Ricorribili in cassazione i provvedimenti giudiziali sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori
12 Giugno 2024
Massima In tema di bigenitorialità, i provvedimenti giudiziali che statuiscono a conclusione del giudizio – in via esclusiva o aggiuntiva – le modalità di frequentazione e visita dei figli minori sono ricorribili per cassazione ove impongono restrizioni che possono ledere, nel loro protrarsi nel tempo, il diritto fondamentale alla vita familiare sancito dall’art. 8 CEDU. Il caso Un padre si rivolge al Tribunale territoriale competente richiedendo una modifica delle condizioni di divorzio stabilite in precedenza, in particolare, l’eliminazione delle restrizioni al pernottamento del figlio per le sue condizioni di salute legate all’epilessia di cui soffre. Il Tribunale, sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio, accoglie il ricorso del padre, così la madre propone reclamo e successivamente ricorso per cassazione. Il padre, con controricorso, deduce che il provvedimento non è impugnabile per cassazione poiché il petitum attiene alle sole modalità di frequentazione padre-figlio, vertendo sul diritto di visita. La Corte di cassazione, tuttavia, dichiara tale eccezione infondata e si allinea alla pronuncia della corte di merito che, nel caso specifico, ha affermato di non ritenere contrario all’interesse del minore il suo pernottamento presso il padre, purchè introdotto con modalità graduali. La questione I provvedimenti giudiziali che, al termine del giudizio di revisione delle condizioni di affidamento, stabiliscono le modalità di frequentazione e visita dei figli minori sono ricorribili per cassazione? Le soluzioni giuridiche Innanzitutto, la pronuncia qui in commento rammenta che ormai è superato il precedente indirizzo della Corte che considerava non ricorribili per cassazione i provvedimenti giudiziali sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori. Il nuovo orientamento pone l’accento sulla sostanza del provvedimento, pertanto ciò che occorre verificare è se questo possa ledere diritti soggettivi fondamentali, come il diritto alla vita familiare, garantito dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Il Collegio ha, quindi, chiarito che i provvedimenti che limitano significativamente la frequentazione possono violare il diritto alla bigenitorialità, che prevede la presenza attiva di entrambi i genitori nella vita del minore. Questo tema è cruciale per assicurare una crescita equilibrata del figlio, nel rispetto delle sue esigenze affettive ed educative. Inoltre, secondo la Corte di Strasburgo, eventuali restrizioni all’affidamento devono essere attentamente valutate per non interrompere il rapporto genitore-figlio. La Corte EDU ha sottolineato l’importanza di misure che assicurino contatti adeguati e frequenti tra figli e il genitore non convivente, proprio per evitare gravi danni a questa relazione fondamentale. La sentenza qui in commento stabilisce che i provvedimenti che regolano i tempi di frequentazione, qualora impongano restrizioni che possono protrarsi nel tempo e ledere il diritto alla vita familiare, sono ricorribili per cassazione. Questo principio è essenziale per proteggere il benessere dei minori e il loro diritto a mantenere una relazione stabile e continua con entrambi i genitori, anche in caso di separazione. Infatti, i tempi di permanenza dei minori presso il genitore non convivente devono di regola comprendere tutti i momenti della vita quotidiana del minore, anche se in misura proporzionalmente ridotta rispetto ai tempi di convivenza con l’altro genitore, e in essi vanno compresi i pernottamenti, salvo che si evidenzi uno specifico e attuale pregiudizio per il minore, in modo da consentire al genitore non convivente con il figlio di svolgere pienamente le sue funzioni di cura, educazione, istruzione e assistenza verso i figli. In relazione a ciò, c’è da dire che in passato, la corte di legittimità si è espressa nel senso che i provvedimenti che riguardano solo il diritto di visita o i tempi di permanenza non sono ricorribili per cassazione per difetto di definitività e decisorietà; si tratta però di un arresto sul quale si è innestata una successiva riflessione, orientata a valorizzare il criterio contenutistico, il quale impone di verificare su quale posizione giuridica incida in concreto il provvedimento, e segnatamente se si tratti di diritti soggettivi fondamentali che potrebbero essere irrimediabilmente pregiudicati dagli effetti della decisione. Si è così affermato, superando il precedente orientamento, peraltro non univoco, che i provvedimenti giudiziali che statuiscono sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori sono ricorribili per cassazione nella misura in cui il diniego si risolva nella negazione della tutela giurisdizionale a un diritto fondamentale, quello alla vita familiare, sancito dall’art. 8 CEDU, suscettibile di essere leso da quelle statuizioni che, adottate in materia di frequentazione e visita del minore, risultino a tal punto limitative ed in contrasto con il tipo di affidamento scelto, da violare il diritto alla bigenitorialità, inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione e istruzione della prole il cui rispetto deve essere sempre assicurato nell’interesse del minore. A questo orientamento il Collegio intende dare continuità, con la precisazione che il principio si applica, nel rito ratione temporis vigente, quando il provvedimento, come nel caso di specie, sia adottato a conclusione del giudizio, posto che la scelta del legislatore di consentire la impugnabilità anche dei provvedimenti provvisori, come stabilito dall’art. 473-bis.24 c.p.c., è norma innovativa, non suscettibile di applicazione anticipata né di orientare in senso convergente l’interpretazione della legge previgente. Osservazioni La locuzione “diritto di visita” non indica un diritto soggettivo autonomo rispetto al diritto alla relazione familiare, ma costituisce piuttosto una modalità di concreto esercizio del diritto stesso, in quanto attribuisce al genitore non convivente con il minore uno spazio e un tempo nell’ambito del quale egli può continuare a svolgere la funzione parentale, con le connesse responsabilità, e assolvere così alle funzioni di cura, educazione ed istruzione, stabilite dalla legge. La pari partecipazione dei genitori alla vita del minore e il diritto del minore alla bigenitorialità si attuano non tramite una meccanica suddivisione in parti uguali dei tempi di permanenza, ma in chiave funzionale, organizzando quello del minore in modo da consentire a entrambi i genitori di partecipare al suo sviluppo e alla sua formazione e di consolidare con lui un’autentica ed effettiva relazione familiare. La suddivisione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore è il frutto di una valutazione ponderata del giudice del merito, che partendo dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, deve tener conto anche del suo diritto a una significativa relazione con entrambi i genitori e il diritto di questi ultimi di esplicare, nella relazione con i figli, il proprio ruolo educativo Di conseguenza, pur se l’esigenza del minore di avere una stabile organizzazione di vita, di mantenere le sue abitudini e l’ambiente domestico che gli è consueto può comportare una suddivisione dei tempi non paritaria, lo spazio temporale della frequentazione con il genitore non convivente – salvo che quest’ultimo non sia totalmente inadeguato alla funzione – non può essere eccessivamente compresso e privato del tutto di momenti significativi (i pasti comuni, i pernottamenti) poiché la relazione familiare ne potrebbe risultare compressa. Inoltre, si consideri che l’art. 337-ter c.c., nell’enunciare il diritto del minore di mantenere, in caso di separazione dei genitori, un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi, pone l’accento sulla continuità del rapporto, intesa come caratteristica della relazione; pertanto possono giustificarsi, in casi particolari e ove risponda all’interesse del minore, sporadiche e temporanee limitazioni alla frequentazione tra genitore e figlio, ma non, di regola, la sua prolungata interruzione o la sua riduzione a tempi non rilevanti. La relazione familiare necessita, quindi, per inverarsi, di contatti periodici e adeguati tra genitori e figli, sì che non si lasci trascorrere il tempo senza, cioè, che questi contatti possano avere luogo. Nel caso specifico, la Corte di merito ha spiegato le ragioni per le quali non ritiene contrario all’interesse del minore il suo pernottamento presso il padre, purchè introdotto con modalità graduali. La Corte d’Appello, nel caso de quo, parte da una premessa particolarmente rilevante e cioè che è vigente l’affidamento condiviso del figlio minore che non viene messo in discussione dalla ricorrente, e quindi si può certo dire che vi è stata a monte una valutazione di pari idoneità dei genitori ad assumersi la responsabilità genitoriale, di cui non si chiede la revisione; di conseguenza la Corte distrettuale osserva che le allegazioni della ricorrente non solo non hanno trovato adeguato riscontro, ma risultano anche incoerenti rispetto alla domanda. |