Mutuo bancario «incompleto» (per inesistenza dell’obbligazione restitutoria) e titolo esecutivo

23 Maggio 2024

La prassi bancaria spesso ricorre a mutui con erogazione e immediata restituzione della somma, al fine di soddisfare esigenze di liquidità temporanee dei clienti. Tuttavia, la natura di tali contratti solleva dubbi circa l'esistenza di un'obbligazione di restituzione attuale per il mutuatario e, di conseguenza, circa la possibilità di ottenere un titolo esecutivo in caso di mancato pagamento. Di tale questione si è occupata la Cassazione nella pronuncia in oggetto.

Il Prof. Dolmetta, dopo aver ricostruito l'iter logico-argomentativo seguito della Suprema Corte, fa un'analisi approfondita e critica della pronuncia, offrendo spunti di riflessione sulle possibili implicazioni che avrà nel panorama giuridico.

La fattispecie tipo del «mutuo» con contestuale deposito della somma in c/c acceso presso la banca mutuante

Nella prassi delle imprese bancarie è tutt’oggi diffusa una peculiare modalità di dar corso alle operazioni di mutuo (ipotecario o anche non). Che risulta così articolata:

  1. la banca consegna al cliente, a mezzo di assegno circolare (di solito non trasferibile e talora pure intestato alla banca medesima) o di altre forme equivalenti, la somma di cui al mutuo;
  2. il cliente, a sua volta, contestualmente versa la somma, così ricevuta, in un conto corrente acceso presso la banca e vincolato «all’ordine» di quest’ultima (o comunque fa nell’immediato «rientrare» la somma alla banca);
  3. le somme rimangono bloccate su detto conto, fintanto che la banca non deciderà di «svincolarle», una volta ritenga siano stati raggiunti i passi e le «condizioni» previsti nel contratto (talvolta questa prassi viene richiamata, con formula peraltro ben poco identificativa, con la denominazione di «mutuo condizionato»).    

Secondo una variante (meno utilizzata, pare) di questa fattispecie madre, il «rientro» della somma viene a toccare solo una parte di quanto ricevuto, la restante fermandosi invece nelle mani del cliente. In ogni caso l’accordo tra banca e cliente – e la dinamica delle pattuizioni appena sintetizzate – vengono consacrati in un apposito atto notarile.        

Il problema della sufficienza del relativo atto notarile a fungere da titolo esecutivo

Tra gli altri problemi che una simile prassi viene a proporre, si pone pure quello inerente all'eventuale attitudine dell'atto notarile, che nel concreto la viene a raccogliere, a fungere da titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c.: e questo, naturalmente, nel caso in cui una successiva - e, per sé stessa, del tutto ipotetica - dazione della somma da parte della banca non venga fatta oggetto di apposita integrazione di segno notarile (ma rimanga sprovvista di apposta documentazione o sia fornita solo di «minore» documentazione).

Di tale rilevante problematica operativa si è di recente occupata la Cassazione (Cass. 3 maggio 2024 n. 12007). Con una pronuncia che, per la verità, non manca di manifestare più livelli di interesse (mette conto di segnalare, peraltro, che tale arresto appare importante anche per altri profili, in via segnata là dove esamina il tema della sorte delle clausole d'interessi parametrate all'Euribor per il periodo 2005/2008; in ragione della netta differenza delle problematiche che sottende, quest'ultimo tema non può non rimanere estraneo all'arco delle presenti note: in limine potendosi solo segnalare, qui, che l'esposizione compiuta per questo proposito dalla sentenza appare, in sé, molto complessa e pure complicata nel suo confermare la struttura rimediale della nullità pro tempore, comunque non tale da giustificare, tuttavia, affrettate valutazioni di revirement dell'orientamento della Cassazione, come da più parti si viene invece ad affermare; cfr., ad esempio, Zurlo, dirittodelrisparmio.it, 3 maggio 2024).

La soluzione negativa adottata da Cass. n. 12007/2024

Nel caso di specie, il cliente propone opposizione ex art. 615 c.p.c.

L’opposizione viene respinta dal Tribunale di Busto Arsizio ed è confermata dalla Corte di Appello di Milano.

Segue il ricorso per cassazione. Che (nel secondo motivo):

  • «contesta» tali decisioni «nella parte in cui [ritengono] che il contratto di mutuo costituisca valido titolo per l’esecuzione forzata nonostante che la somma mutuata sia stata trattenuta dalla stessa banca in un deposito infruttifero …»;
  • assume la violazione dell’art. 474 c.p.c. («il contratto di mutuo condizionato non vale come titolo esecutivo»);
  • rileva che, nella realtà delle cose, la «somma invece di essere erogata e lasciata nella disponibilità del mutuatario è stata accreditata su un conto infruttifero acceso presso l’istituto mutuante»: pertanto, solo «apparentemente la somma mutuata viene erogata a favore del mutuatario al momento dell’atto di mutuo», nel concreto essa invece «rimane nella sfera di disponibilità dell’istituto di credito».

Nell’accogliere il motivo, la Corte pone, in cima alle sue considerazioni, il rilievo che - concernendo la «questione di diritto da risolvere … l’efficacia di titolo esecutivo dell’atto pubblico notarile posto [dalla Banca] alla base dell’azione esecutiva» - sarebbe occorso valutare tutte le «pattuizioni contenute nel complessivo accordo stipulato dalle parti mediante l’atto pubblico costituente il preteso titolo esecutivo, comprese quelle che regolavano i rapporti tra le parti successivamente al perfezionamento del mutuo». Cosa che non è stata fatta.

I giudici del merito – puntualizza la sentenza - si sono limitati «a valutare se il contratto di mutuo … potesse ritenersi regolarmente perfezionato in virtù della consegna e della messa a disposizione della somma mutuata in favore della mutuataria». Per contro, una volta giunti alla soluzione positiva di tale verifica - peraltro nei fatti condotta «del tutto correttamente e in conformità ai consolidati principio di diritto affermati in materia da questa Corte» -, essi avrebbero dovuto valutare, inoltre, «se, sulla base del complesso rapporto negoziale posto in essere dalle parti ed emergente dall’atto pubblico …, sussistesse … una obbligazione attuale di pagamento di una somma di danaro a carico della società mutuataria» o se una simile obbligazione «sarebbe sorta solo» eventualmente, «al verificarsi di determinate condizioni …».   

E in effetti – prosegue la Corte – dall’esame complessivo del negozio notarile emerge (sic: «non vi è dubbio») che, «fino al momento dell’effettivo “svincolo” delle somme depositate … non potrebbe dirsi esistente alcuna obbligazione restitutoria in capo alla società mutuataria, in quanto:

  • le somme date a mutuo, dopo il perfezionamento del relativo contratto, erano tornate immediatamente e integralmente nella disponibilità della banca mutuante», a seguito del loro versamento in conto corrente;
  • «la società mutuataria non ne aveva, quindi, più la disponibilità, per averle trasferite alla banca mutuante», che ne poteva disporre in via esclusiva, «in quanto depositaria in virtù di deposito irregolare, quindi comunque proprietaria del denaro».

(Segue). Corretto superamento di opposti, e recenti, precedenti della Corte Suprema

Nello svolgere la motivazione di accoglimento, la sentenza non richiama i precedenti della Cassazione che sono stati spesi sul tema specificamente oggetto del motivo di ricorso, limitandosi a citare in termini generici una serie di decisioni della Corte che si sono occupate della consegna (per concepirne la nozione in modo «aperto»: consegna rarefatta, spiritualizzata, ecc.). Questo silenzio potrebbe far forse passare un po' sottotraccia il portato pratico che, specie sul piano del diritto vivente, dev'essere riconosciuto alla pronuncia (non è un caso che le notizie social non stiano dando alcuna enfasi al capo qui esaminato). Portato pratico che, per contro, si manifesta senz'altro rimarchevole.

In effetti, le due più recenti pronunce della Cassazione, che si sono espresse sul problema specifico, hanno imboccato la strada opposta a quella divisata dalla sentenza n. 12007/2024: per l'appunto, affermando l'attitudine dell'atto notarile a fungere da titolo esecutivo nell'ambito della prassi bancaria in questione, a nulla interessando in contrario la previsione dell'immediato rientro delle somme nelle mani della banca mutuante, né la conseguente attestazione da parte del notaio (cfr. Cass. 22 marzo 2022 n. 9229, Cass, 7 dicembre 2021 n. 38884); e pure in aggiunta dichiarando (la pronuncia n. 9229/2022) di fare sicura leva su più precedenti conformi (in particolare, il riferimento viene rivolto alle decisioni di Cass. 27 ottobre 2017 n. 25632 e di Cass. 3 dicembre 2021 n. 38331) e che anzi l'indirizzo della Cassazione si è, al riguardo, «da tempo consolidato». 

Va pure detto, però, che l'orientamento espresso da queste pronunce del passato prossimo si manifesta, di per sé stesso, particolarmente «debole»; e che, comunque, le critiche dalla sentenza del maggio 2024 rivolte alle decisioni dei giudici dei gradi del merito appaiono, volendo, non diversamente riferibili pure alle due ultime decisioni del Supremo Collegio. In effetti, l'argomento, posto a supporto da queste pronunce, è tutto contenuto nell'affermazione che il patto di «riconsegna alla mutuante dell'intera somma affinché la stessa venisse custodita in deposito cauzionale … determina … una immediata disposizione [del mutuatario} eseguita con la costituzione del deposito cauzionale». Ché questo è un mero simulacro di argomentazione: al di là di ogni altro rilievo (quale quello sulla fittizietà dello «scambio» di cui alle consegne; v. Infra), è di immediata evidenza, infatti, la parzialità della prospettiva che viene così adottata ovvero la miopia della stessa (la riconsegna essendo contestale alla consegna). Per contro, la norma dell'art. 474 prescrive che l'atto notarile attenga a un credito che nell'attuale sia esistente. 

Neppure fedele può stimarsi, poi, il riscontro che queste decisioni, del passato prossimo, danno del passato remoto della giurisprudenza della Cassazione. In effetti, le pronunce n. 25632/2017 e n. 38331/2021, che pure pertengono alla prassi del «mutuo condizionato», non sono, tuttavia, inerenti alla tematica del titolo esecutivo e dalla connessa idoneità dell'atto notarile a realizzarlo:

  • la decisione n. 38331/2021 attiene al rapporto tra consegna e c.d. validità del mutuo;
  • quella n. 25632/2017, poi, si muove nel diverso contesto dell'insinuazione nel passivo fallimentare: tant'è che la motivazione si sforza (senza troppo riuscirci, per la verità) di reperire la prova (per presunzioni) di un'effettiva dazione della somma, di cui al mutuo, per il tempo dello «svincolo».

In definitiva, queste due pronunce ripetono non altro che l'orientamento per cui, nel mutuo, la consegna può essere anche simbolica o spiritualizzata o rarefatta (sugli aspetti trattati in questo capoverso v. pure l'attenta nota di Naticchioni, Mutuo con contestuale costituzione della somma in deposito cauzionale: è titolo esecutivo?, in Riv. dir. risp., 2023, p. 1 ss.).      

(Segue). A completamento: non integrabilità del titolo con documentazione non notarile

In appendice alla motivazione svolta (come sopra riportata), la sentenza n. 12007/2024 aggiunge ancora che il giudice del merito «avrebbe dovuto accertare se lo svincolo in favore della parte mutuataria della somma già a questa concessa in mutuo e poi ritrasferita nella disponibilità della banca mutuante, risultasse documentato con un ulteriore atto pubblico o una ulteriore scrittura privata autenticata»: «per avere valore di titolo esecutivo, l'atto pubblico notarile  … avrebbe dovuto essere integrato da una quietanza in forma pubblica oi almeno in forma di scrittura privata autenticata, ai sensi dell'art. 474 c.p.c.».

Anche questo, per la verità, è un passo importante della sentenza (sebbene in tempi già sviluppato, in sé e per sé, da Cass. 28 dicembre 2021 n. 41791 e pure da Cass. 27 febbraio 2023 n. 5921; ma v. già, pur se in termini sintetici, Cass. 27 agosto 2015 n. 17194). Perché rappresenta, per così dire, il «punto di sutura» del sistema del titolo esecutivo di impianto notarile.  

È chiaro, infatti, che - ove si ammettesse che a integrazione dell'atto notarile del mutuo possa essere bastante una quietanza (ove pure non contestata dal cliente) o altra documentazione non notarile (quali, ad esempio, delle scritturazioni contabili) – si verrebbe, nella sostanza delle cose, ad abrogare in parte qua il precetto di cui all'art. 474 c.p.c. (non sempre, per la verità, le decisioni della Cassazione appaiano limpide per questo proposito: per un esempio, v. Cass. 22 luglio 2019 n. 19654, che tuttavia riguarda il diverso caso di ammissione al passivo fallimentare).

Precetto che invece, per potere essere rispettato, esige quanto meno – non è forse inutile ribadire – che l'atto di quietanza, fatto oggetto del riscontro notarle, attenga in via diretta e immediata alla dazione di «svincolo» reale delle somme (per contro, nessun valore potrebbe mai possedere, ove pur «registrata» nell'atto notarile, una quietanza in ipotesi afferente alla dazione delle somme nel contempo restituite). Pena, altrimenti, tornare in buona sostanza all'orientamento che la sentenza n. 12007/2024 intende correttamente combattere.  

Sulla motivazione addotta da Cass. n. 12007/2024. Ombre e luci

Ferma la correttezza della soluzione raggiunta, più articolato discorso richiede, peraltro, la disamina della motivazione addotta dalla sentenza del maggio 2024. Ché questa presenta, per vero, non solo delle luci, ma pure delle ombre.

L’ombra vela, in particolare, il primo dei segmenti che vengono a strutturare la motivazione: in sintesi, là dove si afferma che, a mezzo della consegna dell’assegno circolare, «la disponibilità della somma è stata effettivamente trasferita alla società mutuataria».

La luce riflette, invece, la seconda parte della motivazione, là dove si rileva che, a mezzo del contestuale deposito in conto corrente, la stessa «somma mutuata era … tornata, dal punto di vista giuridico, nel patrimonio della banca», con conseguente inesistenza nell’attuale di un obbligo di restituzione.  

Nei fatti – è bene aggiungere – la censura dell’antecedente (sulla «consegna») lascia intatta la forza persuasiva del passo susseguente (dell’inesistenza di un obbligo restitutorio). Naturalmente, quest’ultimo è da assumere in thesi (: nella «denegata ipotesi» in cui si ritenga sussistente un fatto di «consegna»), tuttavia lo stesso - specie sotto il profilo del diritto applicato (nelle aule dei tribunali e delle corti) – si mostra particolarmente utile, in quanto atto a tagliare alla radice ogni eventuale discussione su consistenza e valore dei fatti di consegna (che, nel contesto del diritto vivente italiano, sempre si presenta come tema tanto complicato, quanto scivoloso).

Ciò peraltro non vuol dire – è in limine ancora da precisare – che un percorso argomentativo basato sulla negazione del primo segmento (v. appena infra) sia destinato ad approdare a risultati in toto equivalenti a quello che si focalizza in modo esclusivo sulla positiva valorizzazione del secondo segmento. Lo è, tra gli altri casi, per il riscontro dell’idoneità dell’atto notarile a fungere da titolo esecutivo. Non lo è, ad esempio, per il caso in cui si debba stabilire il dies di un contratto di mutuo (posto che questo è un contratto reale).     

L'ombra: il punto della «consegna»

Dunque, la sentenza considera non già fittizia - ovvero mero esercizio di un vuoto rituale -, ma reale, effettiva, la dazione di una somma di denaro che il ricevente contestualmente ritorna al mittente.

La cosa, per la verità, potrebbe forsanche sorprendere un poco: di per sé, almeno, non parrebbe molto sensato che – nel contesto di una operazione economica e, quindi, di per sé stessa votata alla «serietà» degli intenti - si dia con la destra ciò che, nel contempo, si sta riprendendo con la sinistra. E tanto meno la cosa sembrerebbe sensata quando si constati che si tratta, nei fatti, dell'espressione caratteristica di una prassi d'impresa: che, insomma, quello in questione è elemento interno a un prodotto che l'impresa propone al mercato e che, di conseguenza, è (potenzialmente) destinato a riflettersi in un numero indeterminato di fattispecie concrete.

Potrebbe anche sembrare, a pensarci un po' su, che l'unico senso di una simile vicenda possa essere quello – ben poco commendevole – di aggirare la vigente disposizione dell'art. 474 c.p.c.: il che, per vero, potrebbe anche aprire il tema della validità del patto (di dazione con contestale restituzione) che sta a monte. In ogni caso, di fronte a un simile patto sembra proprio onere di chi intende valersene l'allegazione e la dimostrazione della serietà del medesimo. Come pure si manifesta per nulla immediata la (possibile) qualificazione di un simile patto: sia in sé, sia nel confronto della complessiva operazione di «finanziamento» che lo viene a ospitare (non chiaro, rimane, in specie, il punto della «doppia consegna»). Di sicuro, comunque, non potrebbe pensarsi, in proposito, a una specie di «sotto mutuo»: ché la definitoria mancanza di una qualunque distantia temporis (tra il dare e il ricevere) esclude radicalmente una simile eventualità.

Il fatto è, in definitiva, che la sentenza n. 12007/2024 sembra soffrire (seppur in forma benigna o comunque meno grave: v. nel paragrafo precedente) dello stesso difetto che imputa ai giudici del merito: quello di una visione parziale della fattispecie concreta. Il che sembra riflettere, a ben vedere, e riprodurre un'assai diffusa impostazione del tema generale della «consegna» nel mutuo: quanto, invero, del tutto non convincente (esemplare di questa impostazione è, tra le pronunce del Supremo Collegio, Cass., 25 luglio 2022 n. 23149; sulla stessa linea, nella recente dottrina, Capobianco, Il mutuo bancario tra tradizione e innovazione: a proposito della formazione del titolo esecutivo, in Pactum, 2024; per primi ragguagli in generale sulla tematica v. Fiorucci, Ripianamento di debiti pregressi mediante l'erogazione di nuovo credito ipotecario, in IUS – Il Societario, 14 febbraio 2021).

L'indagine in proposito (dell'effettiva esistenza di una «consegna») non può certo esaurirsi nella semplice constatazione di un fatto materiale di dazione e/o nell'elenco dei fatti e modi suscettibili in astratto di integrare gli estremi della «consegna» (simbolica o meno che la stessa sia). Non solo perché un simile elenco è di raggio sostanzialmente indeterminato; prima e più ancora perché a contare è, per il mutuo, l'accadimento giuridico della consegna, per il suo portare al consegnatario l'effettiva disponibilità di cui all'art. 832 c.c. delle somme ricevute: secondo una dinamica che, in realtà, può essere correttamente apprezzata e valutata solo alla luce di una lettura complessiva (: olistica) di tutti gli elementi che la fattispecie concreta viene a proporre.

Come sembra evidente, una fattispecie di accredito di somma in un conto corrente che è acceso presso la banca nel contempo accreditante e creditore del debitore che ha ricevuto l'accredito non è la stessa cosa del caso in cui la somma, di cui alla consegna, viene accreditata sul conto di un terzo che sia creditore del cliente a cui la banca imputa la consegna. Solo in quest'ultimo caso vi è un pagamento effettivo. Nel primo, la vicenda è meramente contabile.       

La luce: l’inesistenza dell’obbligazione restitutoria  

L’altra – e (nella sostanza) decisiva - parte della motivazione, che viene sviluppata dalla sentenza n. 12007/2024, dev’essere apprezzata, a me pare, specialmente per due profili, distinti tra loro, pur se il secondo si pone in termini consecutivi del primo.

Il punto, che subito emerge, sta nel peso che la sentenza dà al fatto della contestuale costituzione delle somme ricevute in deposito irregolare: nel leggervi, appunto, un pieno ritorno delle somme nel patrimonio della banca. Del resto - una volta che si assuma l’effettività del movimento in andata, della dazione delle somme consumatisi nel concreto -, la stessa effettività non potrebbe essere disconosciuta al movimento in ritorno, che viene a riportare le somme al loro punto di partenza. Se questo ben può dare l’idea di una costruzione di taglio barocco, è anche vero però che, a seguirla, ne deriva in ragione filata che il rientro delle somme (a mezzo deposito irregolare) rappresenta l’atto estintivo dell’obbligazione restitutoria che è stata costituita a mezzo della contestuale dazione di somme.

Ne segue altresì – ecco l’altro aspetto di cui si faceva cenno – che la fattispecie in questione si manifesta, nella dinamica delle somme che «vanno e ritornano», sprovvista di un’obbligazione di restituzione. Le espressioni, che la sentenza utilizza al riguardo, sono univoche, si potrebbe dire formali: l’obbligazione per il soddisfacimento della quale la banca agisce in via di esecuzione forzata non è «sorta», non è «sussistente» al tempo e seguito dell’atto notarile (e cioè al tempo del doppio e invertito movimento in dare e in avere). Non varrebbe obiettare, per vero, che - nella costruzione prescelta dalla Corte - il contratto di mutuo si è ormai concluso (la traditio è avvenuta), per affermare che, pur non attuale, l’obbligo di restituzione già grava sul capo del cliente e mutuatario.

In effetti, la questione non ha nulla a che vedere con la prospettiva della realità del contratto di mutuo (tantomeno, poi, con quella di un’eventuale nullità del medesimo; se, e quando, la fattispecie concreta rinvia veramente a un mutuo, quest’ultimo rimane semplicemente «incompleto», prima di un eventuale «svincolo» delle somme). Il punto focale sta, invece, in ciò che, per sua propria natura, un’obbligazione di restituzione può sorgere solo a seguito – e in conseguenza - di una precedente dazione, secondo quanto è consentaneo, del resto, al genere dei contratti di credito (ma non esclusivo a questo, naturalmente; speciale è, semmai, la restituzione di cose solo equivalenti a quelle che vennero consegnate, perché assunte come fungibili, secondo il disposto dalla norma dell’art. 1813 c.c.). Né certo potrebbe essere di ostacolo a una simile ricostruzione la previsione dell’art. 1820 c.c., per cui il mutuo è contratto «risolubile» per il caso di inadempimento dell’obbligazione degli interessi: ché quella degli interessi è obbligazione sinallagmatica della misura temporale del «godimento» del danaro, che viene nel concreto concesso dal mutuante (d’altronde, l’impossibilità di una risoluzione per inadempimento dell’obbligo di restituzione di quanto ricevuto, e quindi della linea capitale, è dimostrata dalla norma dell’art. 1819 c.c.).

(Segue): riferibilità della soluzione adottata da Cass. 12007/2024 ad altre fattispecie tipo bancarie

Un ultimo ordine di osservazioni, che volge direttamente lo sguardo allo specchio del diritto vivente.

La ricostruzione operata dalla sentenza n. 12007/2024 sull'«andare e nel contempo tornare» delle somme dovrebbe valere – in sé e per sé considerata (perlomeno, nella sua dimensione concettuale e astratta) – per tutte le ipotesi in cui questa peculiare dinamica viene nel concreto a verificarsi.

Con la conseguenza che la detta ricostruzione - che porta a zero l'«andare e nel contempo tornare» di somme - potrebbe non essere destinata, sul piano della sua conformazione oggettiva, a rimanere confinata al caso in cui nel futuro dovrebbe (o potrebbe) ipoteticamente avvenire uno «svincolo» delle somme (secondo i termini dell'operatività bancaria nello specifico esaminata dalla Corte). Potrebbe anche venire ad espandersi, insomma.

E questo, si può per vero ipotizzare, in due diverse direzioni (fermo comunque restando, però, il necessario riscontro di tutte le varianti eventualmente presentate dalle singole fattispecie concrete, che vengano in esame): una direttamente attinente alla questione del titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., per tutti i casi in cui l'atto notarile attesti la contestuale presenza di una consegna e di una riconsegna (: tanto che vi sia il richiamo a un'ipotesi di futura dazione, tanto che non vi sia, l'atto notarile limitandosi a «registrare» la detta coppia di fatti). L'altra, invece, come (potenziale) chiave di lettura e ricostruzione pure disciplinare di altre prassi bancarie sovrapponibili – per l'appunto, nella rifrazione dell'«andare e nel contempo tornare» di somme – a quella dello «svincolo» futuro. E basta pensare, per questo ultimo riguardo, alla diffusissima prassi del c.d. consolidamento dell'ipoteca, in cui la detta dinamica è intesa a rappresentare la «trasformazione» di un pregresso chirografo in un mutuo fondiario; o comunque a un mutuo servito da ipoteca contestuale (ovvero, e più in generale, a quello che ora viene chiamato «mutuo solutorio»).

Nota dell'autore

Le opinioni espresse nel contributo non impegnano l'ABF.

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