Citazione in appello: la notifica correttamente eseguita presso la PEC del difensore rende irrilevante l’errore sull’indirizzo fisico

10 Giugno 2024

Oggetto del presente commento è la validità della vocatio in iudicium avvenuta presso un indirizzo PEC corretto, ma con l'indicazione errata del domicilio fisico dell'imputato.

Massima

“La notificazione del decreto di citazione a giudizio di appello all'imputato elettivamente domiciliato presso il difensore è correttamente eseguita tramite inoltro via PEC all'indirizzo di posta certificata del difensore e l'esecuzione della notifica, accettata dal sistema, mediante posta elettronica certificata rende evidentemente irrilevante l'indicazione del domicilio fisico del domiciliatario, essendo peraltro pacifica l'eseguibilità con detto mezzo delle notifiche destinate all'imputato da eseguirsi mediante consegna al difensore; principio che mantiene validità anche all'esito delle modifiche normative introdotte dalla riforma Cartabia”.

Il caso

Un uomo viene tratto a giudizio per il reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000, perché in qualità di legale rappresentante di una cooperativa sociale, ha omesso il versamento delle ritenute dovute per un ammontare di quasi 200 mila euro.

Condannato nelle varie fasi processuali (nelle quali si regista un annullamento con rinvio della Cassazione), l'imputato impugna, con ricorso alla Suprema Corte, la sentenza della Corte di appello deducendo la nullità ex art. 178 c.p.p. dell'omesso avviso (e, di tutti gli atti successivi, tra cui l'impugnata pronuncia del giudice di secondo grado) all'imputato elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia, stante la notificazione del decreto di citazione a giudizio di appello, laddove veniva indicato un errato domicilio fisico dello stesso imputato.

La questione

La notifica via PEC al difensore domiciliatario è valida anche se nella vocatio in iudicium è indicato un errato indirizzo fisico dell'imputato?

Le soluzioni giuridiche

La terza sezione penale della Suprema Corte, nella sentenza n. 22295/2024 ritiene il relativo motivo di ricorso manifestamente infondato.

Dagli atti del fascicolo processuale (a cui la Corte di legittimità ha accesso in presenza di deduzione di un error in procedendo), risulta che il decreto di fissazione dell'udienza in Corte d'appello è stato notificato tramite PEC, in data 10 luglio 2023, all'avvocato che assiste di fiducia l'imputato, sia in proprio che quale domiciliatario di quest'ultimo. All'indirizzo PEC del legale di fiducia, quindi, sono state effettuate due notifiche del decreto di fissazione dell'udienza di appello, sia quale difensore che quale domiciliatario dell'accusato.

Per i giudici di legittimità, nessuna nullità si è verificata essendo stata correttamente effettuata la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza all'imputato che aveva eletto domicilio presso il suo difensore di fiducia, tramite PEC, a nulla rilevando eventuali discrasie nell'indicazione contenuta sul decreto di fissazione, del luogo del domicilio.

Nel sistema in vigore di notificazione tramite PEC, infatti, la notificazione degli avvisi e/o decreti nei confronti dell'imputato, che ha eletto domicilio presso il difensore, è correttamente eseguita mediante inoltro di una PEC all'indirizzo di questi.

Sin dall'entrata in vigore del codice di procedura penale, in base alla previsione dell'art. 150 c.p.p., in casi particolari, i giudici, con specifico decreto, hanno potuto disporre le notificazioni a persone diverse dall'imputato con mezzi tecnici che garantissero la conoscenza dell'atto (e dunque, dopo la sua introduzione, anche con la PEC).

L'entrata in vigore della l. n. 438/2001, che ha introdotto il comma 2-bis nell'art. 148 c.p.p., ha consentito la facoltà a tutti gli uffici giudiziari di notificare via PEC ai difensori, in quanto tale strumento rientra nel novero dei "mezzi idonei" cui fa riferimento la norma. Dall'entrata in vigore del d.l. n. 179/2012, convertito dalla l. n. 221/2012, gli uffici di tribunali (di procure) e di corte di appello, devono notificare esclusivamente tramite PEC a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p., alle persone diverse dall'imputato titolari di un indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi o da elenchi comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, senza necessità di specifici decreti attuativi.

Le disposizioni di cui all'art. 16 comma 4, sono state riprese nell'art. 83, commi 13 e 14 del c.d. decreto cura Italia, n. 18/2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella l. n. 27/2020: «le comunicazioni e le notificazioni relative agli avvisi e ai provvedimenti adottati nei procedimenti penali ai sensi del presente articolo, nonché dell'art. 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, sono effettuate attraverso il Sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali ai sensi dell'art. 16 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o attraverso sistemi telematici individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Le comunicazioni e le notificazioni degli avvisi e dei provvedimenti indicati al comma 13 agli imputati e alle altre parti sono eseguite mediante invio all'indirizzo di posta elettronica certificata di sistema del difensore di fiducia, ferme restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d'ufficio».

Il novellato art. 148 comma 1, ad opera della riforma Cartabia, d.lgs. n. 150/2022, prevede «salvo che la legge disponga altrimenti le notificazioni degli atti sono eseguite, a cura della segreteria o della cancelleria, con modalità telematiche che, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, assicurano la identità del mittente e del destinatario, l'integrità del documento trasmesso, nonché la certezza, anche temporale, dell'avvenuta trasmissione e ricezione».

La notifica dell'atto contenente la vocatio in ius, ai sensi dell'art. 601 c.p.p., va effettuata, qualora sia stata fatta la dichiarazione ai sensi dell'art. 161 c.p.p., «al domicilio dichiarato o eletto», secondo le modalità telematiche di cui all'art. 148 c.p.p.

Una volta ricostruita la cornice normativa, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità, già prima della riforma Cartabia, aveva affermato che «è valida la notifica effettuata, ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p., mediante invio al difensore, tramite  PEC, dell'atto da notificare all'imputato, atteso che la disposizione di cui all'art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012, che esclude la possibilità di utilizzare la PEC per le notificazioni all'imputato, va riferita esclusivamente alle notifiche effettuate direttamente alla persona fisica dello stesso e non a quelle eseguite mediante consegna al difensore seppure nel suo interesse» (sez. IV, n. 16622/2016).

Nel caso odierno sottoposto all'attenzione della terza sezione di Cassazione, il decreto di citazione per il giudizio di appello, benché indicante un luogo di elezione di domicilio errato, emesso in data 5 luglio 2023, è stato notificato al ricorrente tramite PEC all'avvocato difensore presso il quale aveva eletto domicilio.

Deve dunque affermarsi che la notificazione del decreto di citazione a giudizio di appello all'imputato elettivamente domiciliato presso il difensore è correttamente eseguita tramite inoltro via PEC all'indirizzo di posta certificata del difensore e l'esecuzione della notifica, accettata dal sistema, rende evidentemente irrilevante l'indicazione del domicilio fisico del domiciliatario, essendo peraltro pacifica l'eseguibilità con detto mezzo delle notifiche destinate all'imputato mediante consegna al difensore, come affermato da sez. IV, n. 40907/2016; principio che mantiene validità anche all'esito delle modifiche normative introdotte dalla riforma Cartabia.

L'affermazione trova solido ancoraggio nel principio affermato dalle sezioni unite per il quale «La notificazione di un atto all'imputato o ad altra parte privata, in ogni caso in cui possa o debba effettuarsi mediante consegna al difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma dell'art. 148, comma secondo bis, c.p.p.» (sez. un., n. 28451/2011). Principi che non sono superati dall'utilizzo di nuovi mezzi idonei, tra cui nel novellato art. 148, comma 2-bis, c.p.p. vi è appunto la notificazione telematica.

Osservazioni

La sentenza n. 22295/2024 si pone nel consolidato solco interpretativo della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale in tema di notifiche ai difensori, l'art. 148, comma 2-bis, c.p.p., consente la notifica con mezzi tecnici idonei, tra cui va ricompresa la trasmissione telematica se certificabile, e ciò a prescindere dall'emanazione da parte del Ministero della giustizia dei decreti attuativi, destinati a regolamentare l'utilizzo della PEC, secondo quanto previsto dall'art. 16, d.l. n. 179/2012 (sez. IV, n. 30259/2020).

Con l'ulteriore specifica che, in caso di notifica tramite PEC al difensore anche come domiciliatario dell'imputato, non è necessaria la consegna di due copie dell'atto: l'invio di un'unica copia dell'atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità, qualora risulti che l'atto viene consegnato al difensore sia in proprio, sia nella qualità di domiciliatario dell'interessato (sez. II, n. 8887/2019; sez. I, n. 12309/2018).

Appare necessario, tuttavia, che la cancelleria che compie l'adempimento precisi che la notificazione al difensore è eseguita anche in proprio e non solo nella qualità di domiciliatario dell'imputato, come è stato precisato anche in tema di notificazione a mezzo PEC da una precedente decisione (sez. IV, n. 48275/2017). Ciò in quanto, la notifica all'imputato mediante PEC al suo difensore non sostituisce anche quella spettante "in proprio" al difensore stesso (sez. IV, n. 48275/2017).

La diversa disciplina dettata dall'emergenza Covid-19 (ove le notificazioni all'imputato sono eseguite mediante invio dell'atto all'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore di fiducia), opera limitatamente al periodo di contenimento della pandemia, non essendo necessaria, a tal fine, un'ulteriore notifica all'imputato, in quanto la disposizione di cui all'art. 83, comma 14, d.l. n. 18/2020, come convertito, per la sua natura eccezionale e derogatoria, assicura la riferibilità della medesima comunicazione al difensore titolare della PEC e al suo assistito (sez. II, n. 884/2023).

Alla stessa stregua, è legittima anche la notifica del disposto rinvio di ufficio, effettuata anche essa espressamente, come ammesso in ricorso, ai sensi della correlata disciplina emergenziale conseguente alla intervenuta pandemia, mediante PEC inviata al difensore (sez. V, n. 20173/2022).

Cosa accade se il difensore domiciliatario non ha attivato la PEC? In questi casi è legittima la notifica mediante deposito dell'atto in cancelleria, ai sensi dell'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012, poiché, una volta eletto domicilio presso l'avvocato, le notifiche devono essere eseguite con le forme e le modalità stabilite per il professionista, a nulla rilevando l'eventuale diversa disciplina stabilita per l'imputato (sez. II, n. 14477/2020). Infatti, in caso di notifica via PEC al difensore, per il perfezionamento bastano l'accettazione dal sistema e la ricezione del messaggio di consegna (sez. VI, n. 51137/2020).

Si ricorda, infine, che la notificazione di un atto al difensore, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata e restituito al mittente con l'indicazione "casella piena", si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta di avere rinvenuto la c.d. casella di PEC del destinatario "piena", da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto, per effetto dell'art. 4, commi 1 e 2, d.l. n. 193/2009, il mancato inserimento nella casella di posta, per saturazione della capienza, rappresenta un evento imputabile al destinatario per l'inadeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi (sez. III, n. 14216/2019).

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