No all’adozione “mite” di un minore all’interno del processo che ne sta accertando lo stato di adottabilità
28 Maggio 2024
Massima Il giudizio di accertamento dello stato di adottabilità di un minore, ai sensi degli artt. 8 e ss., l. n. 184/1983, e il giudizio volto a disporre un'adozione "mite", ex art. 44, lett. d) della medesima legge, costituiscono due procedimenti autonomi, di natura differente e non sovrapponibili fra loro Il caso Tizio – allo stato detenuto in regime di carcere “duro” – dichiarava all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Napoli che da una relazione sentimentale avuta con Caia era nato Caietto. Il minore veniva però accolto nell’abitazione di Tizio e della sua nuova compagna, Sempronia. Successivamente, il Tribunale di Napoli condannava quest’ultima, oltre alla coppia, per il reato di cui all’art. 567 c.p. perché le tre persone in concorso tra loro avevano falsamente attestato che il bambino era figlio naturale dell'uomo. Per questa ragione il Tribunale per i Minorenni di Napoli prima disponeva l’immediato allontanamento di Caietto dalla coppia Tizio e Sempronia e alla fine del procedimento civile minorile dichiarava lo stato di adottabilità del bambino. Sempronia presentava, quindi, al T.M. di Napoli domanda di adozione particolare ex art. 44 lett. d) l. n. 184/1983 così come modificata dalla l. n. 149/2001: domanda ritenuta però inammissibile. Sempronia impugnava tale decisione, ma la Corte d’Appello di Napoli rigettava l’appello. La ricorrente presentava così ricorso in cassazione articolando un motivo La questione Qual è il rapporto tra l’adozione c.d. “mite” e l’adozione legittimante? Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento in favore del curatore speciale del minore, in qualità di controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità. Sempronia lamentava la violazione dell'art. 44 comma 1 lett. d) l. n. 184/1983, che disciplina l'adozione in “casi particolari” e fa espresso riferimento alla possibilità che i minori siano adottati anche quando non ricorrano le condizioni di cui all'art. 7, comma 1), della stessa legge in forza della quale “l'adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità”. Più precisamente, sottolineava sia l'importanza della Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo – ratificata dall'Italia con l. n. 176/1991 – tale per cui in “tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente” (art. 3 Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, CRC) sia la mancata valutazione, da parte del Tribunale per i minorenni e dei giudici di secondo grado di Napoli, del profondo legame affettivo creatosi tra Sempronia e il minore Caietto durante sette anni. Il Supremo Collegio si era già espresso in merito stabilendo un'incompatibilità tra la dichiarazione dello stato di adottabilità e l'adozione cosiddetta “mite”: tra i giudizi vi è una “differenza strutturale e funzionale ” e si tratta, infatti, “di due procedimenti autonomi, di natura differente e non sovrapponibili fra loro, dato che il primo è funzionale alla successiva dichiarazione di un'adozione legittimante, con definitivo ed esclusivo inserimento in una nuova famiglia del minorenne, mentre il secondo crea un vincolo di filiazione giuridica coesistente con quello con i genitori biologici, non estinguendo il rapporto con la famiglia di origine pur se l'esercizio della responsabilità genitoriale spetta all'adottante” (v. Cass. civ., n. 21024/2022). Per tale ragione la Corte di cassazione ribadiva che nell'ambito del processo per l'accertamento dello stato di adottabilità non può essere assunta alcuna decisione che faccia applicazione del suindicato art. 44. In conclusione, il ricorso era rigettato: la richiesta di Sempronia finalizzata all'adozione mite era ritenuta inammissibile stante la corretta decisione del giudice di secondo grado e la sentenza divenuta definitiva del T.M. di Napoli che dichiarava lo stato di adottabilità del minore Caietto. Osservazioni Il caso in esame permette di svolgere considerazioni sul principio del superiore interesse del minore (best interests of the child) che rappresenta il principio informatore di tutta la normativa a tutela del fanciullo. Gli strumenti internazionali dedicati al minore non definiscono però il principio del suo superiore interesse, lasciando alla discrezionalità e creatività dell'interprete il compito di riempire di contenuto tale formula: una formula che ha subito una notevole evoluzione nella prassi giurisprudenziale e dottrinaria, in linea con una rinnovata concezione del minore nel tessuto sociale e giuridico (v. Nadia Di Lorenzo, Il principio del superiore interesse del minore nel sistema di protezione del fanciullo all'interno delle relazioni famigliari). Analizzando nel merito la questione, occorre precisare poi che nel nostro ordinamento convivono modelli di adozione fondati sulla radicale recisione del rapporto con i genitori biologici con altri che escludono la ricorrenza di tale requisito. Da evidenziare, inoltre, come la “pluralità di forme di genitorialità adottiva volute dal legislatore e l'intervento interpretativo compiuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (v. Cass. civ., n. 12692/2016; Cass. Sez. Un., n. 12193/2019) sulla ipotesi normativa contenuta nella lettera d) dell'art. 44, l. n. 184 del 1983 in modo da valorizzarne la natura di ipotesi residuale ed aperta, consentono di adeguare il nostro sistema legislativo della filiazione adottiva con le rilevanti indicazioni provenienti dalla giurisprudenza EDU” (v. Cass. civ., n. 3643/2020). L'adozione legittimante costituisce l'extrema ratio “cui può pervenirsi solo quando il mantenere i rapporti con la famiglia d'origine si ponga in contrasto con l'interesse del minore, trovandosi lo stesso in una condizione di radicale ed endemico abbandono non recuperabile in tempi compatibili con la sua crescita, e addebitabile ad un'incapacità dei genitori”. Sul punto è concorde anche la dottrina che ritiene la normativa sull'adozione legittimante dei minori un estremo rimedio, appunto, “al quale ricorrere unicamente quando venga accertato che la famiglia di origine non risulti in grado di offrire al minore, né per il presente, né per il futuro, tutte le cure e l'affetto necessari per il suo sviluppo, per costruire un progetto di vita che lo renda un adulto autonomo e responsabile, attraverso strumenti dignitosi e rispettosi della sua individualità e della sua personalità unica ed irripetibile” (v. A.C. Moro, Il bambino è un cittadino, conquiste di libertà e itinerari formativi: la Convenzione Onu e la sua attuazione, Milano, 1991; G. Ferrando, I diritti dei minori nella famiglia in difficoltà, in Fam. e dir., 2010). L'adozione c.d. mite, invece, “non recide del tutto i rapporti con la famiglia di origine in presenza di situazioni di semiabbandono, in cui non sia da escludere l'opportunità della presenza dei genitori biologici - se pur parzialmente inidonei - nella vita del minore” (v. Cass. civ., n. 26791/2023) |