Effetti della allegazione della violenza domestica nei procedimenti civili e ai fini della dichiarazione di addebito della separazione

25 Giugno 2024

La violenza domestica è idonea a rendere di per sé intollerabile la convivenza e quali sono gli accorgimenti che il giudice deve avere per evitare la cosiddetta vittimizzazione secondaria?

Massima

L'accertamento dell'addebito non è escluso dall'esistenza di criticità e disaccordi esistenti prima del matrimonio, poiché la conflittualità è condizione diversa dall'intollerabilità della convivenza, la quale, se consistita in gravi violazioni degli obblighi matrimoniali, può portare alla pronuncia di addebito.

Deve essere dichiarata d'ufficio la nullità della sentenza che abbia esaminato la domanda di sospensione della responsabilità genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c. senza procedere alla nomina del curatore speciale del minore.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento per separazione giudiziale, in primo grado erano state respinte le reciproche domande di addebito, era stato disposto l'affidamento condiviso della figlia minore con collocamento presso la madre, ma con riserva di meglio dettagliare il diritto di visita del padre all'esito del “progetto” che il consultorio territorialmente competente avrebbe dovuto elaborare seguendo le indicazioni del CTU.

La moglie aveva impugnato la sentenza insistendo per la pronuncia di addebito della separazione al marito, nonché per l'affidamento esclusivo della figlia minore e divieto di visite da parte del padre, avanzando inoltre richiesta di sospensione del padre dall'esercizio della responsabilità genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c..

Il padre, con appello incidentale, aveva chiesto a sua volta l'affidamento esclusivo della figlia in suo favore.

La Corte di appello aveva respinto la domanda di addebito e di affidamento esclusivo, disponendo però l'affidamento della figlia minore ai Servizi Sociali del Comune, incaricati di dare esecuzione al progetto elaborato dalla CTU, organizzando percorsi individuali e congiunti dei genitori e un percorso di preparazione della minore e, all'esito, di organizzare incontri protetti fra la minore ed il padre, con onere di relazionare al giudice tutelare territorialmente competente con cadenza bimestrale.

La moglie ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che dalle risultanze dell'istruttoria espletata risultavano insussistenti i presupposti sia per l'affidamento della figlia al servizio sociale, sia per l'affidamento condiviso fra i genitori, dovendo quindi disporsi un affidamento super-esclusivo in favore della madre.

Con il secondo motivo, ha censurato la sentenza nella parte relativa alle disposizioni impartite al servizio sociale per violazione dei combinato disposto degli artt. 18 e 48 della Convenzione di Istanbul dell'11.5.2011 (ratificata dall'Italia con legge n. 77/2013) per aver previsto un percorso congiunto delle parti, quando dal combinato disposto delle norme suddette risulta un divieto al ricorso a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie nelle ipotesi di violenza, in tutte le forme previste dalla Convenzione suddetta.

La questione

La violenza domestica è idonea a rendere di per sé intollerabile la convivenza e quali sono gli accorgimenti che il giudice deve avere per evitare la cosiddetta vittimizzazione secondaria?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha confermato il consolidato orientamento sull'addebito della separazione, ribadendo che l'indagine sulla causa della intollerabilità della convivenza – necessaria ai fini della pronuncia di addebito – deve essere svolta dal giudice confrontando il comportamento osservato da entrambi i coniugi per verificare se e quale incidenza abbiano avuto le rispettive condotte nell'insorgere della crisi del rapporto (Cass., sez. I, sent. 14 novembre 2001, n. 14162), ma ha precisato che la violenza – sia fisica, sia morale – di un coniuge nei confronti dell'altro, costituisce una grave violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, tale da giustificare non solo la pronuncia di separazione personale - in quanto causa determinante l'intollerabilità della convivenza - ma anche la dichiarazione di addebito all'autore della violenza medesima.

Il giudice, infatti, deve operare il raffronto tra condotte sostanzialmente “omogenee”, mentre la violenza di un coniuge nei confronti dell'altro, in ragione della sua particolare gravità, non deve comparare il comportamento osservato dal coniuge che la violenza l'ha solo subìta.

Nel caso all'esame del giudice di legittimità, la corte territoriale aveva motivato il rigetto della domanda di addebito evidenziando che le denunce – querele erano state proposte dalla moglie in epoca successiva alla separazione di fatto e, per questo motivo, aveva ritenuto che non fossero rilevanti ai fini del decidere.

La Corte, invece, ha precisato che le violazioni dei doveri nascenti dal matrimonio connotate da particolare gravità sono sufficienti per una dichiarazione di addebito della separazione sia nell'ipotesi in cui si sia verificato un unico episodio di violenza, sia quando la violazione si sia verificata in epoca successiva rispetto all'insorgere della crisi nella coppia.

È stato quindi enunciato il seguente principio: «l'accertamento dell'addebito non è escluso dall'esistenza di criticità e disaccordi esistenti prima del matrimonio, poiché la connotazione di conflittualità del rapporto è diversa dalla situazione di vera e propria intollerabilità della convivenza, la quale, se è cagionata da violazioni di obblighi matrimoniali da parte di uno dei coniugi, può determinare l'addebito della separazione».

La presenza di semplici difficoltà, o di contrasti in epoca anche antecedente il matrimonio, pertanto, non deve portare ad escludere che l'intollerabilità della convivenza sia stata determinata causalmente da specifici comportamenti di uno dei coniugi.

Esaminando il secondo motivo, la Corte ha poi dichiarato d'ufficio la nullità della sentenza impugnata, in quanto il giudice di appello aveva esaminato la domanda di sospensione della responsabilità genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c. introdotta dalla moglie (poi rigettata) senza prima procedere alla nomina del curatore speciale della figlia minore.

Gli ermellini hanno evidenziato che nei procedimenti nei quali si discute dell'intervento dei servizi sociali nell'assunzione delle decisioni sull'affidamento dei figli minori si possono verificare due diverse condizioni:

- al servizio sociale possono essere attribuiti compiti di mera vigilanza, supporto e assistenza, senza porre alcuna limitazione alla responsabilità genitoriale;

- il minore viene affidato al servizio, in seguito ad un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale, previo accertamento della impossibilità di provvedere diversamente all'attuazione degli interessi morali e materiali del minore stesso.

Nel primo caso, il provvedimento giudiziale non incide sulla responsabilità genitoriale e, dunque, non occorre che al minore sia nominato un curatore speciale (a meno che non risulti un conflitto di interessi tra le parti); nella seconda ipotesi, invece, la decisione va a limitare l'esercizio della responsabilità genitoriale e, pertanto, è necessario nominare un curatore speciale del minore, affinché ne curi gli interessi, con specifica indicazione dei compiti attribuiti sia al curatore sia al servizio

Nel caso di specie, in primo grado era stato disposto l'affidamento condiviso della figlia e un semplice “intervento di supporto” da parte del consultorio, mentre all'esito dell'appello – sebbene la domanda di adozione di misure ablative o limitative della responsabilità genitoriale fosse stata respinta – la minore era stata comunque affidata “ai Servizi Sociali del Comune”.

La suprema corte ha richiamato il proprio orientamento consolidato – relativamente ai procedimenti antecedenti la recente riforma – in virtù del quale nei procedimenti aventi ad oggetto la limitazione, ablazione o restituzione della responsabilità genitoriale, al minore deve necessariamente essere nominato un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., in mancanza del quale il giudizio è nullo e la nullità è rilevabile d'ufficio, anche in sede di legittimità.

Il minore, infatti, nell'ipotesi suindicata è parte in senso formale del processo e il conflitto di interessi con i genitori deve ritenersi presunto (diversamente, nei giudizi in cui il minore è soltanto parte in senso sostanziale, la sussistenza del conflitto di interessi ai fini della nomina del curatore speciale deve essere valutata caso per caso).

La Corte ha infine precisato che in seguito alla dichiarazione di nullità della sentenza, “la rinnovazione degli atti dovrà tenere conto delle considerazioni svolte con il secondo motivo di ricorso”, ovvero la violazione delle norme della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e domestica dell'11 maggio 2011 (cosiddetta convenzione di Istanbul, ratificata dall'Italia con legge n. 77/2013).

La corte costituzionale in merito ha chiarito che l'art. 117, comma 1, della Costituzione, non attribuisce rango costituzionale agli accordi internazionali ratificati dall'Italia, ma impone solamente al legislatore di rispettare dette norme. Si determina, così un “rinvio mobile alla disposizione convenzionale di volta in volta conferente” che dà contenuto concreto agli obblighi internazionali richiamati dalla Costituzione.

Il giudice, pertanto, è tenuto a interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia consentito dal testo della legge; laddove, invece, il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", dovrà investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, comma 1, Cost. (Corte cost., sent. 24 ottobre 2007, n. 349).

Ciò premesso, poiché con legge n. 77/2013 l'Italia ha ratificato con Convenzione di Istanbul, di quest'ultima si deve tenere conto ai fini dell'interpretazione delle norme interne in senso ad essa conforme.

La Corte ha sottolineato che le disposizioni rilevanti, in materia di allegazione di violenza nei procedimenti civili, sono l'art. 3 (che definisce la "violenza domestica", ovvero tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner), l'art. 18 (che stabilisce che le parti devono adottare le necessarie misure legislative o di altro tipo per proteggere le vittime da nuovi atti di violenza e accertare che le misure adottate in virtù del presente capitolo mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria) e, infine, l'art. 48 (che impone alle parti di adottare le necessarie misure legislative o di altro tipo per vietare il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione).

Il richiamo all'assunzione di misure di "altro tipo", oltre a quelle legislative, volte a proteggere le vittime di violenza domestica, previsto all'art. 18 della Convenzione, impone agli stati contraenti di evitare che i processi possano diventare il luogo in cui si consuma la vittimizzazione secondaria, e, conseguentemente, nei processi civili sulla responsabilità genitoriale, in presenza dell'allegazione di fatti di violenza domestica, il giudice, nel momento in cui adotta i "provvedimenti convenienti" di cui all'art. art. 333 c.c., è tenuto a valutare la compatibilità delle misure adottate con il rischio che, nel caso concreto, si verifichino situazioni di vittimizzazione secondaria.

Prevedere colloqui congiunti tra i genitori, anche se alla presenza degli operatori dei servizi sociali, può dunque comportare il rischio che si verifichino ulteriori episodi di violenza, anche solo psicologica, che la Convenzione invece vuole evitare.

La sentenza impugnata aveva quindi omesso di valutare e verificare se la misura adottata fosse compatibile con l'esigenza di evitare, nel caso concreto, situazioni di vittimizzazione secondaria e la corte territoriale chiamata a decidere all'esito della nomina del curatore speciale, è stata invitata a tenere conto anche di tale aspetto.

Osservazioni

La decisione analizza gli effetti della allegazione della violenza domestica nei procedimenti civili sotto molteplici aspetti.

Da un lato, si afferma che la violenza costituisce violazione dei doveri derivanti dal matrimonio talmente grave da giustificare di per sé la pronuncia di addebito: in sintesi, la Corte ritiene che se nella fase iniziale della crisi coniugale può verificarsi che sussistano ancora margini di recupero del rapporto (e, dunque, si devono confrontare i rispettivi comportamenti per accertare se una determinata condotta possa avere reso definitiva la crisi), tale possibilità viene definitivamente meno quando si sono verificati episodi qualificabili come violenza, trattandosi di condotte che impediscono di fatto qualsiasi possibilità di ripresa del rapporto.

La pronuncia è anche l'occasione per una sintetica enunciazione dei principi posti alla base della recente riforma del diritto di famiglia.

Il d.lgs. n. 149/2022, infatti, ha introdotto nel nostro codice di rito specifiche disposizioni per la trattazione dei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie in cui siano allegate condotte di violenza domestica e di genere (art. 473-bis.40 e ss. c.p.c.) e nella motivazione si ricorda che nella relazione illustrativa si specifica che proprio la diffusione del fenomeno della violenza di genere e domestica ha indotto il legislatore delegante a prevedere numerosi principi finalizzati a evitare il verificarsi, nell'ambito dei procedimenti civili e minorili, di fenomeni di vittimizzazione secondaria.

Nell'ordinanza si è precisato che gli articoli 473-bis.39 e seguenti del codice di procedura non sono applicabili alla fattispecie sottoposta al suo esame, trattandosi di procedimento introdotto ante riforma, ma il richiamo all'efficacia nel nostro ordinamento delle convenzioni internazionali ha comunque consentito di fare diretta e immediata applicazione dei principi recentemente recepiti dalla riforma, sia pure con la peculiare forma dell'invito a tenerne conto rivolto al giudice del rinvio.

La doglianza, infatti, non è stata analizzata nel merito, avendo la Corte preliminarmente dichiarato la nullità della decisione per omessa nomina del curatore speciale della figlia minore, ma in concreto si sono già fornite indicazioni in merito alle valutazioni di effettuare allo scopo di evitare, in buona sostanza, un successivo ulteriore ricorso al giudice di legittimità.

Si legge infatti al capo quattro della motivazione: «va inoltre aggiunto, a quanto sopra statuito, che la rinnovazione degli atti dovrà tenere conto delle considerazioni svolte con il secondo motivo di ricorso, onde evitare un nuovo giudizio avanti a questa Corte che rinnovi le doglianze di cui al secondo motivo, non scrutinate nel merito».

Si precisa, infine, che anche le ipotesi di nomina – facoltativa o obbligatoria - del curatore speciale del minore sono state oggetto di riforma, dapprima con la legge delega n. 206/2021 che all'art. 1 commi 30 e 31, ha apportato modifiche immediate agli articoli 78 e 80 c.p.c., tipizzando le ipotesi di nomina del curatore speciale del minore e i casi in cui la nomina è necessaria a pena di nullità.

Successivamente, con il d.lgs. n. 149/2022 le norme suddette sono state abrogate e il contenuto è stato inserito nell'art. 473-bis.8 c.p.c., il quale dispone: «Il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d'ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento: a) nei casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell'altro; b) in caso di adozione di provvedimenti ai sensi dell'articolo 403 c.c. o di affidamento del minore ai sensi degli articoli 2 e seguenti della legge 4 maggio 1983, n. 184; c) nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori; d) quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni. In ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore...”

La fattispecie esaminata con la decisione in commento costituirebbe una ipotesi tipica dell'art. 473-bis 8 lettera a) e in proposito gli ermellini hanno precisato che, sebbene si tratti di giudizio introdotto in epoca antecedente la modifica (la legge n. 206/2021 è applicabile ai procedimenti introdotti successivamente al 22 giugno 2022), già in precedenza la giurisprudenza aveva stabilito che nei procedimenti in cui era svolta una domanda di decadenza – anche formulata da uno dei due genitori nei confronti dell'altro – si creasse un  conflitto di interessi tale da rendere necessaria la nomina di rappresentante processuale che facesse valere i diritti del minore nel procedimento.

In applicazione di tale consolidato principio giurisprudenziale - poi codificato con le disposizioni che hanno anticipato la recente riforma - si è quindi dichiarata, di ufficio, la nullità della decisione.

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