Riscritto dalla Corte costituzionale il trattamento sanzionatorio del delitto di rapina, propria e impropria

30 Maggio 2024

La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 628, comma 2, c.p. e, in via consequenziale, dell'art. 628, comma 1, nella parte in cui non prevedono che la pena, da essi rispettivamente comminata, è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal tribunale di cuneo

Il Tribunale di Cuneo sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 628, comma 2, c.p. [ che prevede il reato di rapina impropria come il fatto di chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta (“dolo specifico di possesso”) o per procurare a sé o ad altri l'impunità (“dolo specifico di impunità”)] nella parte in cui «non prevede una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».

A fondamento della denunciata illegittimità costituzionale, il Giudice rimettente – dopo avere precisato di dover giudicare sull'imputazione di rapina impropria, aggravata dalla commissione ad opera di più persone riunite e che il delitto era ascritto agli imputati perché, «dopo aver prelevato dagli scaffali di un supermercato alcuni generi d'uso (tre baguettes, una scatoletta di tonno e uno spazzolino da denti)», si assicuravano il possesso degli stessi e l'impunità con minacce e uno spintone in danno dell'addetto alla sicurezza e del responsabile dell'esercizio commerciale, intervenuti per recuperare la merce, venendo infine rintracciati nei pressi dell'esercizio stesso mentre consumavano il pane – deduceva:

a) quanto alla rilevanza della questione, che, per la rapina impropria, il minimo edittale di pena detentiva applicabile [cinque anni; sei con la menzionata circostanza aggravante] era sproporzionato rispetto a un fatto di scarsa offensività, sia quanto al valore della merce sottratta [€ 6,19], sia con riguardo alle modalità esecutive [due frasi minacciose e una spinta] e che, peraltro, detta sproporzione non avrebbe potuto trovare rimedio nell'applicazione delle attenuanti generiche e dell'attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, trattandosi di «circostanze la cui finalità non è correggere l'eccessività della misura astratta di pena»;

b) quanto alla non manifesta infondatezza della questione, che, in conseguenza della censurata carenza di proporzionalità, il trattamento sanzionatorio risultava irragionevole [con violazione dell'art. 3 Cost.] e non teneva conto della concreta gravità del fatto [con violazione del principio di personalità della responsabilità penale e della funzione rieducativa della pena, di cui all'art. 27, commi 1 e 3, Cost.].

La declaratoria di illegittimità costituzionale

Dato atto di come il Giudice a quo – individuando, nella previsione di una “circostanza attenuante per lieve entità del fatto”, il rimedio alla prospettata carenza di proporzionalità del trattamento sanzionatorio – sollecitava una pronuncia additiva volta a supplire alla censurata omissione normativa, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 628, comma 2, c.p. e, in via consequenziale, dell'art. 628, comma 1, nella parte in cui non prevedono che la pena, da essi rispettivamente comminata, è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.

Le ragioni della illegittimità costituzionale dell'art. 628, comma 2, c.p. [rapina impropria]

1. Dirimente, per comprendere i motivi della affermata incostituzionalità, è l'assunto per cui il sindacato di legittimità costituzionale vertente sulla proporzionalità della pena involge:

a) il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. [postulando la comparazione tra il trattamento sanzionatorio censurato come non proporzionale e quello previsto da eventuali tertia comparationis];

b) il principio, di cui all'art. 27, comma 3, Cost., della finalità rieducativa della pena [rilevando, ai fini di detto sindacato, anche quelle ipotesi in cui il trattamento sanzionatorio comminato dal legislatore appare manifestamente sproporzionato non tanto in rapporto a quello previsto per altre figure di reato, quanto piuttosto in rapporto alla gravità delle condotte abbracciate dalla fattispecie astratta];

c) il principio, di cui all'art. 27, comma 1, Cost., della necessaria individualizzazione della pena [il quale – «nel passaggio dalla comminatoria astratta operata dal legislatore alla sua concreta inflizione da parte del giudice» – impone che la pena si manifesti come risposta sanzionatoria proporzionata anche alla concreta gravità, oggettiva e soggettiva, del singolo fatto di reato].

2. Muovendo quindi dal contesto normativo così delineato, il Giudice Costituzionale ha ritenuto fondata, “in riferimento a tutti i parametri evocati”, la questione di legittimità costituzionale.

2.1. Ad iniziare dalla c.d. “proporzionalità relazionale”, ove, secondo la Corte, è il delitto di estorsione a rilevare nel giudizio di comparazione.

Ed infatti, secondo la Corte, preso atto della descrizione normativa di ciascun fatto di reato [rapina ed estorsione] e dell'analogo [anche in punto di progressivo inasprimento] trattamento sanzionatorio, se anche la rapina impropria [come l'estorsione] può abbracciare condotte di modesto disvalore, sia per quanto attiene la entità del danno patrimoniale cagionato alla vittima [“che può anche ammontare (…) a pochi euro”], sia per quanto attiene le modalità della condotta [“che può esaurirsi in forme minimali di violenza (…)”, ovvero, quanto a minaccia, nella “mera prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di altro mezzo di coazione”], allora, come è stato detto con riguardo al delitto di estorsione, il rimedio al [censurato] deficit di proporzionalità non può che essere individuato nella “addizione della attenuante della lieve entità del fatto” e, più in particolare, nella previsione della mitigazione sanzionatoria [in misura non eccedente un terzo, come vuole la regola generale dell'art. 65, comma 1, numero 3), c.p.]  allorquando «o per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».

2.2. Parimenti, secondo la Corte, la addizione dell'attenuante trova ragione anche nella corretta declinazione dei principi di individualizzazione e di finalità rieducativa della pena, giacché, essendo la rapina impropria [come già chiarito da C. cost. 141/2023] fattispecie di reato caratterizzata da intrinseca variabilità [“atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi «violenza o minaccia», «cosa sottratta», «possesso», «impunità»”] ed assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, la mancata previsione della possibilità per il giudice di qualificare, nei termini anzidetti, il fatto di reato come di lieve entità si risolve nella violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell'art. 27 Cost.

Del resto, la giurisprudenza costituzionale ha ormai da tempo precisato che un trattamento manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, pregiudica il principio di individualizzazione della pena [C. cost. 244/2022] e che il precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost. [valevole «tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione, oltre che per quelli dell'esecuzione e della sorveglianza» (C. cost. 313/1990)], sancendo il principio della finalità rieducativa della pena, è divenuto «patrimonio della cultura giuridica europea, particolarmente per il suo collegamento con il “principio di proporzione” fra qualità e quantità della sanzione, da una parte, ed offesa, dall'altra» [C. cost. 313/1990].

La declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 628, comma 1, c.p. [rapina propria]

Come detto, alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 628, comma 2, c.p. ha fatto seguito, in ragione di quanto previsto dall'art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87, la affermazione della illegittimità costituzionale dell'art. 628, comma 1, c.p.

Come rimarcato dal giudice costituzionale [anche richiamando proprie precedenti pronunce (C. cost. 190/2020, 111/2021, 260/2022)] c'è, invero, omogeneità strutturale delle varie forme di rapina [rapina propria e rapina impropria e, in essa, rapina impropria a dolo di possesso, o a dolo di impunità], che pur sempre si manifestano in aggressioni contestuali alla persona e al patrimonio.

Ne deriva che, poiché la rapina propria condivide con la rapina impropria [e, transitivamente, con l'estorsione] sia l'elevato minimo edittale di pena detentiva, sia l'idoneità a manifestare una diversificata offensività [in rapporto agli elementi costitutivi della violenza o minaccia e del profitto], anche per essa – come per la rapina impropria – si evidenzia la necessità costituzionale di una “valvola di sicurezza”, a garanzia della ragionevolezza, proporzionalità e capacità rieducativa della sanzione.

Osservazioni conclusive

1. Difficile contraddire le argomentazioni svolte nella sentenza qui in commento e porre obiezioni alle ragioni addotte dal giudice costituzionale a fondamento del proprio intervento additivo.

Del resto, accertata la sproporzione del trattamento sanzionatorio normativamente previsto, nel suo minimo edittale, per la rapina impropria, il rimedio non può che essere quello della addizione, al precetto normativo, della circostanza attenuante del fatto di lieve entità.

Quanto poi all'ulteriore censura di incostituzionalità, quella afferente la previsione di cui all'art. 628, comma 1, c.p., le argomentazioni svolte del giudice costituzionale sono certamente condivisibili se si conviene sull'assunto preliminare della perfetta simmetria tra la fattispecie della rapina propria e quella della rapina impropria e si ritiene, quindi, che le due figure di reato siano “composte” dagli stessi elementi strutturali, violenza o minaccia e sottrazione della cosa mobile altrui, sebbene prescritti a “ parti invertite”.

Vero è però che detta omogeneità strutturale – cui contiene riferimento anche la sentenza qui in commento e che è sovente invocata per giustificare la parità del trattamento sanzionatorio tra le due fattispecie di rapina – non è affermazione così pacifica: come noto, infatti, ai fini della consumazione della rapina propria sono necessari tanto la sottrazione che l'impossessamento , mentre la rapina impropria perviene a consumazione già con la  mera sottrazione della cosa altrui, non essendo necessario il consolidamento di un nuovo possesso in capo al soggetto agente [il quale, anzi, impiega la minaccia o la violenza proprio per neutralizzare l'azione di disturbo della vittima o di terzi].

Orbene, se è vero che, in un precedente intervento [C. cost. 190/2020], il Giudice Costituzionale ha ritenuto che la descritta asimmetria strutturale non ha rilievo tale da rendere la scelta legislativa della equiparazione sanzionatoria manifestamente irragionevole, non può sottacersi che, nella stessa sentenza la Corte ha rimarcato che la «pressione punitiva attualmente esercitata riguardo ai delitti contro il patrimonio è ormai diventata estremamente rilevante» e ha sottolineato che essa «richiede (…) attenta considerazione da parte del legislatore , alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato».

Il richiamo alla “attenta considerazione” del legislatore dovrebbe tradursi in un autorevole suggerimento: rapina propria e rapina impropria, molto diverse tra loro nella struttura e nella realtà dei fatti, non possono essere punite con la medesima pena.

2. Se, oggi, per effetto della pronuncia qui in commento, rapina propria ed impropria, se di lieve entità, risultano, già sul piano astratto, assoggettate ad un trattamento sanzionatorio differenziato rispetto a quello altrimenti valevole, è da ritenere che la addizione giurisprudenziale esplichi i propri effetti anzitutto con riguardo a procedimenti penali ancora oggi pendenti, ove, nel caso di positivo accertamento della suddetta lieve entità, la cornice sanzionatoria di riferimento sarà quella descritta dal giudice costituzionale.

All'opposto invece, ove, formatosi il giudicato, il rapporto esecutivo [«che nasce dal giudicato e si esaurisce soltanto con la consumazione o l'estinzione della pena» (Cass. pen., sez. I, 15 febbraio 2015, n. 5973)] sia ancora pendente, siccome la declaratoria d'incostituzionalità [integrale o parziale] ha efficacia invalidante e non abrogativa e si proietta sugli effetti ancora in corso dei rapporti giuridici pregressi [e non definitivamente consolidatisi] già disciplinati dalla norma dichiarata incostituzionale [e, quindi, espunta (ex tunc) dall'ordinamento], competente a verificare se sussistano i presupposti per il riconoscimento della descritta attenuante e, conseguentemente, a rideterminare la pena da scontare, è il giudice dell'esecuzione  [in tal senso, Cass. pen., sez. I, 15 febbraio 2015, n. 5973, secondo la quale, il giudice dell'esecuzione «potrà pervenire al riconoscimento della sussistenza della circostanza attenuante sulla base delle risultanze acquisite nel giudizio di cognizione e delle valutazioni effettuate dal giudice sulla base delle stesse» (acquisibili ai sensi dell'art. 666, comma 5, c.p.p.)].

Residua l'ipotesi della impugnazione dichiarata inammissibile [non, però, per decorso dei termini di impugnazione, giacché, in suddetta eventualità, evidentemente, rileverebbe quanto testé rappresentato], rispetto alla quale il giudice di legittimità, pronunciandosi con riguardo alla inammissibilità del ricorso per cassazione [ma, si ritiene, analoghe considerazioni valgono con riguardo al giudizio d'appello], ha avuto modo di precisare che «nel giudizio di cassazione, è rilevabile d'ufficio, anche in caso di inammissibilità del ricorso, la nullità della sentenza impugnata nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, conseguente alla sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale di norma riguardante la determinazione della pena» [Cass. pen., sez. II, 1 febbraio 2024, n. 4365, la quale, in applicazione di detto principio e con riguardo al reato di cui all'art. 629 c.p. (per come dichiarato costituzionalmente illegittimo da C. cost. 120/2023), ha annullato con rinvio la decisione impugnata e ha rimesso al giudice di merito la quantificazione della pena].

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