può legittimamente rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 295 c.p.c.; articolo che non fa espresso riferimento alla “causa pregiudiziale”, bensì a una categoria più generale, quella della “controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.

Del resto, osserva l'Adunanza plenaria, un risultato simile nell'effetto può essere raggiunto ricorrendo alla sospensione su istanza delle parti di cui all'art. 296 c.p.c.; istituto di cui la giurisprudenza della Corte di cassazione ha pure ammesso una “manipolazione” relativamente al termine massimo di sospensione del processo ivi previsto (tre mesi) e che, secondo la pronuncia in commento, sarebbe preferibile impiegare allorquando la questione pregiudiziale non sia identica, ma soltanto analoga a quella già rimessa in un diverso giudizio.

Peraltro, la sentenza sottolinea che, a seconda delle specificità del caso concreto, un risultato simile può essere conseguito con un rinvio dell'udienza a data fissa o, eccezionalmente, a data da destinare ovvero, ancora, con la cancellazione della causa dal ruolo nei riti soggetti a impulso di parte.

La scelta del mezzo non è però irrilevante, soprattutto perché variano le modalità di prosecuzione del processo a seguito della definizione della questione pregiudiziale.

Nel caso di rinvio dell'udienza, non occorre alcun impulso di parte (se il rinvio è a data da destinare, dovrà provvedere il giudice d'ufficio); nel caso di cancellazione della causa dal ruolo, è necessario presentare un'istanza di fissazione dell'udienza entro il termine di perenzione ordinaria; nelle ipotesi di sospensione ex art. 295 c.p.c. oppure ex art. 296 c.p.c. (quando l'ordinanza non abbia già fissato l'udienza per la prosecuzione), si applica l'art. 80, comma 1, c.p.a., il quale prevede che «[i]n caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione».

Quanto alla natura di tale termine, l'Adunanza plenaria ha ritenuto che non possa farsi riferimento all'art. 152, comma 2, c.p.c., là dove prevede che un termine può dirsi perentorio soltanto in caso di espressa previsione legislativa. Invero, l'applicabilità di tale disposizione presuppone che vi sia una lacuna da colmare (art. 39, comma 1, c.p.a.). Tuttavia, l'art. 79 c.p.a. esclude siffatta evenienza, in quanto stabilisce che «[l]a sospensione del processo è disciplinata dal Codice di procedura civile, dalle altre leggi e dal diritto dell'Unione europea»; sicché deve aversi riguardo all'art. 297 c.p.c., che, per tutte le ipotesi di sospensione, qualifica espressamente come perentorio il termine entro cui le parti hanno l'onere di chiedere la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del processo. D'altronde, aggiunge la sentenza, si tratta dell'unica soluzione ermeneutica compatibile con il principio di ragionevole durata del processo, che è comune tanto alle ipotesi di sospensione quanto a quelle di interruzione (in relazione alle quali l'art. 80, comma 3, c.p.a. prevede la perentorietà del termine per la notificazione dell'atto di impulso), e che vige parimenti sia nel processo civile sia nel processo amministrativo.

Né a diverse conclusioni può pervenirsi sulla base del comma 3-bis dell'art. 80 c.p.a., secondo cui «[i]n tutti i casi di sospensione e interruzione del giudizio il presidente può disporre istruttoria per accertare la persistenza delle ragioni che le hanno determinate e l'udienza è fissata d'ufficio trascorsi tre mesi dalla cessazione di tali ragioni». In particolare, secondo il supremo consesso, la fissazione d'ufficio dell'udienza non è volta a supplire all'inerzia delle parti per consentire comunque la prosecuzione del giudizio, bensì ad accertare, nel rispetto del contraddittorio, se è effettivamente venuta meno la causa di sospensione o interruzione del processo e, in caso positivo, se l'inerzia delle parti sia o meno giustificata; nel caso in cui risulti ingiustificata, la conseguenza è necessariamente l'estinzione.

Infine, l'Adunanza plenaria ha chiarito che la natura perentoria del termine rimane ferma quand'anche ciò possa comportare che l'inerzia delle parti, e quindi l'estinzione del giudizio, precluda l'applicazione al caso concreto del diritto unionale. Invero, la Corte di giustizia ha reiteratamente ribadito che non ricorre una violazione del diritto sovranazionale se lo spirare dei termini processuali previsti dalle leggi processuali nazionali impedisce, di fatto, l'esercizio dei diritti riconosciuti dal diritto dell'Unione europea, purché i termini siano ragionevoli, proporzionati e non discriminatori, sicché ne risultino rispettati i principi di effettività e di equivalenza; tanto perché anche l'ordinamento dell'Unione europea attribuisce particolare rilevanza al principio della certezza del diritto. E, con specifico riguardo alla sospensione impropria “in senso lato”, non può ritenersi che i predetti principi risultino violati, in quanto l'onere di chiedere la fissazione di una nuova udienza non può dirsi eccessivo, anche alla luce del fatto che la Corte di giustizia ha riconosciuto la legittimità di termini processuali perentori di durata ben inferiore rispetto a quello di novanta giorni stabilito dall'art. 80, comma 1, c.p.a.

Osservazioni

Il ruolo del giudice e il dies a quo del termine di cui all'art. 80, comma 1, c.p.a.

La sentenza dell'Adunanza plenaria affronta, con un ricco corredo motivazionale, una pluralità di questioni tra loro connesse, sulle quali non è possibile soffermarsi compiutamente nel presente contributo, che (come noto ai lettori del Portale) ha principalmente uno scopo informativo.

In termini generali, può comunque evidenziarsi che, con un articolato percorso argomentativo, la pronuncia in commento si fa carico di un'esigenza pratica diffusa e particolarmente avvertita dai vari soggetti del processo: evitare una ulteriore rimessione di una questione pregiudiziale già pendente dinanzi al relativo organo decisionale quando ciò non sia strettamente necessario; situazione che si verifica, nell'ottica dell'Adunanza plenaria, se le parti non hanno intenzione di partecipare al processo ad quem.

È però appena il caso di soggiungere che la necessità della rimessione dovrebbe essere valutata anche in relazione a un ulteriore aspetto. In particolare, occorre che il giudice ritenga di non poter o dover offrire un contributo significativamente diverso rispetto a quello già reso dall'ordinanza di rimessione.

Su quest'ultimo profilo è bene soffermare l'attenzione.

Invero, la “sorte” della questione pregiudiziale dipende necessariamente dal singolo provvedimento di rimessione, che potrebbe risultare deficitario per questioni di rito, anche legate alle specificità del caso concreto da cui è originata la rimessione, oppure nella sua parte argomentativa, che concorre a definire il thema decidendum e a rappresentare il “nodo” giuridico da sciogliere. La scelta di ricorrere alla sospensione impropria “in senso lato” va dunque apprezzata con particolare rigore dal giudice, non soltanto perché essa può privare l'organo decisionale competente sulla questione pregiudiziale di un ulteriore contributo (quello del nuovo provvedimento di rimessione), ma soprattutto in relazione al rischio che la questione già pendente sia poi definita in rito per un vizio proprio della singola ordinanza di rimessione oppure risolta negativamente per l'insufficiente individuazione dei parametri giuridici di riferimento (soprattutto nell'incidente di costituzionalità).

Se ciò accade (e l'esperienza insegna che si tratta di uno scenario abbastanza ricorrente nel caso di pregiudizialità costituzionale), il risultato è che, quasi sempre, la questione pregiudiziale dovrà essere rimessa nuovamente al relativo organo decisionale e il processo andrà sospeso ancora una volta, con conseguente allungamento della durata del giudizio. Potrebbe, invece, difficilmente sostenersi che il consenso prestato dalle parti valga ad accogliere la decisione sulla questione pregiudiziale qualunque essa sia; il giudice, chiamato ad applicare la disposizione sospettata di incostituzionalità o di contrasto con il diritto dell'Unione europea, deve comunque compiere una valutazione irrelata rispetto alla volontà manifestata dalle parti, a meno che queste rinuncino al vizio-motivo che comporta la necessità di applicare quella disposizione.

Rimane invece attualmente irrisolta un'ulteriore questione, che l'Adunanza plenaria ha demandato alla valutazione della sezione rimettente: l'individuazione del dies a quo da cui decorre il termine perentorio per la prosecuzione del giudizio ai sensi dell'art. 80, comma 1, c.p.a.

Vi è che la disposizione si riferisce esclusivamente alla «comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione»; frammento normativo che manifesta come il legislatore del Codice non abbia considerato la sospensione impropria “in senso lato”, ove non vi è alcuna comunicazione a cui ancorare il decorso del termine.

Si tratta di un aspetto cruciale, perché basilari esigenze di certezza impongono che l'individuazione del dies a quo di un termine perentorio sia operazione sicura, ciò che è possibile soltanto ove si individui con chiarezza il relativo fondamento nella legge (art. 111, comma 1, Cost.).

Al riguardo potrebbe pure risultare persuasiva, in punto di equilibrio e ragionevolezza, la tesi, già affermata dall'Adunanza plenaria n. 28/2014, che individua il dies a quo nella data di pubblicazione della pronuncia sulla questione pregiudiziale (momento che ne segnerebbe la conoscibilità legale) e che dunque postula un onere delle parti di monitorare il corso del processo ad quem (fondato sul principio di autoresponsabilità, a sua volta radicato sul consenso prestato alla sospensione impropria “in senso lato”).

Resta però da chiedersi se, a fronte di dati normativi così poco “favorevoli” all'istituto, non sia meglio ricorrere alle numerose alternative pure evidenziate nella sentenza qui annotata.  

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala:

E. Apicella, in Il processo amministrativo, a cura di A. Quaranta – V. Lopilato, Milano, Giuffrè, 2011, 609 ss.;

R. De Nictolis, Codice del processo amministrativo, ed. V, Milano, 2023, 1301 ss.

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