La Corte EDU e il nuovo affaire Contrada c. Italia: la legittimità delle perquisizioni e delle intercettazioni nei confronti dei soggetti non sottoposti a indagini

31 Maggio 2024

Con la sentenza in commento (Corte EDU 23 maggio 2024, n. 2507/19) la Corte è intervenuta su due distinti profili della tutela al rispetto della vita privata, della vita familiare, del domicilio e della corrispondenza dell'individuo, garantito dall'art. 8 CEDU.

La Corte EDU, innanzitutto, è intervenuta sulla legittimità delle perquisizioni eseguite nei confronti di Bruno Contrada nell'ambito di un procedimento per omicidio nel quale il ricorrente non era indagato, evidenziando che la mancata attivazione del rimedio processuale previsto dall'art. 257 c.p.p. non aveva consentito la revoca del mandato di perquisizione disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e la restituzione degli oggetti sequestrati, impedendone l'utilizzazione nel procedimento penale nel quale il ricorrente non era sottoposto a indagini.

La Corte EDU, per altro verso, è intervenuta sulla liceità delle attività di intercettazione delle conversazioni telefoniche eseguite nei confronti di Bruno Contrada, disposte nell'ambito dello stesso procedimento, evidenziando che nei confronti del ricorrente si era concretizzata la violazione dell'art. 8 CEDU, che tutela il rispetto della vita privata, della vita familiare, del domicilio e della corrispondenza dell'individuo, in conseguenza dell'attivazione delle captazioni telefoniche che lo riguardavano, che erano state eseguite nonostante il ricorrente non era indagato nel procedimento di omicidio presupposto, delle quali era venuto a conoscenza dopo la perquisizione di cui si è detto.

I soggetti che non sono sottoposti a indagine, infatti, sono tutelati esclusivamente dal rimedio processuale previsto dall'art. 269, comma 2, c.p.p., che consente agli interessati di chiedere al giudice la distruzione della documentazione non necessaria per il procedimento, che la Corte EDU non ritiene idonea ad assicurare una tutela efficiente nei confronti delle persone non sottoposte a indagini oggetto d'intercettazione, non garantendo che tali soggetti siano sempre informate delle captazioni che le riguardano.

La prima decisione della Corte EDU intervenuta nell'affaire Contrada contro Italia il 14 aprile 2015

Il ricorrente, Bruno Contrada, è un cittadino italiano, noto alle cronache nostrane, nato nel 1931 e residente a Palermo; il ricorrente è stato un funzionario di polizia, arrivando a raggiungere l'alto grado di Vicedirettore del Servizio Segreto Civile (S.I.S.D.E.).

Occorre premettere che, nel decennio scorso, Bruno Contrada è stato protagonista di una vicenda processuale, come detto, nota alle cronache italiane, conclusasi con la decisione emessa dalla Corte EDU il 14 aprile 2015, conseguente all'instaurazione di un ricorso proposto dallo stesso Contrada contro lo Stato italiano, con il quale si adiva la Corte europea ai sensi dell'art. 34 CEDU. L'originario ricorso alla Corte strasburghese, espressamente richiamato dalla decisione che si commenta, era stato proposto contro la sentenza adottata dalla Corte di appello di Palermo il 25 febbraio 2006, divenuta irrevocabile il 10 maggio 2007, con la quale l'istante era stato condannato alla pena di dieci anni di reclusione per il reato di cui agli artt. 110,416 e 416-bis c.p., riguardante il concorso esterno nell'associazione di tipo mafioso denominata Cosa Nostra, commesso nell'arco temporale compreso tra il 1979 e il 1988.

In tale ambito processuale, il ricorrente sosteneva che la sentenza emessa nei suoi confronti dalla Corte di appello di Palermo, sopra citata, era stata pronunciata in violazione dell'art. 7 CEDU, atteso che l'ipotesi di concorso esterno in associazione di tipo mafioso era il risultato di un'evoluzione giurisprudenziale maturata in epoca successiva ai fatti che gli venivano contestati, definitivamente consolidatasi a partire dal 1994 (Cass. pen., Sez. un., 5 ottobre 1994, Demitry, n. 16, in Cass. C.E.D., n. 199386 - 01).

La Corte EDU, quindi, decideva il ricorso con la sentenza del 14 aprile 2015, affermando, nel paragrafo 75 di tale decisione, che la fattispecie del concorso esterno in associazione di tipo mafioso era «il risultato di una evoluzione giurisprudenziale iniziata verso la fine degli anni ottanta e consolidatasi nel 1994 con la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 5/10/94, ‘Demitry'» e che all'epoca in cui erano stati commessi «i fatti ascritti al ricorrente […], il reato in questione non era sufficientemente chiaro e prevedibile per quest'ultimo».

Sulla scorta di tali affermazioni, la Corte EDU condannava lo Stato italiano per violazione dell'art. 7 CEDU.

A seguito di questa decisione, Bruno Contrada proponeva un incidente di esecuzione, respinto dalla Corte di appello di Palermo con ordinanza dell'11 ottobre 2016, contro la cui veniva proposta impugnazione, all'esito della quale la Suprema Corte inquadrava gli strumenti processuali con cui dare esecuzione all'obbligo di conformazione previsto dall'art. 46 CEDU alla giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. un., 29/05/2014, Gatto, n. 42858, in Cass. C.E.D., n. 260700 - 01), collegandoli agli ampi poteri di intervento sul giudicato penale, riconosciuti al giudice dell'esecuzione dalle disposizioni degli artt. 666 e 670 c.p.p.

Si evidenziava, in proposito, che l'ampiezza degli ambiti di intervento della giurisdizione esecutiva trovava il proprio fondamento nei poteri di cui agli artt. 666 e 670 c.p.p., che erano stati riconosciuti dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 210 del 2013), secondo cui il giudice dell'esecuzione «non si limita a conoscere delle questioni sulla validità e sull'efficacia del titolo esecutivo ma è anche abilitato, in vari casi, ad incidere su di esso» (Cass. pen., Sez. I, del 06/07/2017, Contrada, n. 43112, in Cass. C.E.D., n. 273905 - 01).

Questa opzione ermeneutica era già stata recepita in un precedente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. un., 24 ottobre 2013, Ercolano, n. 34472, in Cass. C.E.D., n. 252933 - 01), in cui si era affermato che al giudice dell'esecuzione deve essere riconosciuto un ampio potere di intervento sul giudicato, ai sensi degli artt. 666 e 670 c.p.p.

Sulla scorta di tale percorso argomentativo, la Corte di cassazione annullava senza rinvio l'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Palermo l'11 ottobre 2016 e dichiarava ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza emessa nei confronti di Bruno Contrada dalla Corte di appello di Palermo il 25 febbraio 2006, divenuta irrevocabile il 10 maggio 2007.

La decisione della Corte EDU del 23 maggio 2024 e il collegamento con la pronuncia del 14 aprile 2015

Il procedimento in esame si innesta sulla vicenda processuale descritta nel punto precedente, atteso che si inseriva in un contesto investigativo analogo a quello riconducibile all'affaire Contrada, nel quale, nel 2017, maturava la decisione di sottoporre il ricorrente a intercettazione urgente, captando le conversazioni effettuate dall'impugnante sulle cinque linee telefoniche di cui aveva la disponibilità.

Queste attività di captazione venivano effettuate in relazione alle indagini sull'omicidio di A.A., eseguito il 5 agosto 1989, che era un caso irrisolto particolarmente noto alla pubblica opinione siciliana. In tale procedimento, risultavano indagati due presunti appartenenti a Cosa Nostra – nel cui ambito si riteneva assunta la decisione di eseguire l'assassinio dell'agente di polizia – e un collega della vittima.

Occorre precisare ulteriormente che rispetto a tali attività investigative Bruno Contrada non risultava indagato, pur essendo le indagini collegate al contesto criminale delineato nell'affaire Contrada contro Italia, riguardante l'area di contiguità esistente tra la criminalità mafiosa dell'area palermitana e gli esponenti della Polizia di Stato operanti nel capoluogo siciliano, nel periodo compreso tra la seconda metà degli anni Settanta e l'inizio degli anni Novanta.

La decisione di sottoporre a intercettazione urgente Bruno Contrada derivava dal fatto che, secondo la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, le prime indagini avevano consentito di accertare che l'agente di polizia assassinato faceva parte di un'unità dei servizi segreti civili operante sotto copertura, che aveva come obiettivo quello della ricerca e dell'arresto dei latitanti mafiosi. Tuttavia, i componenti di questa unità, nel cui ambito il ricorrente rivestiva un ruolo professionale apicale, non perseguivano lealmente gli obiettivi della struttura alla quale appartenevano, essendo contigui alla criminalità organizzata mafiosa che dominava il territorio palermitano all'epoca dell'omicidio.

I componenti della struttura in questione, tra l'altro, avevano tentato di ostacolare le indagini sull'omicidio di A.A. e uno di loro, dopo essere stato interrogato, aveva immediatamente contattato Bruno Contrada, che, a sua volta, sottoposto a esame, non aveva fornito piena collaborazione agli investigatori palermitani. Pertanto, per chiarire gli scenari criminali collegati all'operatività dell'unità dei servizi segreti di cui facevano parte la vittima e il ricorrente, si riteneva indispensabile monitorare, mediante l'attivazione d'urgenza delle intercettazioni controverse, Contrada e gli altri membri della struttura di polizia in questione, allo scopo di registrare i loro commenti sulle indagini in corso.

Le intercettazioni telefoniche svolte nei confronti di Bruno Contrada, inizialmente, venivano disposte per un periodo di quaranta giorni, più volte prorogato, concludendosi il 28 luglio 2018. Dopo la conclusione di tale servizio, con provvedimento del 3 agosto 2018, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo autorizzava l'Ufficio requirente procedente a non depositare le trascrizioni delle conversazioni intercettate fino alla conclusione delle indagini preliminari.

Deve, ancora, precisarsi che, nel contesto delle attività investigative svolte nei confronti di Contrada, il 29 giugno 2018, veniva disposta la perquisizione di tre unità immobiliari nella disponibilità del ricorrente. La perquisizione veniva giustificata dal fatto che, nel corso delle intercettazioni, era emerso che il ricorrente conservava documenti ritenuti utili alle indagini all'interno di immobili il cui impiego, per fini archivistici, era sconosciuto agli investigatori.

Deve, infine, precisarsi che Bruno Contrada, secondo quanto sostenuto nel suo ricorso alla Corte EDU, leggendo il mandato di perquisizione che lo riguardava, veniva, in modo sostanzialmente casuale, a conoscenza di essere sottoposto a intercettazione telefonica sulla base di provvedimenti giudiziari che non gli erano mai stati notificati formalmente.

La questione della legittimità della perquisizione eseguita nei confronti di Bruno Contrada

Nell'esaminare il ricorso di Bruno Contrada la Corte EDU ha ritenuto di dovere distinguere tra la perquisizione eseguita negli immobili dove si riteneva fossero conservati documenti utili alle indagini sull'omicidio di A.A. dalle intercettazioni telefoniche attivate nei confronti del ricorrente per il medesimo episodio criminale.

Quanto al primo dei due profili censori, la Corte EDU, richiamando la giurisprudenza di legittimità consolidata, ha osservato che nel sistema processuale italiano è riconosciuta la possibilità di impugnare un mandato di perquisizione, attivando lo strumento previsto dall'art. 257 c.p.p., a condizione che i beni siano stati effettivamente sequestrati (Cass. pen., Sez. II, 28 gennaio 2016, Bisogno, n. 5494; Cass. pen., Sez. I, 24 giugno 2015, Laezza, n. 30130; Cass. pen., Sez. II, 19 ottobre 2012, Azzariti Fumaroli, n. 40657, in Cass. C.E.D., n. 253679 - 01).

Ne discendeva che il ricorrente avrebbe dovuto censurare il provvedimento di perquisizione del 29 giugno 2018, attivando il rimedio processuale di cui all'art. 257 c.p.p., che, laddove ritualmente esperito, al contrario di quanto riscontrabile nel caso di specie, avrebbe consentito all'autorità giudiziaria nazionale di pronunciarsi sulla legittimità del mezzo di ricerca della prova posto in essere su impulso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, in linea con quanto stabilito dalla Corte EDU a tutela della sfera privata dell'individuo (Corte EDU, Thevenon c. Francia, 13 settembre 2022, n. 46061/21, § 57; Corte EDU, Brazzi c. Italia, 27 settembre 2018, n. 57278/11, § 46-51; Corte EDU, Leotsakos c. Grecia, 4 ottobre 2018, n. 30958/13, § 34-36; Corte EDU, Heino c. Finlandia, 15 febbraio 2011, n. 56720/09, § 36).

Secondo la Corte EDU, la corretta attivazione del rimedio processuale previsto dall'art. 257 c.p.p., non esperito nel caso di specie, avrebbe consentito, in caso di accoglimento dell'impugnazione, la revoca del mandato di perquisizione disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e la restituzione degli oggetti sequestrati, che, a loro volta, avrebbero impedito che i beni, legati alla sua vita privata, fossero utilizzati nel procedimento penale relativo all'omicidio di A.A. Il richiamo allo strumento previsto dall'art. 257 c.p.p., dunque, è indispensabile, atteso che è attraverso tale rimedio processuale che possono essere esposte le ragioni che non consentono di esperire un mezzo di ricerca della prova particolarmente invasivo rispetto alla sfera privata individuale, così come riconosciuto dalla stessa disposizione in esame, che consente di sospendere l'esecuzione della misura nelle ipotesi di presentazione della richiesta.

Occorre, al contempo, precisare che Bruno Contrada non soltanto non aveva attivato tempestivamente lo strumento impugnatorio di cui all'art. 257 c.p.p. a tutela delle sue prerogative, così come riconosciutegli dall'art. 8 CEDU, ma non aveva nemmeno fornito alcuna spiegazione sulle ragioni che lo avevano indotto a seguire una tale strategia processuale, all'evidenza rinunciataria, rendendo inammissibile il ricorso proposto davanti alla Corte EDU per mancato esaurimento del percorso di tutela giurisdizionale previsto dall'ordinamento giuridico italiano (Corte EDU, Brazzi c. Italia, 27 settembre 2018, n. 57278/11, cit.; Corte EDU, Leotsakos c. Grecia, 4 ottobre 2018, cit.).

Queste conclusioni, a ben vedere, apparivano corroborate dalle modifiche normative della Riforma Cartabia, che, con l'introduzione dell'art. 252-bis c.p.p., espressamente richiamato dalla Corte strasburghese nel paragrafo 19, si è mossa nel solco disciplinatorio dell'art. 257 c.p.p., consentendo, come stabilito dal secondo comma dello stesso art. 252-bis, all'indagato e alla persona nei cui confronti è disposta la perquisizione di proporre opposizione «entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento o dalla diversa data in cui l'interessato ha avuto conoscenza dell'avvenuta perquisizione». Tale innovazione normativa, pur precedendo cronologicamente il verificarsi dei fatti dei quali si controverte, assume un elevato rilievo sintomatico del fatto che il soggetto interessato ha un onere di attivazione rispetto alle perquisizioni ritenute illegittime che non può essere eluso e che l'art. 252-bis c.p.p. ha reso ulteriormente cogente.

La questione della legittimità delle intercettazioni eseguite nei confronti di Bruno Contrada

A conclusioni diverse la Corte EDU giungeva in ordine alle intercettazioni eseguite nei confronti di Bruno Contrada, nel valutare le quali occorreva partire dal dato processuale relativo alla condizione di soggetto non indagato del ricorrente, che assumeva un rilievo decisivo nel configurare la violazione dell'art. 8 CEDU lamentata con l'atto di impugnazione in esame.

Secondo la Corte EDU, la violazione dell'art. 8 CEDU traeva il suo fondamento dalla disciplina delle intercettazioni prevista nel sistema processuale italiano, che indica le condizioni che legittimano l'esperimento di tale strumento probatorio e i soggetti che non possono essere sottoposti a captazione nel corso delle indagini preliminari. Ne consegue che è lo stesso ordinamento giuridico italiano a stabilire i presupposti indispensabili per evitare l'illegittima ingerenza nella sfera privata del soggetto sottoposto a intercettazione.

Si è evidenziato, in proposito, che il caso in esame poneva il problema dell'individuazione delle garanzie processuali riconosciute ai soggetti che, come Contrada, pur non essendo indagati, venivano sottoposti a intercettazione. La risoluzione di questo problema comportava una verifica sulle prerogative riconosciute a questa categoria soggettiva e sulla differenziazione tra tali facoltà e quelle di cui, invece, godevano le parti del procedimento.

Per risolvere tale questione, la Corte EDU ha evidenziato che la normativa italiana prevede che le parti del procedimento devono essere immediatamente informate della conclusione delle operazioni di intercettazione che li coinvolgono, ai sensi dell'art. 268, comma 6, c.p.p. Alle parti, inoltre, è riconosciuto l'accesso alle registrazioni, alle trascrizioni delle intercettazioni e a tutti i provvedimenti giurisdizionali che le riguardano; accesso ritenuto indispensabile per consentire di valutarne le legittimità ed eventualmente per contestarla.

Tuttavia, un analogo diritto non è riconosciuto ai soggetti che non sono sottoposti a indagine, che, non essendo titolari del diritto a essere informati della conclusione delle operazioni di intercettazione che li riguardano, potrebbero, quantomeno in astratto, non venire mai a conoscenza delle attività d'indagine svolte nei loro confronti, nonostante la loro incontroversa invasività.

I soggetti che non sono sottoposti a indagine, infatti, sono tutelati esclusivamente dall'art. 269, comma 2, c.p.p., che consente a “tutti gli interessati” di chiedere al giudice la distruzione della documentazione “non necessaria per il procedimento”, senza che a tale facoltà, come evidenziato nei paragrafi 69 e 70 della decisione in esame, si accompagni il diritto a esercitare un vaglio sulla legittimità del provvedimento che autorizza le intercettazioni sulla base di una comunicazione formale. Ne consegue che la persona sottoposta a indagine viene informata della conclusione delle operazioni di intercettazione e può accedere alla relativa documentazione; mentre, per i soggetti che non rivestono la qualità di indagati non è prevista alcuna comunicazione, con la conseguenza che può verificarsi che gli stessi non siano mai messi al corrente del loro coinvolgimento in attività d'indagine che li riguardano, in palese violazione dei principi affermati dalla Corte a tutela della sfera privata dei soggetti non indagati, ex art. 8 CEDU (Corte EDU, Zakharov c. Russia, 12 gennaio 2016, n. 47143/06, §§ 229-236; Corte EDU, Versini c. Francia, 16 giugno 2016, n. 49176/11, § 21; Corte EDU, Pruteanu c. Romania, 3 febbraio 2015, n. 30181/05, § 50; Corte EDU, Matheron c. Francia, 29 marzo 2005, n. 57752/00, §§ 36-39; Corte EDU, Amann c. Svizzera, 16 febbraio 2000, n. 27798/95, §§ 25-28).

L'esigenza di una tutela rafforzata della sfera privata dei soggetti coinvolti da intercettazioni, del resto, è avvertita dallo stesso legislatore italiano, che, con il d.l. 10 agosto 2003, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 ottobre 2023, n. 137, menzionato nel paragrafo 35 della decisione impugnata, ha novellato l'art. 262, commi 2 e 2-bis, c.p.p., prescrivendo che il “contenuto non rilevante ai fini delle indagini” non deve essere trascritto o menzionato e che il Pubblico ministero deve vigliare sulla corretta osservanza di tali disposizioni.

Sulla scorta di questa ricostruzione della disciplina delle intercettazioni, la Corte EDU ha ritenuto che privare un soggetto sottoposto a intercettazione senza essere indagato della possibilità di impugnare il provvedimento che autorizza le operazioni di captazione significa non riconoscergli una garanzia fondamentale contro gli abusi investigativi posti essere nei suoi confronti (Corte EDU, Versini c. Francia, 16 giugno 2016, cit.; Corte EDU, Matheron c. Francia, 29 marzo 2005, cit.).

In questa cornice, la Corte EDU ha concluso che la legge italiana non offriva garanzie, adeguate ed effettive, contro gli abusi investigativi posti in essere nei confronti delle persone sottoposte a intercettazione, che, non essendo indagate, non erano parti nel procedimento penale e non potevano avvalersi dei rimedi processuali previsti dall'art. 268, comma 6, c.p.p. Ai soggetti che non sono indagati, dunque, non può essere riconosciuto il solo strumento previsto dall'art. 269, comma 2, c.p.p., ritenuto inidoneo ad assicurare il diritto al rispetto della vita privata, della vita familiare, del domicilio e della corrispondenza dell'individuo, garantito dall'art. 8 CEDU.

Per effetto di tali statuizioni processuali, la Corte EDU ha condannato l'Italia a corrispondere a Bruno Contrada, a titolo di risarcimento morale, rilevante ai sensi dell'art. 41 CEDU, la somma di 9.000,00 euro.

Conclusioni

Con la decisione che si commenta la Corte EDU ritorna, ancora una volta, sulle tematiche connesse all'affaire Contrada contro Italia.

Il riferimento al lungo contenzioso sovranazionale tra Bruno Contrada e l'Italia è incontrovertibile, essendo evidente che anche questa seconda pronuncia della Corte EDU riguarda lo stesso milieu criminale, costituito dai rapporti di contiguità tra esponenti delle istituzioni di polizia e la criminalità organizzata mafiosa, sviluppatisi tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Novanta; milieu su cui è intervenuta la prima e più famosa pronuncia strasburghese del 14 aprile 2015.

La pronuncia in esame, come detto, riguarda due distinti profili censori, che appare opportuno segnalare partitamente.

Per il primo profilo censorio, relativo alla legittimità delle perquisizioni eseguite nei confronti di Contrada nel contesto delle indagini sull'omicidio di A.A., la decisione si risolve in una censura della condotta difensiva del ricorrente, che, non avendo attivato ritualmente lo strumento previsto dall'art. 257 c.p.p., non si era messo nelle condizioni di potere contestare l'operato dell'autorità giudiziaria inquirente italiana.

Gli oneri di diligenza del soggetto sottoposto a perquisizione, peraltro, si sono ulteriormente rafforzati a seguito dell'introduzione dell'art. 252-bis c.p.p., espressamente richiamato dalla Corte EDU, che, nel contesto normativo già prefigurato dall'art. 257 c.p.p., consente all'indagato e alla persona nei cui confronti è disposta la perquisizione di proporre opposizione entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento o dalla diversa data in cui l'interessato ha avuto conoscenza della perquisizione.

Più problematiche, invece, appaiono le conclusioni alle quali è giunta la Corte EDU in ordine al secondo profilo censorio, relativo alla legittimità delle attività di intercettazione eseguite nei confronti di Bruno Contrada, eseguite, nonostante lo stesso non fosse indagato, nel procedimento sull'omicidio di A.A.

Occorre, in proposito, precisare, onde evitare gli equivoci ermeneutici emersi nei primi commenti della pronuncia, che, su tale aspetto, la Corte EDU non ha censurato, sic et simpliciter, l'attivazione dello strumento captativo nei confronti di un soggetto non sottoposto a indagini, che deve ritenersi pienamente legittimo, in conformità dei parametri consolidati della giurisprudenza strasburghese (Corte EDU, Zakharov c. Russia, 12 gennaio 2016, n. 47143/06, cit.; Corte EDU, Pruteanu c. Romania, 3 febbraio 2015, n. 30181/05, cit.), quanto, piuttosto, la mancata comunicazione della conclusione delle operazioni di intercettazione, che, attualmente, è prevista per il solo soggetto sottoposto a indagini.

Si è ritenuto, infatti, che lo strumento previsto dall'art. 269, comma 2, c.p.p. non soddisfi le esigenze di garanzia del soggetto non sottoposto a indagini, che, in astratto, potrebbe non venire mai a conoscenza di intercettazioni che lo hanno riguardato e subire conseguentemente, a sua insaputa, un pregiudizio significativo all'integrità della sua sfera privata, in palese contrasto con la disposizione dell'art. 8 CEDU.

Una tale critica, invero, appare eccessiva, non tenendo in debito conto le innovazioni connesse alla modifica dell'art. 268, commi 2 e 2-bis, c.p.p. da parte del d.l. n. 105/2023, pur espressamente richiamato dalla Corte EDU, secondo cui il contenuto delle intercettazioni non pertinente per l'inchiesta non deve essere trascritto né menzionato e che, sulla regolarità di tali operazioni, vigila il Pubblico ministero, la cui posizione ordinamentale di parte pubblica, nel nostro sistema processuale, assicura un'adeguata tutela dei diritti del soggetto non indagato.

Si era, peraltro, mossa in una direziona analoga la “Riforma Orlando”, introdotta dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, che era intervenuta incisivamente sulla disciplina del segreto e della pubblicazione degli atti, riformulando l'art. 329, comma 1, c.p.p., che estende il segreto processuale «(al)le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e (a)gli atti del giudice che provvedono su tali richieste», completando un quadro che già comprendeva gli atti d'indagine del Pubblico ministero e della polizia giudiziaria già protetti prima della modifica del citato articolo.

Ne discende che, nel nostro ordinamento, è il Pubblico ministero a dovere controllare la legittimità delle operazioni di intercettazione, garantendo che l'integrità della sfera privata del soggetto sottoposto a un'attività di captazione avvenga nel rispetto del combinato disposto degli artt. 252-bis, 269, comma 2, e 329, comma 1, c.p.p.; ma, a ben vedere, è proprio questo modello di controllo di legittimità a essere messo in discussione dalla Corte EDU, che evidentemente non lo ritiene congruo né sotto il profilo oggettivo né sotto il profilo soggettivo.

Quello che, in ogni caso, appare evidente è che con tale pronuncia della Corte strasburghese viene messa fortemente in crisi l'attribuzione al Pubblico ministero del controllo di legalità, preposto a tutela della sfera dell'integrità privata dei soggetti sottoposti a intercettazione ma non indagati, su cui si era formata una giurisprudenza ventennale.

A tali considerazioni deve aggiungersi conclusivamente che la decisione della Corte EDU pone delicati problemi di coordinamento tra l'attuale disciplina delle intercettazioni – relativamente alle garanzie riconosciute al soggetto non sottoposto a indagini – e il complesso dei principi sovranazionali richiamati nella pronuncia commentata, sui quali, de iure condendo, si aprono scenari non facilmente prefigurabili.

Guida all'approfondimento

Riferimenti giurisprudenziali (sentenze della Corte EDU)

Corte EDU, Thevenon c. Francia, 13 settembre 2022, n. 46061/21, §57; Corte EDU, Leotsakos c. Grecia, 4 ottobre 2018, n. 30958/13, §§ 34-36; Corte EDU, Brazzi c. Italia, 27 settembre 2018, n. 57278/11, §§ 46-51; Corte EDU, Versini c. Francia, 16 giugno 2016, n. 49176/11, § 21; Corte EDU, Zakharov c. Russia, 12 gennaio 2016, n. 47143/06, §§ 229-236; Corte EDU, Contrada c. Italia, 14 aprile 2015, n. 66655/13, §§ 64-78; Corte EDU, Pruteanu c. Romania, 3 febbraio 2015, n. 30181/05, § 50; Corte EDU, Heino c. Finlandia, 15 febbraio 2011, n. 56720/09, § 36; Corte EDU, Matheron c. Francia, 29 marzo 2005, n. 57752/00, § 36-39; Corte EDU, Amann c. Svizzera, 16 febbraio 2000, n. 27798/95, § 25-28; Corte EDU, Malone c. Royaume-Uni, 2 agosto 1984, n. 82/1980, § 68.

Riferimenti normativi

Artt. 7, 8, 34,41,46 CEDU

Artt. 3, 13, 14, 15, 21, 24, 25 Cost.

Artt. 114, 257, 266, 268, 269, 270, 271, 319, 320, 321, 322, 324, 666, 670 c.p.p.

Art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, in l. 12 luglio 1991, n. 20

Sul tema, si rimanda alla News: Intercettazioni telefoniche e privacy: viola l'art. 8 CEDU una normativa che non prevede la tutela giurisdizionale per l'intercettato non coinvolto nel processo penale