Riesame o appello per la misura cautelare ripristinata?
05 Giugno 2024
Segnatamente il quesito è: «se l'imputato – nei confronti del quale era stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere divenuta inefficace per il proscioglimento pronunciato all'esito del giudizio di primo grado – debba impugnare l'ordinanza con la quale sia stata disposta, ai sensi dell'art. 300, comma 5, c.p.p., la custodia in carcere con la richiesta di riesame ovvero con l'appello cautelare». Il comma 5 dell'art. 300 c.p.p. dispone che «qualora l'imputato prosciolto o nei confronti del quale sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere sia successivamente condannato per lo stesso fatto, possono essere disposte nei suoi confronti misure coercitive quando ricorrono le esigenze cautelari previste dall'articolo 274 comma 1 lett. b) o c) c.p.p.». L'interrogativo concerne il mezzo con il quale il nuovo provvedimento possa essere impugnato: il riesame o l'appello. Si tratta di una questione di non secondario rilievo anche a voler considerare soltanto il tema della necessaria o meno produzione dei motivi di impugnazione con ricadute, come nel caso che ha originato la questione, in punto di ammissibilità. Secondo un orientamento prevalente il rimedio sarebbe l'appello in considerazione del fatto che la nuova misura si ricollegherebbe alla precedente che sarebbe rivitalizzata dalla sentenza di condanna anche perché il riesame riguarderebbe solo il provvedimento genetico, quello che dispone la misura e non quelli successivi. L'adesione a questa tesi con la conseguenza di ritenere operante la proponibilità dell'appello incontra non poche difficoltà anche a prescindere dalla varietà delle situazioni che possono avere interessato medio tempore il provvedimento genetico che nel corso del giudizio di prime cure sia stato modificato e attenuato. Invero appare difficile condividere l'idea di un recupero del vecchio provvedimento emesso in indagini preliminari ancorché non revocato e neppure sostituito alla luce della sentenza di condanna in secondo grado rispetto ad un provvedimento che ha perso efficacia e che quindi è venuto meno per effetto di una sentenza di proscioglimento Anche a voler ritenere che non si tratti di perdita di efficacia e neppure di estinzione ma, diciamo, di congelamento condizionato dagli sviluppi processuali successivi ritenere che essa implichi il pieno recupero della situazione pregressa lascia perplessi, nella misura in cui comunque la nuova decisione di condanna incide sui presupposti della misura al tempo dalla sua caducazione. Se quanto detto potrebbe non trovare condivisione per i reati a pericolosità cautelare presunta stante il permanere dei pericula, sia prima del proscioglimento sia dopo la condanna, il discorso e più problematico dopo la sentenza di condanna in appello anche permanendo l'identità del fatto. Una possibile chiave per la soluzione della questione potrebbe derivare dallo stresso art. 300 comma 5 cpp nella parte in cui specifica che il ripristino della misura sarebbe legato alla presenza delle esigenze di cui alle lett. b) e c) dell'art. 274 c.p.p. Questo elemento sembra sottendere oltre ad una richiesta del P.M. anche una valutazione del giudice conseguente alla situazione determinata dalla sentenza di condanna non valutabile nel momento genetico e suscettibile di una valutazione di concretezza e attualità. Si consideri tuttavia che la formulazione del comma 5 dell'art. 300 c.p.p. non trova il proprio antecedente in identiche formulazioni nell'art. 275 commi 1-bis e 1-quater c.p.p. Ora se il mancato riferimento alla lett. a) dell'art. 274 c.p.p. è pienamente giustificato come conseguenza dell'esaurimento dell'attività probatoria, i riferimenti agli altri due pericula potrebbero essere già stati presenti nell'ordinanza genetica ma con riferimento soprattutto alla fuga essere originario in conseguenza della condanna. Va ancora sottolineato che l'applicazione della misura non è automatico facendo la norma riferimento ad una possibile valutazione. Non può cioè escludersi che la misura applicata sia diversa dalla precedente configurandosi in tal caso una ipotesi di sostituzione. La Cassazione dovrà precisare la questione abbandonando il ricorso a soluzioni casistiche pur nella considerazione della loro presenza. Il ripristino dell'art. 307 c.p.p. sembra collocarsi su di un piano diverso. |