Qual è il rimedio esperibile dal condannato nei cui confronti sia stata nuovamente applicata la custodia cautelare ex art. 300 comma 5 c.p.p.?

12 Luglio 2024

L’imputato che, a seguito della sentenza di condanna intervenuta nel giudizio di impugnazione, sia stato raggiunto da ordinanza coercitiva in relazione allo stesso fatto per il quale era già stata emessa pregressa ordinanza cautelare poi caducata a seguito di sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere, deve impugnarla ai sensi dell’art. 309 c.p.p.

Questione controversa

La questione controversa riguarda il mezzo di impugnazione dell'ordinanza coercitiva prevista dall'art. 300 comma 5, c.p.p.: si tratta di una nuova ordinanza custodiale nei cui confronti deve essere presentata richiesta di riesame, o del ripristino della precedente ordinanza (già posta nel nulla a seguito della sentenza di assoluzione poi riformata) nei cui confronti deve essere presentato appello?

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo un primo orientamento il rimedio esperibile è l'appello, essendosi in presenza di un'ordinanza che rinnova la misura coercitiva già applicata.

Si è invero statuito che «in tal caso, la misura genetica perde efficacia - per effetto della sentenza assolutoria di primo grado - senza essere eliminata del tutto, sicché il sovvertimento del verdetto assolutorio ne comporta la reviviscenza», sicché «il relativo provvedimento di ripristino è soggetto ad appello e non a riesame» (Cass. pen., sez. V, 5 luglio 2011, n. 32852). 

Le pronunce che hanno seguito questo orientamento ritengono persistente il legame fra l'ordinanza cautelare poi caducata e quella sopravvenuta, che «non può essere considerata come nuovo provvedimento coercitivo, dato il nesso necessario e indissolubile che la lega a quella che ha disposto la precedente misura» (1).

Secondo l'opposto orientamento il rimedio esperibile è la richiesta di riesame, essendosi in presenza di un'ordinanza che dispone ex novo la misura cautelare, pur se in relazione a fatti per i quali era già stata applicata una misura coercitiva.

Si è, dunque, statuito che «In tema di impugnazione di misure coercitive, avverso l'ordinanza che costituisce reiterazione di precedenti provvedimenti per qualsiasi ragione caducati è proponibile il riesame e non l'appello, non ricavandosi alcuna distinzione al riguardo dall'art. 309 c.p.p., che si riferisce indistintamente a tutte le ordinanze applicative di misure coercitive. (Fattispecie nella quale la misura della custodia cautelare era stata ripristinata con la sentenza di condanna in primo grado, dopo che la precedente misura era stata annullata a seguito di ricorso per cassazione)» (Cass. pen., sez. VI, 8 marzo 1999, n. 842).

L'orientamento, oltre alla risalente sentenza appena citata, è stato implicitamente sostenuto da quelle sentenze che, pur senza affermare espressamente il principio, hanno trattato procedimenti relativi ad ordinanze applicate ai sensi dell'art. 300 comma 5, c.p.p., impugnate con richiesta di riesame e non con atto di appello (2).

(1Cass. pen., sez. I, 12 febbraio 2002, n. 23061.

    

(2Cass. pen., sez. I, 26 novembre 2019, dep. 2020, n. 6176; Cass. pen., sez. I, n. 35468 del 17 marzo 2016; Cass. pen., sez. I, 5 marzo 2003, dep. 2004, n. 7642; Cass. pen., sez. VI, 4 luglio 2000, n. 3092.

Rimessione alle Sezioni Unite

Cass. pen., sez. I, 10 aprile 2024, n. 21614

I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione del soggetto che, assolto in primo grado dall'imputazione di omicidio in relazione alla quale era stato raggiunto da ordinanza coercitiva nella fase delle indagini preliminari, era stato condannato dalla Corte d'appello, che aveva conseguentemente emesso nei suoi confronti, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, ordinanza di custodia cautelare in carcere ai sensi dell'art. 300 comma 5, c.p.p.

Il tribunale del riesame aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta nelle forme dell'appello, sostenendo, per un verso, che il prevenuto avrebbe dovuto presentare richiesta di riesame, e, per altro verso, che l'impugnazione presentata era comunque priva dei requisiti pretesi dall'art. 581 comma 1, lett. d), c.p.p.

La Prima Sezione penale, dopo aver illustrato le rilevanti conseguenze che derivano dall'individuazione del gravame esperibile avverso il provvedimento in esame, ha dato atto del contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità, rilevando che il primo e più risalente orientamento pare essere corroborato da quelle pronunce che, in un caso diverso ma non dissimile da quello di specie, hanno statuito che «il provvedimento che ripristina la custodia cautelare in carcere a norma dell'art. 307, comma 2, lett. b) c.p.p., facendo rivivere quello originario cessato per decorrenza dei termini di fase, è impugnabile dall'interessato non già mediante il riesame bensì con l'appello ex art. 310 c.p.p.» (Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2017, n. 27459), trattandosi di provvedimento che «fa rivivere quello originario» (Cass. pen., sez. IV, 5 dicembre 2007, dep. 2008, n. 5740), mentre il secondo orientamento pare più coerente con la rubrica e con il tenore letterale dell'art. 300 c.p.p. (laddove si parla di estinzione della misura a seguito della pronuncia assolutoria: sicché apparirebbe improprio parlare di “ripristino” di una misura che ha definitivamente perso la sua efficacia), con i caratteri del nuovo provvedimento (che il giudice emette a seguito di una rinnovata disamina delle esigenze cautelari del pericolo di fuga e/o della recidivanza), con quell'orientamento giurisprudenziale che, in analoga fattispecie in cui pure è stabilita la perdita di efficacia di una misura cautelare coercitiva, individua nella richiesta di riesame l'atto di impugnazione deputato a contrastare quella che, ove riemessa, viene considerata una nuova misura (cfr. Cass. pen., sez. I, 9 luglio 2003, n. 29687, in tema di ordinanza emessa dopo la declaratoria di perdita di efficacia della pregressa ordinanza a seguito del mancato espletamento dell'interrogatorio di cui all'art. 294 c.p.p.), ed infine con la considerazione che l'imputato condannato in grado di appello che venga attinto da susseguente provvedimento coercitivo senza mai essere stato raggiunto da un precedente titolo cautelare deve senz'altro impugnarlo con richiesta di riesame (non sussistendo sostanziali elementi di difformità che giustifichino una diversità di disciplina tra la situazione appena descritta e quella sottoposta al vaglio delle Sezioni unite).

Il ricorso è stato, pertanto, rimesso alle Sezioni Unite, alle quali è stato rivolto il seguente quesito: «Se l'imputato, nei confronti del quale era stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere divenuta inefficace per il proscioglimento pronunciato all'esito del giudizio di primo grado, debba impugnare l'ordinanza con la quale sia stata disposta, ai sensi dell'art. 300, comma 5, c.p.p., la custodia cautelare in carcere con la richiesta di riesame ovvero con l'appello cautelare».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all’esito della camera di consiglio dell’11 luglio 2024, hanno statuito che «Il rimedio esperibile avverso l’ordinanza suddetta è la richiesta di riesame».

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