Danno ambientale: accertamento della responsabilità oggettiva e soggettiva ai fini risarcitori

Redazione Scientifica Processo amministrativo
04 Giugno 2024

Sussiste la responsabilità oggettiva in base al criterio del "più probabile che non" in capo al responsabile del danno ambientale per attività pericolosa, destinatario anche dell'obbligo di bonifica del sito inquinato; invece, per le attività non pericolose l'accertamento della responsabilità dell'inquinamento impone alla P.A. anche la prova dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa.

Con la sentenza in esame il TAR Veneto si è pronunciato in materia di tutela risarcitoria per danno ambientale. La società ricorrente, con provvedimento della Provincia adottato ai sensi degli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152/2006, veniva individuata come corresponsabile dell'inquinamento di una falda, secondo il criterio del “più probabile che non”, anche all'esito degli ulteriori monitoraggi eseguiti nel frattempo, e le veniva ordinata la presentazione del piano di caratterizzazione (bonifica ambientale), ai sensi dell'art. 242, comma 3, d.lgs. n. 152/2006. Tale provvedimento veniva impugnato dalla società destinataria del suddetto obbligo di bonifica.

Nel merito, il Collegio, alla luce dei consolidati indirizzi della giurisprudenza nazionale e comunitaria in materia di accertamento della responsabilità ambientale, innanzi tutto, ha chiarito la portata del principio di derivazione comunitaria del “chi inquina paga”, ai sensi dell'art. 239 d.lgs. n. 152/2006,  fondato su una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero di contribuzione al rischio di inquinamento, in base al quale i responsabili della contaminazione sono tenuti a rispondere dei danni causati all'ambiente e a provvedere alla bonifica dei siti inquinati.

Sul punto, il Collegio ha rilevato che nei procedimenti amministrativi per l'accertamento del nesso di causalità fra una presunta causa di inquinamento e i relativi effetti non si applica il criterio penalistico “oltre ogni ragionevole dubbio”, ma quello del “più probabile che non”, secondo il quale il nesso eziologico ipotizzato è più probabile della sua negazione, che consente alla p.a. in sede probatoria di avvalersi delle presunzioni semplici ex art. 2727 c.c.

Successivamente il Collegio ha operato una ricostruzione della disciplina in materia di responsabilità ai fini della tutela risarcitoria del danno ambientale, normalmente in forma specifica, di derivazione comunitaria, recepita nella parte sesta del d.lgs. n. 152/2006, in rapporto agli obblighi di bonifica e di ripristino ambientale dei siti inquinati che, ai  sensi delle disposizioni di cui agli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152/2006, sono genericamente imputati al “responsabile” della contaminazione, senza indicare se a titolo soggettivo o oggettivo.

In particolare, il Collegio ha osservato che in materia di tutela risarcitoria per i danni all'ambiente, l'art. 298-bis d.lgs. n. 152/2006, distingue il titolo di responsabilità oggettiva e soggettiva a seconda che il danno ambientale sia causato o meno da un'attività pericolose, che costituiscono un numerus clausus, di cui all'Allegato 5, d.lgs. n. 152/2006; inoltre, i presupposti soggettivi che giustificano l'obbligo di bonifica coincidono con quelli che giustificano l'obbligo di risarcimento in forma specifica per via della tendenziale sovrapponibilità delle opere necessarie alla bonifica e al risarcimento in forma specifica.

Dunque, ad avviso del Collegio, laddove gli artt. 242 e 244 citati, indicano il soggetto obbligato alla bonifica dei siti contaminati nel “responsabile” dell'inquinamento, devono essere integrati con i criteri di imputazione contenuti nella parte sesta del d.lgs. n. 152/2006 che implicano la necessaria distinzione tra attività pericolose ed attività non pericolose.

In questi termini, il Collegio ha affermato che per la legittima adozione di un ordine di bonifica, come nella specie, in caso di attività pericolose è sufficiente che la P.A. accerti sul piano oggettivo la responsabilità di un operatore, mediante la prova dell'evento e del nesso causale secondo il principio del “più probabile che non”, senza essere tenuta a dimostrare l'elemento soggettivo del dolo o della colpa; però l'operatore, con inversione dell'onere della prova, può dimostrare, fornendone la prova rigorosa, le circostanze che elidono il nesso causale o le esimenti di cui all'art. 308, commi 4 e 5, d.lgs. n. 152/2006.

Il Collegio, poi ha precisato che, trattandosi di un giudizio a carattere impugnatorio relativo alla legittimità o meno dell'ordine di bonifica, a fronte della domanda di risarcimento la prova delle circostanze che esonerano dalla responsabilità di cui all'art. 308, commi 4 e 5, citato è a carico dell'interessato, in sede procedimentale e non in giudizio. Invece in caso di attività non pericolose, ad avviso del Collegio, la P.A. nell'individuare il responsabile dell'inquinamento destinatario dell'ordine di bonifica, deve provare in termini oggettivi l'evento della contaminazione, l'esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell'operatore e l'inquinamento riscontrato, secondo il principio del “più probabile che non”, e l'elemento soggettivo del dolo o della colpa.

Di conseguenza nel caso di specie, il Collegio ha evidenziato che sulla base delle risultanze istruttorie della Provincia e dei monitoraggi successivi eseguiti dalla ricorrente la contaminazione della falda dipende dalla discarica, secondo il criterio del “più probabile che non”; sostenere la necessità di ulteriori indagine della Provincia significherebbe accedere ad un imputazione dell'accertamento del nesso di causalità secondo il criterio dell'“oltre ogni ragionevole dubbio” che non trova applicazione nei procedimenti amministrativi in materia ambientale; la dedotta assenza di contestazioni sul mancato rispetto dell'autorizzazione e delle norme ambientali potrebbe escludere la colpa specifica,  ma non la colpa generica, da valutare secondo il criterio della diligenza qualificata esigibile da chi, come il gestore della fase post operativa di una discarica, svolge professionalmente attività pericolose di cui all'Allegato 5, parte sesta, d.lgs. n. 152/2006 e deve assicurare che non producano un danno o un pericolo di danno per l'ambiente.

Alla luce di tali premesse il Collegio ha dichiarato che la ricorrente, in qualità di gestore della discarica nella fase post-operativa ha la responsabilità oggettiva della contaminazione, ai sensi degli artt. 242 e 244 d.lgs. n. 152/2006, tenuto conto, altresì, che la società non ha fornito alcuna prova rigorosa delle circostanze idonee ad elidere il nesso causale o le esimenti contemplate dall'art. 308, commi 4 e 5, d.lgs. n. 152/2006.

Il TAR Veneto ha respinto il ricorso.

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