Processo telematico: l’eccessivo formalismo nella dematerializzazione dei processi dinanzi alla Cassazione che ostacola l’esame del ricorso viola il diritto di difesa

La Redazione
10 Giugno 2024

La Corte EDU, con sentenza del 23 maggio 2024 (n. 37943/17, 54009/18 et 20655/19) ha condannato l'Italia per eccessivo formalismo in relazione all'applicazione dell'art. 369, § 1, c.p.c. nel processo civile inteso come improcedibilità del ricorso per Cassazione, in difetto di deposito di copia autentica della sentenza nei termini di deposito del ricorso, non consentendo dunque che la prova dell'autenticità possa essere data dopo e prima della decisione della causa. Per la Corte EDU, pur condividendo il valore fondamentale della buona amministrazione della giustizia, il termine per l'autentica della sentenza appare sproporzionato tale da limitare il diritto di difesa in giudizio e dunque violando l'art. 6 CEDU

Fatti principali

I ricorrenti sono quattro cittadini italiani ed una società a responsabilità limitata, con sede in Italia. Tutti i ricorrenti nella fattispecie avevano adito la Corte di cassazione, la quale dichiarava le loro impugnazioni irricevibili per mancata notifica alla cancelleria delle decisioni che intendevano impugnare.

L'impugnazione proposta da due dei ricorrenti (ricorso n. 37943/17) riguardava un procedimento civile diretto contro il loro ex avvocato e faceva seguito all'annullamento da parte della Corte d'appello di Verona di una sentenza pronunciata in loro favore. La sentenza di irricevibilità della Corte di cassazione è stata emessa il 30 novembre 2016.

L'impugnazione proposta dalla S.R.L. (istanza n. 54009/18) riguardava un procedimento di esecuzione contro l'interessata, in particolare la contestazione di un'ordinanza di sequestro davanti al Tribunale di Milano. Il 9 maggio 2018 la Corte di cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla società richiedente.

Nel 2017 la Corte d'appello di Bologna aveva annullato una sentenza e dichiarato inoperante un contratto di cessione di cui erano parti due ricorrenti (ricorso n. 20655/19). Gli interessati si sono rivolti alla Corte di cassazione, che ha respinto il ricorso il 5 ottobre 2018.

Decisione della Corte

La questione che si pone alla Corte EDU nella fattispecie è quella di sapere se la Corte di cassazione abbia limitato la sostanza stessa del diritto di accesso dei ricorrenti ad un tribunale.

Le restrizioni imposte dalla Corte di cassazione avevano lo scopo di difendere il principio dell'autorità della cosa giudicata (res judicata) e di assicurare la celerità del procedimento. La Corte ammette che ciò debba essere considerato un obiettivo legittimo, ossia la buona amministrazione della giustizia.

Per quanto riguarda il ricorso di due dei ricorrenti, la Corte rileva che gli stessi non hanno comunicato l'avviso di notifica della sentenza impugnata entro il termine (venti giorni) prescritto dall'art. 369, § 1 , c.p.c. I ricorrenti sostengono che tale disposizione rientra in un eccesso di formalismo.

Poiché la Corte di cassazione ha bisogno dell'avviso di notifica della sentenza impugnata per verificare il rispetto del principio dell'autorità di cosa giudicata, la Corte ritiene che l'inosservanza da parte dei ricorrenti del suddetto termine abbia avuto come conseguenza d'impedire alla Corte di cassazione di determinare se i termini per la presentazione dei ricorsi fossero stati rispettati e, di conseguenza, decidere sulla ricevibilità dell'impugnazione senza indugio e senza che siano necessarie ulteriori iniziative. La misura controversa era quindi adeguata allo scopo legittimo perseguito.

Tenendo conto del ruolo della Corte di cassazione − controllare la corretta applicazione della legge −, la Corte ammette inoltre che il procedimento seguito dal giudice supremo può rivestire carattere formale, in particolare in un procedimento come quello di cui al presente ricorso, in cui i ricorrenti erano rappresentati da un avvocato specializzato membro dell'ordine degli avvocati della Corte suprema. In quanto tale, la decisione di rigetto del ricorso non ha impedito ai ricorrenti di avere accesso a un tribunale. Non vi è stata, quindi, violazione dell'art. 6, § 1, Convenzione EDU per quanto riguarda il ricorso n. 37943/17.

In relazione ai ricorsi proposti dalla S.R.L. e da altri due ricorrenti, la Corte constata che questi hanno depositato − nel suddetto termine − una copia cartacea delle decisioni impugnate, corredata dell'avviso di notifica inviato per posta elettronica certificata, ma che non hanno prodotto un attestato atto a certificare che la copia cartacea dell'avviso di notifica era una copia conforme all'originale. Essa rileva altresì che è per questo motivo che la Corte di cassazione ha dichiarato irricevibili le loro impugnazioni.

Riferendosi alle disposizioni legislative pertinenti e alla giurisprudenza della Corte di cassazione, e rilevando che gli interessati erano rappresentati da un avvocato specializzato, la Corte afferma che la legge era prevedibile per i ricorrenti.

All'epoca, la Corte di cassazione stava passando a un sistema di trattamento elettronico dei fascicoli, e copie cartacee di messaggi di posta elettronica certificati dovevano essere comunicate alla cancelleria della Corte di cassazione ed essere accompagnate da un atto attestante che si trattava di copie conformi. Tale requisito non era troppo vincolante e la sua inosservanza da parte degli interessati si configurava come un errore procedurale di cui i ricorrenti erano responsabili in quanto parti dinanzi ai giudici italiani.

Tuttavia, nonostante le omissioni dei ricorrenti e contrariamente alla situazione osservata dalla Corte relativamente al ricorso n./17, la Corte di cassazione ha avuto la possibilità di determinare sin dall'inizio del procedimento se i termini per la presentazione dei ricorsi fossero stati rispettati.

Inoltre, basandosi anche sugli orientamenti della Commissione per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa (CEPEJ) sulla digitalizzazione dei fascicoli giudiziari e sulla digitalizzazione dei tribunali (CEPEJ 2021/15) e sui pareri espressi dal Comitato consultivo dei giudici europei (CCJE) sull'uso delle tecnologie dell'informazione nel sistema giudiziario, la Corte ritiene che, nel contesto della dematerializzazione delle procedure, la necessità di adeguare i requisiti di forma dei documenti cartacei richiede flessibilità nell'applicazione ai documenti elettronici.

In tali circostanze, dichiarando le impugnazioni irricevibili senza dare ai ricorrenti una ragionevole possibilità di presentare l'attestato in una fase successiva, la Corte di cassazione è andata oltre l'obiettivo di garantire la certezza del diritto e la buona amministrazione della giustizia, e ha impedito ai ricorrenti di vedere la loro causa risolta nel merito.

Pertanto, vi è stata violazione dell'art. 6, § 1, CEDU per quanto riguarda i ricorsi n. 54009/18 n. e 20655/19.