Inappellabili le sentenze di condanna che applicano la pena dell’ammenda in sostituzione della pena detentiva
27 Maggio 2024
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sull'appellabilità della sentenza di condanna ad una sanzione pecuniaria sostitutiva di una pena detentiva. Nella specie, il Tribunale di Cassino ha condannato l'imputata, per il reato di cui agli artt. 44 e 95 d.P.R. n. 380/2001, alla pena di € 15.000, 00 di ammenda in sostituzione della pena detentiva. L'appello proposto dall'imputata avverso la pronuncia resa dal Tribunale è stato convertito in ricorso per cassazione. Nel censurare la riqualificazione dell'impugnazione, il ricorrente ha lamentato l'errata interpretazione dell'art. 593, comma 3, c.p.p. il cui relativo ambito di inappellabilità sarebbe stato circoscritto alle sole sentenze di condanna a pena originariamente prevista come ammenda e non, come nel caso di specie, sostitutiva di una pena detentiva. L'inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell'ammenda: una lettura costituzionalmente orientata Prima di illustrare le modifiche intervenute con l'adozione del d.lgs. n. 150/2022, di cui meglio e più dettagliatamente si dirà nel prosieguo (v. infra), occorre richiamare, in sintesi, l'excursus giurisprudenziale che ha delimitato l'area di operatività dell'inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell'ammenda. Secondo quanto disposto dall'art. 593, comma 3, c.p.p., l'inappellabilità è riferita alle contravvenzioni astrattamente punibili con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa e non anche alle contravvenzioni punibili con pena congiunta, e ciò anche se sia stata in concreto inflitta la sola pena dell'ammenda per l'applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva. Nel corso degli anni, si è consolidato un orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto ammissibile l'appello avverso la sentenza di condanna per una contravvenzione in relazione alla quale sia stata applicata la sola pena dell'ammenda come sanzione sostitutiva dall'arresto, atteso che il limite previsto dall'art. 593, comma 3, c.p.p. si riferisce alle sole sentenze di condanna a pena originariamente prevista come ammenda (Cass., sez. IV, 8.11.2012, n. 45751; Cass., sez. I, 05.03.2009, n. 10735). Ed invero, la Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza di condanna a sanzione pecuniaria sostitutiva di una pena detentiva deve ritenersi appellabile, sussistendo la possibilità di revoca del beneficio, ai sensi degli artt. 72 e 59 della l. n. 689/1981 (nel testo in vigore prima della Riforma Cartabia) e non potendo ritenersi ammissibile il sacrificio del secondo grado di giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 3.02.1995, n. 7902). La lettura “costituzionalmente orientata” dell'art. 593, comma 3, c.p.p. In relazione alla prospettata incostituzionalità dell'art. 593, comma 3, c.p.p., la Suprema Corte ha in più occasioni dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale laddove non consente l'appello avverso le sentenze di condanna per una contravvenzione punita, in concreto, con la sola pena pecuniaria (ex plurimis, Cass., sez. III, 24.01.2013, n.14087). Ed invero, il Supremo Collegio ha osservato, in relazione alla presunta violazione dell'art. 3 Cost., che il limite oggettivo posto dall'art. 593, c. 3, c.p.p. non viola il canone di parità tra le parti stante la sua operatività, tanto per l'imputato quanto per il magistrato del pubblico ministero (v. Cass., sez. III, 24.2.1993). Non è stata, altresì, ritenuta pertinente la denunciata violazione dell'art. 25 Cost., in quanto il principio di legalità vieta la creazione giurisprudenziale del reato o della pena, ma non impedisce la scelta della pena fra quelle previste alternativamente dalla legge, né impedisce che attraverso questa scelta si determini concretamente l'appellabilità o meno della sentenza. Allo stesso modo, l'art. 593, comma 3, c.p.p. non contrasta con l'art. 24 Cost., in quanto la garanzia del doppio grado di giurisdizione nel merito non è stata costituzionalizzata (C. Cost., 4.7.2002, n. 316; Cass., sez. III, 24.2.1993). Di recente, è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 593, comma 3, c.p.p. per violazione degli artt. 3, 24, 111 Cost. e 6 Cedu, nella parte in cui esclude l'appellabilità della sentenza di condanna alla sola pena dell'ammenda, mentre invece sarebbe possibile appellare la sentenza di proscioglimento emessa ai sensi dell'art. 131-bis c.p.: sul punto, la S.C. ha evidenziato che l'imputato non è legittimato a proporre appello avverso la sentenza di proscioglimento ex art. 131-bis c.p. «per un reato per il quale potrebbe essere inflitta, in concreto, la sola pena dell'ammenda» e, pertanto, non è configurabile la disparità di trattamento e nemmeno la violazione dei parametri costituzionali innanzi menzionati (v. Cass., Sez. III, 16.04.2021, n. 18154). Le modifiche apportate dalla c.d. Riforma Cartabia al regime delle impugnazioni ed alle pene sostitutive Con la Riforma Cartabia è stato profondamente modificato sia il regime delle impugnazioni – attraverso una diffusa riduzione dell'appellabilità oggettiva e soggettiva delle sentenze – e sia quello sanzionatorio mediante l'introduzione delle «pene sostitutive delle pene detentive brevi» di cui all'art. 20-bis c.p. Per quanto concerne più specificamente i casi di appello, l'art. 593, comma 3, c.p.p. ha statuito che sono «in ogni caso» inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la pena dell'ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità. I principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità prima delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150/2022 (v. supra par. 2) sono stati ribaditi, di recente, dalla giurisprudenza di legittimità: la Suprema Corte ha ritenuto che l'art. 593, comma 3, c.p.p. è stato modificato in relazione all'inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità (v. Cass., sez. V, 30.1.2024, n. 11375). Secondo la summenzionata pronuncia, anche a seguito delle modifiche apportate all'art. 593, comma 3, c.p.p., permane il regime di appellabilità delle sentenze che applicano una pena detentiva anche se sostituita in pena pecuniaria. Ciò in ossequio a quanto previsto dall'art. 71 l. n. 689/1981, per cui il mancato pagamento della pena pecuniaria sostitutiva comporta la revoca e la conversione nella semilibertà o nella detenzione domiciliare. La soluzione adottata dalla Suprema Corte Diversamente da quanto sostenuto dalla richiamata pronuncia (v. Cass., sez. V, 30.1.2024, n. 11375), la sentenza in commento ha esteso l'inappellabilità delle sentenze di condanna che applicano la pena dell'ammenda, anche in sostituzione – in tutto o in parte – della pena dell'arresto. In altre parole, non è più consentito proporre l'appello (ma soltanto il ricorso per cassazione) avverso le sentenze di condanna alla sola pena dell'ammenda, anche se applicata in conversione di una pena detentiva breve. La Suprema Corte ha così superato la tesi della “revocabilità” della sanzione sostitutiva – in precedenza utilizzata per avvalorare l'appellabilità delle sentenze che applicano una pena pecuniaria sostitutiva di una pena detentiva (v. supra par. 4) –, evidenziando che il lavoro sostitutivo (al pari della pena pecuniaria) può essere revocato (ai sensi degli artt. 66 e 71 l. n. 689/1981) in caso di inosservanza delle prescrizioni impartite. A giudizio del Supremo Collegio tale soluzione non presenta tensioni sotto il profilo della tenuta costituzionale – per non essere il doppio grado di giurisdizione assistito da copertura costituzionale – ed è, altresì, coerente con la scelta del legislatore di semplificare il sistema delle impugnazioni per garantire maggiore celerità nella definizione dei processi. *Fonte: DirittoeGiustizia |