Traslatio iudicii: il mancato esercizio del meccanismo non può privare il giudice amministrativo del potere/dovere di decidere in autonomia la questione di giurisdizione

24 Maggio 2024

La pronuncia affronta la questione giuridica in ordine alle conseguenze derivanti dalla mancata operatività del meccanismo della traslatio iudicii, a causa della scelta della parte interessata di non riproporre il giudizio, entro il termine perentorio di cui all'art. 11, comma 2, c.p.a., innanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione dalla sentenza adottata dal giudice che ne riconosce il proprio difetto. La principale conseguenza affermata dal Consiglio di Stato è l'autonomia dei due giudizi, con l'inevitabile facoltà del giudice amministrativo di riconoscere, a sua volta, il difetto di giurisdizione.

MASSIMA

La scelta processuale di non riproporre il ricorso dinanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione costituisce una rinuncia alle garanzie previste dal meccanismo della traslatio iudicii.

La scelta processuale di non impugnare la pronuncia del giudice ordinario che dichiara il difetto di giurisdizione, unitamente a quella di non riproporre la domanda innanzi al giudice indicato nella pronuncia come munito di giurisdizione entro il termine perentorio di tre mesi, rappresentano una rinuncia alla facoltà di avvalersi del meccanismo della traslatio iudicii previsto dall'art. 11, comma 2, c.p.a.

L'inevitabile conseguenza della mancata operatività del meccanismo della traslatio iudicii è l'autonomia del processo successivamente instaurato dal ricorrente dinanzi al giudice amministrativo, che impedisce di ritenere che dal primo giudizio, concluso con sentenza passata in giudicato, possano derivare preclusioni processuali riferibili al secondo processo. Di conseguenza deve ammettersi il potere del giudice amministrativo, successivamente adito, di declinare a sua volta, e in piena autonomia, la giurisdizione senza dovere di sollevare il conflitto di giurisdizione.

L'attività di mero facere materiale, concernente l'attività di ampliamento, manutenzione ed eventuale sostituzione dello specifico collettore fognario, secondo le regole tecniche e in conformità a canoni di diligenza e prudenza, non investe la spendita di poteri pubblicistici.

IL CASO

Diritto al risarcimento dei danni derivanti dall'inagibilità di un bene immobile per la mancata manutenzione dei collettori delle acque piovane.

La fattispecie fattuale da cui trae origine la più complessa vicenda processuale oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato si riferisce a una problematica concernente il ripetuto allagamento di beni immobili a causa del cedimento dei collettori delle acque piovane. Il proprietario del bene divenuto inagibile, costretto a trasferire l'esercizio dell'attività imprenditoriale in altro luogo, ha proposto domanda risarcitoria nei confronti del Comune innanzi al Tribunale ordinario.

L'organo giudicante – in presenza di una ctu che riconosceva l'esistenza di danni subiti dal ricorrente a causa della rottura della tubazione – con sentenza, passata in giudicato, ha accolto soltanto parzialmente la domanda risarcitoria.

Nello specifico il Tribunale civile ha:

i) riconosciuto la responsabilità dell'ente pubblico ai sensi dell'articolo 2051 c.c., in qualità di custode del sistema cittadino degli scarichi, in riferimento al “pregiudizio direttamente cagionato dai cedimenti dell'impianto”, limitando il risarcimento soltanto ad alcuni dei danni conseguenza dimostrati dall'attore;

ii) negato “il risarcimento per la dedotta diminuzione di valore dell'immobile” per un'indimostrata irreversibilità della situazione; 

iii) dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria relativa ai danni derivanti dall'inagibilità dell'immobile e dalla conseguente necessità di trasferire altrove l'attività d'impresa, rilevando il difetto di giurisdizione. Secondo il Tribunale ordinario quest'ultima conseguenza dannosa sarebbe derivata dall'omesso esercizio delle funzioni pubblicistiche di governo del territorio comunale, rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'articolo 133, comma 1, lett. f), c.p.a..

Il danneggiato, senza impugnare il capo della sentenza del Tribunale che declinava la giurisdizione sulla domanda sopra menzionata, né riproporre la domanda davanti al giudice amministrativo, si è limitato a rivolgere all'amministrazione comunale nuove istanze per provvedere e, soltanto dinanzi all'inerzia del Comune, ha proposto ricorso al T.a.r. al fine di ottenere la condanna dell'amministrazione a provvedere e il risarcimento dei danni subiti.

La sentenza definitiva adottata dal T.a.r. accoglieva il ricorso del danneggiato, riconoscendo l'omesso esercizio dei poteri concernenti il governo del territorio da parte dell'amministrazione, e condannava perciò il comune a provvedere, oltre che al risarcimento dei danni occorsi al ricorrente e al ricorrente incidentale.

Il Comune soccombente ha, quindi, impugnato la sentenza del giudice di primo grado, deducendo, tra gli altri motivi di ricorso, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, asserendo che l'attività di manutenzione della condotta per le acque piovane non andrebbe riferita ad alcun obbligo di provvedere dell'amministrazione.

Il Consiglio di Stato ha accolto il gravame, dichiarando l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, con annullamento senza rinvio della sentenza di primo grado

LA QUESTIONE

Le conseguenze derivanti dalla mancata riproposizione del ricorso dinanzi al giudice cui spetta la giurisdizione in base alla pronuncia che riconosce il difetto di giurisdizione del giudice inizialmente adito.  

La questione giuridica affrontata dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento concerne le conseguenze derivanti dalla mancata riproposizione del ricorso dinanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione, nei casi in cui il giudice adito riconosca il proprio difetto di giurisdizione a favore di altro giudice, secondo quanto prescritto dall'art. 11, comma 2, c.p.a. in materia di traslatio iudicii. Il Collegio rileva, infatti, come i presupposti legali per l'operatività del meccanismo processuale, che consente la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta, poggino sulla scelta della parte interessata, la quale deve riproporre il ricorso entro il termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia che declina la giurisdizione.

LE SOLUZIONI GIURIDICHE

La mancata operatività del meccanismo della traslatio iudicii in forza di una scelta di parte determina l'autonomia dei giudizi dinanzi ai quali la medesima domanda sia eventualmente riproposta. 

Il Consiglio di Stato, qualificata come attività di facere materiale quella oggetto dell'istanza presentata dal ricorrente all'amministrazione comunale, non ha ravvisato profili di spendita di poteri pubblicistici e - in continuità con l'orientamento giurisprudenziale consolidato in materia di riparto di giurisdizione, attuativo dell'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale (Corte costituzionale, 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n.191) - ha negato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L'accoglimento dell'appello relativo al difetto di giurisdizione, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto al T.a.r., ha richiesto la previa soluzione del rapporto intercorrente con la sentenza, non più soggetta ad impugnazione, del Tribunale ordinario che aveva invece rinvenuto nella domanda proposta un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Al riguardo, il Collegio non ha potuto far altro che constatare che la mancata riproposizione della domanda dinanzi al T.a.r., nel termine previsto dall'art. 11, comma 2, c.p.a., ha impedito l'operatività del meccanismo della traslatio iudicii, con conseguente autonomia dei due giudizi.

Dall'autonomia dei due giudizi discendono una serie di conseguenze che la pronuncia individua:

i) in primo luogo, l'assenza di preclusioni processuali per il giudice adito successivamente, con autonomo ricorso, nel declinare a sua volta la giurisdizione. La mancata operatività della traslatio iudicii osta, infatti, all'applicazione dell'art. 11, comma 3, c.p.a., secondo il quale il giudice successivamente investito della domanda sarebbe tenuto a sollevare il conflitto di giurisdizione qualora non condividesse l'individuazione della giurisdizione effettuata dal primo giudice;

ii) secondariamente, il giudice presso il quale sia stato instaurato il nuovo processo non può far discendere alcuna preclusione processuale dalla condotta serbata da taluna delle parti nell'ambito del precedente giudizio, proprio perché autonomo; iii) infine, non può riconoscersi efficacia di giudicato esterno sulla giurisdizione alla declatatoria di inammissibilità della domanda del Tribunale ordinario, in qualità di sentenza di “mero” rito.

L'ultima questione giuridica sulla quale la sentenza del Consiglio di Stato si pronuncia – in aperto contrasto con le conclusioni del giudice ordinario – riguarda la tutela risarcitoria. La pronuncia non ammette il riconoscimento della giurisdizione per alcune voci di danno-conseguenza e la negazione per altre, in quanto tutte riconducibili al medesimo danno evento. Il Collegio ribadisce come il discrimine tra le giurisdizioni, amministrativa da una parte e ordinaria dall'altra, sia non già il tipo di danno-conseguenza, bensì la ricorrenza o meno di poteri autoritativi.

OSSERVAZIONI

La sentenza in commento chiarisce i presupposti di operatività del meccanismo processuale della traslatio iudicii, introdotto dall'art. 59 della l. n. 69/2009, per rispondere alla necessità di garantire il principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, auspicato dalla Corte costituzionale, secondo la quale la pluralità di giudici non può risolversi in una “minore effettività o, addirittura, in una vanificazione della tutela giurisdizionale” (Corte cost. 5 marzo 2007, n. 77), che si avrebbe laddove non si consentisse la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti a un giudice privo di giurisdizione. Il meccanismo della traslatio, per produrre l'effetto conservativo, presuppone, oltre alla pronuncia che declina la giurisdizione con l'indicazione del giudice che ne è fornito, anche la tempestiva riassunzione del giudizio a opera della parte interessata, in conformità con il principio dispositivo.

Come correttamente evidenzia la sentenza in commento, in assenza di riassunzione di parte, tra i due giudizi eventualmente instaurati non può esservi alcun rapporto di prosecuzione/conservazione degli effetti bensì piena autonomia, con l'impossibilità per il giudice successivamente investito della domanda di essere vincolato all'individuazione della giurisdizione operata dal primo giudice. La scelta di non riassumente il giudizio davanti al giudice indicato nel termine perentorio previsto dall'art. 11, comma 2, c.p.a. si risolve, pertanto, in un pregiudizio per la stessa parte all'esame nel merito della propria domanda.

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