Osservatorio antimafia - La decisione del Tribunale di prevenzione sull'istanza al controllo giudiziario non rileva nel giudizio di legittimità dell’interdittiva

14 Giugno 2024

Ai fini dello scrutinio di legittimità del provvedimento interdittivo antimafia non rileva la circostanza che, in sede penale, il Tribunale - Sezione Misure di Prevenzione – nel respingere la richiesta controllo giudiziario, ex art. 34 bis del D. Lgs. n. 159/2011, abbia ritenuto che in capo alla Società colpita da interdittiva non sia ravvisabile un rischio di infiltrazione mafiosa. In altri termini, la decisione del giudice penale, in sede di domanda di ammissione al controllo giudiziario – che nega la sussistenza di un rischio di permeabilità mafiosa a carico della ricorrente - non intacca il giudizio amministrativo, atteso che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenze nn. 6, 7 e 8/2023, ha affermato il principio di autonomia degli accertamenti di competenza del Tribunale della prevenzione penale rispetto a quelli svolti dall'autorità prefettizia in sede di rilascio delle informazioni antimafia, precisando che “nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza è quindi ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell'interdittiva antimafia e il controllo giudiziario” (cfr. Adunanza Plenaria n. 8/2023). 

Il caso. Nel caso di specie, la Prefettura di Napoli ha adottato il provvedimento interdittivo antimafia nei confronti della società ricorrente sulla scorta del legame parentale intercorrente tra il legale rappresentante di quest'ultima ed un soggetto, ritenuto elemento di vertice di un sodalizio mafioso, nonché detenuto in carcere al regime del 41-bis

La ricorrente ha adito il T.A.R. Campania, Napoli, per l'annullamento del provvedimento interdittivo, censurando il difetto di motivazione e istruttoria, atteso che, secondo la ricorrente, il provvedimento interdittivo si sarebbe basato unicamente sul mero legame parentale, trascurando la circostanza che non sussisterebbe nessuna sostanziale cointeressenza, neanche economica, tra il legale rappresentante della Società e il suindicato soggetto.

A seguito dell'impugnativa del provvedimento interdittivo, la ricorrente ha proposto al Tribunale di Napoli, Sezione Misure di Prevenzione, istanza, ex art. 34 bis, D. lgs. n. 159/2011, per l'ammissione al controllo giudiziario.

Il Giudice Penale ha rigettato la richiesta, sul dichiarato presupposto che ai fini dell'ammissione al regime previsto dall'art 34-bis è necessario che emerga almeno un'agevolazione mafiosa occasionale in capo alla Società. Nel caso di specie, tuttavia, secondo il Tribunale, in base all'istruttoria prefettizia, non sarebbe ravvisabile alcun elemento tale da far sospettare il rischio di permeabilità mafiosa, né tantomeno la citata agevolazione.

Parte ricorrente, pertanto, ai fini dell'accoglimento del ricorso avverso il provvedimento interdittivo, ha valorizzato, dinnanzi il Giudice Amministrativo, le conclusioni cui è addivenuto il Giudice Penale atteso che, de facto, quest'ultimo ha escluso in capo alla Società ricorrente il contestato rischio di infiltrazioni mafiose, posto a fondamento del provvedimento interdittivo dalla Prefettura.

La pronuncia del TAR. Con la sentenza in commento, il T.A.R. Campania ha, tuttavia, ritenuto infondate le censure formulate dalla ricorrente, respingendo il gravame.

In particolare, il Collegio ha dapprima richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, l'Amministrazione, nell'adozione dell'interdittiva, può dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari di un'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l'impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata.

In secondo luogo, con riferimento alla pronuncia del Tribunale di Napoli, Sezione Misure di Prevenzione, che ha escluso in capo alla società ricorrente un possibile condizionamento mafioso, l'adito T.A.R. ha affermato che la decisione del giudice penale non intacca il giudizio amministrativo, atteso che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenze nn. 6, 7 e 8/2023, ha definitivamente affermato il principio di autonomia degli accertamenti di competenza del Tribunale della prevenzione penale rispetto a quelli svolti dall'autorità prefettizia in sede di rilascio delle informazioni antimafia, precisando, altresì, che “nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza è quindi ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell'interdittiva antimafia e il controllo giudiziario” (cfr. Adunanza Plenaria n. 8/2023).

Conseguentemente, ha evidenziato il Collegio, la valutazione del rischio di inquinamento mafioso deve basarsi sul criterio del “più probabile che non”, cosicché gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione; di talché, la valutazione discrezionale del Prefetto risulta sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità , irragionevolezza e travisamento dei fatti.

Su tali premesse, il T.A.R. ha ritenuto che il complesso degli elementi evidenziati dalla Prefettura, unitamente al carattere preventivo e cautelare dell'informazione antimafia, conducono al rigetto del ricorso.

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