Opera la sospensione dei termini processuali nei giudizi di revisione delle condizioni di separazione e divorzio
10 Giugno 2024
Massima Alle liti giudiziarie con oggetto le condizioni poste alla base della separazione dei coniugi o del loro divorzio nel cui alveo rientrano anche le questioni attinenti alla erogazione dell'assegno di mantenimento per i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, si applicano le regole della sospensione feriale dei termini processuali di cui all'art. 3, legge 7 ottobre 1969, n. 742 salvo che non sia stato adottato un decreto che abbia riconosciuto l'urgenza di definire la controversia sul presupposto che qualsiasi ritardo possa provocare danni alle parti (art. 92, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12). Il caso Tizio ha incardinato un giudizio di modifica delle condizioni di divorzio ex art. 9 l. 898/1970 chiedendo di essere esonerato dall'obbligo di versare alla ex moglie Caia l'assegno di mantenimento delle due figlie ormai maggiorenni e laureate. Il Tribunale di Napoli ha respinto il ricorso riconoscendo la legittimazione della madre a ricevere l'assegno. La Corte d'Appello di Napoli ha riformato la decisione del Tribunale escludendo la convivenza delle figlie con la madre e quindi la legittimazione di quest'ultima a pretendere l'assegno. Caia ha presentato ricorso per Cassazione. La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria Cass. n. 27514/2023, considerato il contrasto giurisprudenziale insorto per effetto dell'ordinanza n. 18044/2023 - che aveva escluso l'applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali alle cause in materia di mantenimento del coniuge debole e dei minor assimilandole a quelle in materia di alimenti- ha rimesso alle Sezioni Unite la questione se alle liti in materia di mantenimento per i figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti si applichi o meno la sospensione dei termini processuali prevista dall'art. 92, comma 1, r.d. n. 12 del 1941. La Corte di cassazione a Sezioni Unite ha risolto il contrasto interpretativo discostandosi dall'orientamento (del tutto isolato) sostenuto dalla Prima Sezione con l'ordinanza Cass. n. 18044/2023 e confermando l'applicabilità della disciplina sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, salvo il caso in cui venga riconosciuta l'urgenza della controversia ai sensi dell'art. 92 dell'ordinamento giudiziario. La questione La Corte di cassazione a Sezioni Unite affronta la dibattuta questione concernente l'applicabilità o meno della sospensione dei termini processuali prevista dall'art. 92, comma 1, r.d. n. 12/1941 alle liti in materia di mantenimento per i figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti Più precisamente si è posto il problema di stabilire quale significato si debba attribuire alla locuzione “cause civili relative ad alimenti” prevista da tale norma, ai fini degli affari civili da trattare in periodo feriale, come tali sottratti alla sospensione dei termini processuali (art. 3, l. 7 ottobre 1969, n. 742). Le soluzioni giuridiche 1. Il contrasto giurisprudenziale La sentenza in commento della Corte di cassazione a Sezioni Unite richiama preliminarmente il contrasto interpretativo insorto sull'applicabilità della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale alle cause in materia di mantenimento del coniuge debole e dei minori. a) L'indirizzo prevalente Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il carattere di eccezionalità della norma di cui all'art. 3 della l. 7 ottobre 1969 n. 742, che pone una precisa deroga, per i procedimenti indicati nell'art. 92 dell'ordinamento giudiziario (tra cui quelli relativi ad alimenti), al principio generale di sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, comporta non solo che non possa esserne estesa l'applicazione a tipologie di controversie diverse da quelle espressamente richiamate dalla disposizione di legge, ma anche che le categorie sottratte all'operatività della regola generale vadano intese con rigorosa interpretazione (Cass. civ. n.1800/1990; Cass. civ., n. 8417/2000; Cass. civ., n. 18015/2019; Cass. civ., sez. I, n.1800/1990). Pertanto, la deroga alla predetta sospensione prevista per le controversie in materia di alimenti, non si estende alle diverse controversie concernenti la misura dell'assegno di mantenimento in favore dei figli, in regime di separazione dei coniugi (v. Cass. 8417/2000; Cass. 8567/1991; Cass. 2050/1988) al procedimento di revisione del contributo di mantenimento dei figli. Lo stesso principio vale anche per l'assegno divorzile (v. Cass. 4456/1995; Cass. 2731/1997), non potendo essere equiparato all'assegno alimentare, essendo diverse la natura e le finalità dei due tipi di assegno. b) Il recente arresto giurisprudenziale (Cass. civ. ord. n. 18044/2023) La Corte di cassazione, I sez. civile, con l'ordinanza Cass. n. 18044/2023 - diversamente opinando sulla base della normativa emergenziale oggi non più in vigore (art. 83, comma 3, d.l. n. 18/2020 convertito in legge n. 27/2020) in relazione a quella eurounitaria - aveva ritenuto che in materia di obbligazioni alimentari come regolate dal Regolamento CE n. 4/2009, (relativo alla Competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari) nelle cause di mantenimento del coniuge debole e dei minori, non fosse più applicabile la sospensione feriale dei termini processuali. Tali cause erano state ritenute assimilabili a quelle in materia di alimenti, per definizione urgenti, e non soggette a pause processuali obbligatorie. In tal modo sono state, quindi, considerate dai Giudici di Legittimità “obbligazioni alimentari” tutte le obbligazioni derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio, o di affinità, includendovi tutte le obbligazioni di mantenimento. 2) La ratio della sospensione feriale dei termini (art. 3 l. 742/1969) La sospensione feriale dei termini è disciplinata dal Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12 – Ordinamento giudiziario – e dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742 -Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale – modificata dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83. Trattasi di istituto di natura processuale che prevede l'esclusione dei giorni ricompresi tra il 1° e il 31 agosto dal calcolo delle scadenze processuali. Per effetto della sospensione feriale, il termine per il compimento di una determinata attività processuale cessa di decorrere per 31 giorni e riprende soltanto dal 1° settembre; di conseguenza, ai fini della corretta individuazione della scadenza, il tempo eventualmente trascorso prima della sospensione va sommato a quello che inizierà a trascorrere successivamente alla stessa. Se invece il termine avrebbe astrattamente inizio durante il periodo di sospensione, ai sensi dell'articolo 1 della legge numero 742/1969, lo stesso inizia a decorrere alla fine di detto periodo. La Corte di cassazione a Sezioni Unite nella sentenza in commento chiarisce come la ratio della sospensione dei termini sia strettamente correlata alla tutela giurisdizionale dei diritti assicurando il riposo dei legali senza arrecare pregiudizio al diritto giurisdizionale garantito dall'art. 24 Cost. La ragione della sospensione feriale dei termini processuali è, quindi, legata al diritto alla difesa sancito, primariamente, dall'articolo 24 della Costituzione. Se la sospensione feriale (quale regola generale) è volta a favorire le parti processuali per esonerarle dagli adempimenti dovuti durante l'estate, questa interruzione non può però arrecare loro un danno. Per tale ragione, quando la regola rischia di essere addirittura controproducente, ossia quando l'atto specifico verte su una materia di estrema rilevanza e delicatezza (i procedimenti indicati nell'art. 92 dell'ordinamento giudiziario - r.d. 12/1941), la sospensione non si applica. 3) Le cause relative ad alimenti (art. 92 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12.). La distinzione tra alimenti e mantenimento La sospensione, disciplinata dalla legge n. 742/1969, non si applica in via generale ai procedimenti civili, eccetto quelli espressamente indicati come urgenti. Tra le cause escluse dall'applicabilità della sospensione feriale l'art. 92 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (come richiamato dall'art. 3 l. 742/1969) richiama espressamente quelle “relative ad alimenti”. La Corte di Cassazione nella sentenza in commento rimarca che le cause relative ad alimenti, escluse dalla sospensione, sono ontologicamente distinte dalle cause di separazione o divorzio in cui si discuta dell'obbligazione alimentare o dell'assegno di mantenimento o divorzile , le quali rispondono a finalità di solidarietà familiare e non richiedono lo stato di bisogno previsto dall'art. 438 c.c. L'obbligo alimentare (o diritto agli alimenti), disciplinato dall'art. 433 c.c. è una prestazione patrimoniale effettuata da un soggetto obbligato nei confronti del familiare che versi in stato di bisogno. Si tratta di un ausilio economico alla parte più debole in ambito familiare allo scopo di fornire i mezzi adeguati a condurre una vita dignitosa. Per ‘alimenti' s'intende tutto ciò che è essenziale alla sopravvivenza di una persona (vitto, alloggio, abbigliamento, cure mediche essenziali, ecc.), i bisogni primari. Il diritto al mantenimento è, invece, una forma di assistenza economica che ha un contenuto molto più ampio rispetto a quello degli alimenti e va ben oltre la soddisfazione dei semplici bisogni primari. La ratio dell'istituto è quella di garantire a chi lo riceve di mantenere le stesse condizioni di vita in costanza di matrimonio, sia al coniuge beneficiario dell'assegno, sia ai figli nati dal rapporto di coniugio. Questo diritto prescinde dallo stato di indigenza o di bisogno del beneficiario richiamato dall'art. 438 c.c. La Corte di cassazione nella sentenza in commento rileva che questa distinzione tra le prestazioni alimentari in senso stretto e le prestazioni di mantenimento si riflette anche nelle pronunce giurisprudenziali riguardanti l'assegno di mantenimento nella separazione e l'assegno divorzile. In particolare con riguardo al contributo al mantenimento dei figli la Corte richiama il proprio consolidato orientamento secondo cui l'ammontare del contributo dovuto dal genitore per il mantenimento dei figli, siano essi minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, deve rispettare il principio di proporzionalità sancito dall'art. 337-ter c.c. Siffatto principio impone una valutazione comparativa dei redditi di entrambi i genitori, considerando non solo le necessità alimentari previste dall'art. 438 c.c. ma anche le esigenze attuali del figlio e il tenore di vita da lui goduto. (Cass. civ. n. 4811/2018, Cass. civ., sez. I, n. 19299/2020 e la Cass. civ., sez. I, n. 32466/2023). I giudici ribadiscono, quindi, le differenze funzionali (e in parte anche strutturali) tra ciò che costituisce oggetto di alimenti (nel presupposto unico e specifico dello stato di bisogno dell'avente diritto e dell'impossibilità di provvedere altrimenti a tale stato) e ciò che invece, in termini compositi, integra la cifra del diritto al mantenimento, sia del coniuge, o dell'ex coniuge, che della prole, sia nella separazione che nel divorzio. Ne discende pertanto che l'art. 3 della legge 742/1969, nell'individuare le cause sottratte alla regola generale della sospensione feriale di cui al precedente art. 1, detta – per relationem – un elenco di ipotesi che devono ritenersi tassative, e dunque insuscettibili di applicazione analogica. In tale elenco figurano le “cause civili relative ad alimenti”, e queste – secondo costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità – non includono la generalità delle cause di famiglia, e neppure includono le controversie relative al mantenimento dei figli o del coniuge ovvero all'assegno divorzile, stante la diversità di presupposti, natura e finalità di tali istituti rispetto all'obbligazione legale di alimenti (in senso stretto) 4) L'ambito circoscritto del regolamento CE n. 4/2009 La sentenza in commento chiarisce da ultimo le ragioni per cui si è discostata dai richiami normativi (la normativa Covid-19 e il regolamento CE n. 4/2009) su cui hanno fatto perno i Giudici di Legittimità con la precedente ordinanza n. 18044/2023 per giungere a considerare “obbligazioni alimentari” tutte le obbligazioni derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio, o di affinità, incluse le obbligazioni di mantenimento. L'art. 83, comma 3, lett. a), del d.l. n. 18 del 2020, convertito con la l. n. 27/2020 aveva escluso le “cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità” dalla sospensione generalizzata dei termini processuali, riconoscendo la loro natura urgente e l'importanza di una rapida risoluzione. La Corte di cassazione a Sezioni Unite ha evidenziato che tale norma (introdotta durante l'emergenza sanitaria nazionale pandemica e oggi peraltro abrogata) era contenuta in una disciplina del tutto eccezionale e temporanea la cui funzionale era solo quella di “tutela della salute pubblica in un contesto eccezionale e provvisorio” Tale norma non poteva, pertanto, fungere da parametro interpretativo né tanto meno stravolgere l'esegesi degli artt. 3 della l. 742/1967 e art. 92 ord. giud. Con il Regolamento 4/2009 l'Unione Europea ha individuato la competenza giurisdizionale e la legge applicabile alle controversie in materia di obbligazioni alimentari di carattere transnazionale derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, nonché regolare i profili del riconoscimento e dell'esecuzione delle relative decisioni nei diversi Stati membri. Il Regolamento (CE) n. 04/2009 mira ad agevolare il pagamento dei crediti alimentari in situazioni transfrontaliere e si applica ai crediti alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o affinità. Nella categoria rientrano: l'assegno di mantenimento dei figli; l'assegno di mantenimento a favore del coniuge a seguito di separazione; l'assegno divorzile; gli alimenti strictu sensu derivanti dall'obbligo di aiutare nel bisogno i membri della propria famiglia. La Corte di cassazione a Sezioni Unite con la sentenza in commento chiarisce che le previsioni del suddetto regolamento non incidono affatto sulle modalità con le quali le legislazioni dei singoli Stati (e tra queste in particolare la legislazione nazionale italiana) abbiano ritenuto – e ritengano - di disciplinare gli istituti di riferimento sul piano dei presupposti, degli effetti e delle modalità di tutela. Il regolamento viene in considerazione solo ove si discuta del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni o della competenza in materia di obbligazioni alimentari. L'ampliamento del concetto di obbligazione alimentare declinato dal regolamento, chiarisce la Suprema Corte, non fuoriesce dai casi in cui sia in discussione il suo ambito specifico di applicazione. È quindi ininfluente rispetto alla disciplina della sospensione dei termini feriali quanto ai giudizi di diritto interno. Osservazioni La pronuncia in commento è condivisibile in quanto perfettamente in linea con la consolidata interpretazione giurisprudenziale secondo cui l'eccezione alla regola generale della sospensione dei termini durante il periodo feriale, fuori dai casi espressamente indicati nelle norme in esame, deve essere ristretta alle sole ipotesi in cui la ritardata trattazione della causa potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti, e ciò consti dal decreto che ne dichiara l'urgenza apposto dal presidente in calce all'atto introduttivo (ex art. 92 cit.); Le “cause civili relative ad alimenti” rilevanti ai sensi dell'art. 3 l. 742/1969 coincidono, quindi, con le sole cause concernenti il diritto agli alimenti di cui all'art. 433 c.c. I procedimenti di cui agli artt.473-bis e ss. c.p.c. – in assenza di interventi ad hoc del legislatore, che allo stato appunto mancano nel contesto della legge 742/1969 – sono, pertanto, soggetti all'ordinaria sospensione feriale dei termini di cui all'art. 1, l. l. 742 citata per il deposito delle memorie e per lo svolgimento delle specifiche attività difensive. Opinare diversamente significherebbe prospettare un intervento creativo-manipolativo sul testo normativo che risulta però precluso all'interprete. |