Informativa interdittiva antimafia: legittima quando adottata senza la comunicazione prefettizia all’interessato per esigenze di celerità del procedimento

Redazione Scientifica Processo amministrativo
10 Giugno 2024

Ė legittima l'interdittiva antimafia, se la P.A. abbia ponderato le esigenze di celerità del procedimento rispetto alla gravità degli elementi indizianti e alla non occasionalità dell'agevolazione, che ad un esame congiunto hanno ragionevolmente indotto a ritenere che la collaborazione procedimentale pregiudizievole per gli interessi pubblici correlati alle esigenze di prevenzione amministrativa antimafia.

Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato si è pronunciato sul rapporto tra l'adozione dell'interdittiva  antimafia e il principio di partecipazione al procedimento amministrativo. Il TAR per la Campania respingeva il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti proposti dalla società appellante per l'annullamento del provvedimento interdittivo antimafia della Prefettura di Napoli, nonché del successivo provvedimento di conferma dell'interdittiva reso a seguito di istanza di aggiornamento.

L'appellante contestava, anche con riferimento agli artt. 6 e 13 CEDU e degli artt. 16,21,41,47,48 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, l'assenza di partecipazione al procedimento per l'adozione del citato provvedimento prefettizio ai sensi dell'art. 92, comma 2-bis e 94-bis d.lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia).

Al riguardo il Collegio ha dichiarato inammissibile la censura relativa all'assenza del contraddittorio propedeutico all'originaria informativa, visto che ha cessato i propri effetti, non è stata proposta domanda risarcitoria, né è stato dichiarato un interesse all'accertamento della sua illegittimità a fini risarcitori. Tale censura, in ogni caso, è stata dichiarata dal Collegio infondata nel merito, sulla base di quanto disposto dall'art. 92, comma 2-bis, Codice antimafia, che impone all'amministrazione un onere motivazionale rafforzato per dimostrare che le esigenze di celerità del procedimento, non rendono necessario il contraddittorio.

Il Collegio ha ritenuto dirimente l'adeguatezza della motivazione dell'amministrazione, che evitando formule di stile, ha ponderato le esigenze di celerità del procedimento in rapporto alla gravità degli elementi indizianti in ordine alla loro pericolosità, quale elemento legittimante l'esclusione della partecipazione procedimentale, alla luce della vigente disciplina dell'interdittiva antimafia. Nel caso di specie, l'Amministrazione, ha ritenuto che una ulteriore procedura partecipativa avrebbe prodotto un effetto dilatorio e non funzionale alla definizione del procedimento volto a prevenire infiltrazioni mafiose nello svolgimento di attività imprenditoriali con la pubblica amministrazione.

Sul punto, il Collegio, in linea con la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha affermato che tanto il modus operandi dell'amministrazione ha rispettato l'onere motivazionale rafforzato richiesto, in quanto gli elementi di pericolosità rilevati legittimano l'omissione della partecipazione procedimentale. Per di più, il Collegio ha osservato che l'impugnato provvedimento di conferma è stato emesso all'esito di un contraddittorio processuale tra le parti, durante il quale la società appellante aveva già rappresentato all'amministrazione le proprie ragioni, che, di conseguenza, ha svolto una nuova valutazione.

Dunque, il Collegio ha ritenuto legittima la valutazione prefettizia sul pericolo di infiltrazione, in relazione allo spessore criminale dei fatti indizianti raccolti. Per costante giurisprudenza la tenuta logica della motivazione dei provvedimenti prefettizi è la condizione necessaria e sufficiente per la legittimità del provvedimento prefettizio, non richiedendosi un accertamento probatorio ulteriore. I fatti valorizzati dall'ordinanza interdittiva devono essere valutati in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale, per valutare l'esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità a possibili tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata, secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell'amministrazione. Il presupposto per l'esercizio del potere prefettizio non implica l'intenzionale adesione dell'imprenditore al tentativo di infiltrazione, in quanto, l'esclusione della c.d. contiguità compiacente non esclude il pericolo di una contiguità soggiacente (Cons. Stato, n. 193/2024).

Quanto alla ritenuta inidoneità degli elementi investigativi raccolti a supportare il giudizio prognostico a fondamento dell'interdittiva antimafia, il Collegio osserva che occorre distinguere la differenza fra la prospettiva di valutazione degli atti di indagine nel processo penale e lo standard probatorio necessario all'accertamento della responsabilità penale (Art. 192, comma 3, c.p.c.), da quello per la formulazione di un pericolo infiltrativo mafioso a supporto dell'esercizio del potere di prevenzione amministrativa antimafia, che non richiede il raggiungimento di una soglia di accertamento probatorio ulteriore. In tale prospettiva il Collegio ha chiarito, altresì che, come affermato dalla giurisprudenza della Sezione, «i fatti sui quali si fonda l'interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo se compongono un quadro indiziario dal quale si può ritenere attendibile un condizionamento della criminalità organizzata».

Con riguardo alla richiesta di sollevare una questione pregiudiziale comunitaria d'interpretazione con riferimento alla interpretazione dei principi in materia di giusto processo ed alla conformità al diritto comunitario alla normativa in materia di informative antimafia, il Collegio non ha ritenuto di accedere alla domanda dell'appellante. In particolare, sulla partecipazione procedimentale il Collegio ha evidenziato che la Corte UE ha affermato che il diritto al contraddittorio procedimentale non implica una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, in funzione di obiettivi di interesse generale e non costituiscano un intervento sproporzionato; mentre, con riferimento alla normativa italiana in materia antimafia, la Corte UE ha ribadito che «il contrasto al fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici» (CGUE, 26 settembre 2019, in C-63/18, § 37).

Infine, il Collegio ha ritenuto manifestamente infondata la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale.

Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello con conferma della sentenza di primo grado impugnata.

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