Archiviazione
17 Giugno 2024
Inquadramento Concluse le indagini preliminari (o scaduto il termine per il loro compimento), il pubblico ministero si trova di fronte a una scelta obbligata: esercitare l'azione penale oppure chiedere l'archiviazione del procedimento. Ai sensi dell'art. 50 c.p.p., il pubblico ministero esercita l'azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione. Prima di passare in rassegna i presupposti della richiesta di archiviazione, è doveroso premettere che tale richiesta è sottoposta al controllo del giudice per le indagini preliminari. Normalmente il controllo è effettuato de plano, salvo che il giudice non accolga la richiesta o la persona offesa si opponga. L'archiviazione può essere disposta:
2.1. Alla prima categoria appartiene l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato (art. 408 c.p.p.). In questo caso il giudice ritiene che gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentano di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca; in sostanza, il processo appare inutile in quanto, allo stato degli atti, è probabile la pronuncia di una sentenza di assoluzione (art. 408 c.p.p.). Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate ed i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. 2.2. Il giudice per le indagini preliminari può pronunciare l'archiviazione anche in base a presupposti di diritto (art. 411 c.p.p.) quando risulta che:
Quando si procede per uno dei delitti previsti dagli artt. 572, 582 e 583-quinquies, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 576, comma 1, n. 2, 5 e 5.1 e 577, comma 1, n. 1 e comma 2, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., copia del provvedimento che dispone l'archiviazione è trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all'esercizio della potestà genitoriale. La persona offesa dal reato Nell'ambito del procedimento di archiviazione, le possibilità di interferenza consentite alla persona offesa dal reato comprendono tutta una serie di diritti finalizzati, nel loro complesso, ad instaurare una forma di controllo sulla condotta del pubblico ministero, nonché la facoltà di chiedere al procuratore generale di disporre l'avocazione delle indagini preliminari (art. 413, comma 1, c.p.p.). Occorre precisare che tali diritti sono riconosciuti esclusivamente al titolare del bene giuridico leso o messo in pericolo dal reato e non al danneggiato, ossia colui che a seguito del reato abbia subito danni risarcibili. Ne consegue che nei reati che offendono esclusivamente beni collettivi o pubblicistici (es. delitti contro la fede pubblica) ai privati non è consentito opporsi alla richiesta di archiviazione e una eventuale istanza sarà dichiarata inammissibile. Più in dettaglio, all'offeso dal reato competono:
Quanto al primo di tali diritti, grava sul pubblico ministero l'obbligo di notificare l'avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa se: a) nella notitia criminis o successivamente alla sua presentazione, ha dichiarato di voler essere informata circa l'eventuale archiviazione, salvo che abbia rimesso la querela (art. 408, comma 2, c.p.p.); b) si proceda per un delitto commesso con violenza alla persona o per il reato di cui all'art. 624-bis c.p. (art. 408, comma 3-bis, c.p.p.), anche laddove la persona offesa non abbia richiesto previamente di essere informata.
Ai sensi dell'art. 408, comma 3, c.p.p., la persona offesa è avvisata che, nel termine di venti giorni (termine elevato fino a trenta giorni nel caso di delitti commessi con violenza alle persone e del delitto di cui all'art. 624-bis c.p.: art. 408, comma 3-bis, c.p.p.), può prendere visione degli atti e presentare opposizione motivata, da depositare presso la segreteria del pubblico ministero, chiedendo (e motivando in merito) la prosecuzione delle indagini preliminari. La persona offesa è altresì informata della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa Se l'archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto il pubblico ministero deve darne avviso alla persona offesa (anche se non ne ha fatto richiesta) e all'indagato, precisando che nel termine di dieci giorni possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta (art. 411, comma 1-bis, c.p.p.). In questo caso l'opposizione non deve fondarsi su deduzioni relative alla colpevolezza dell'indagato o su eventuali indagini suppletive, ma limitarsi ad esprimere le ragioni del dissenso in ordine alla ritenuta tenuità del fatto.
La Suprema Corte ha precisato che nessuna decadenza è prevista dalla legge processuale nel caso in cui la persona offesa non presenti l'opposizione nel termine di cui all'art. 408, comma 3, c.p.p. Pertanto, la mancanza dell'espressa previsione di una decadenza ex art. 173 c.p.p. conferisce al predetto termine natura meramente ordinatoria e non perentoria. In altri termini, l'opposizione può essere proposta fino a quando non sia intervenuta la decisione del giudice per le indagini preliminari. Semplicemente, finché questo termine è pendente, il pubblico ministero non è abilitato a trasmettere gli atti al giudice per le indagini preliminari (art. 126 disp. att. c.p.p.). Anzi, è nullo, per violazione dei termini del contraddittorio, il decreto di archiviazione emesso nelle more della scadenza del termine per presentare opposizione (Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2014, n. 39778). Se la persona offesa non presenta opposizione , il giudice effettua un controllo de plano e, se accoglie la richiesta presentata dal pubblico ministero, pronuncia decreto motivato di archiviazione (art. 409, comma 1, c.p.p.). Viceversa, se dissente e quindi non accoglie la richiesta di archiviazione, il giudice fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al pubblico ministero, alla persona offesa dal reato, all'indagato e, in virtù dell'art. 99 c.p.p., al suo difensore. Se la persona offesa presenta opposizione e questa risulta ammissibile, il giudice fissa la data dell'udienza in camera di consiglio facendo dare gli stessi avvisi visti sopra (art. 410, comma 3, c.p.p.). Se invece l'opposizione è inammissibile e la notizia di reato è infondata (se la ritiene fondata, il giudice deve fissare l'udienza ex art. 409, comma 2, c.p.p.), dispone de plano l'archiviazione con decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero (art. 410, comma 2, c.p.p.). Orientamenti a confronto
Nei suddetti casi in cui viene fissata l'udienza camerale il giudice dà inoltre comunicazione al procuratore generale presso la Corte d'appello, che può avocare il procedimento (artt. 409, comma 3 e 412, comma 2, c.p.p.). Una volta che venga disposta l'udienza, il procedimento si svolge in camera di consiglio (art. 127 c.p.p.) e nel contraddittorio eventuale delle parti; fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria ed i difensori hanno facoltà di estrarne copia. Cinque giorni prima dell'udienza (da intendersi liberi, ossia calcolati senza computare né il dies a quo né il dies ad quem) le parti possono depositare memorie nella cancelleria del giudice. Quali che siano state le modalità introduttive dell'udienza (motu proprio o su opposizione), il giudice può scegliere fra tre diversi provvedimenti:
L'espressione “indagini coatte”, coniata dalla dottrina, riguarda la situazione in cui il giudice, a seguito dell'udienza, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il loro svolgimento (art. 409, comma 4, c.p.p.). Il pubblico ministero è vincolato al compimento di tali indagini, ma gode di un potere discrezionale nello stabilire le concrete modalità di svolgimento delle stesse. Peraltro, svolte le indagini, il pubblico ministero può rivalutare la sua precedente richiesta ed esercitare l'azione penale, ma può anche insistere per la richiesta di archiviazione.
Il massimo grado di controllo da parte del giudice per le indagini preliminari si ha nell'ipotesi definita nella prassi di “imputazione coatta” (art. 409, comma 5, c.p.p.), in base alla quale il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l'imputazione. Il giudice, comunque, non può sostituirsi al pubblico ministero imponendogli di chiedere il rinvio a giudizio o indicandogli il reato per il quale formulare il capo di imputazione, trattandosi di adempimenti che spettano esclusivamente al pubblico ministero nella sua veste di titolare dell'azione penale. Questi, perciò, deve scegliere l'imputazione che ritiene conforme alla legge, sebbene sia vincolato a formularne comunque una.
Il decreto di archiviazione è nullo (art. 410-bis c.p.p.):
L'ordinanza di archiviazione è nulla solo nei casi previsti dall'art. 127, comma 5, c.p.p. In detti casi di nullità l'interessato può proporre reclamo innanzi al tribunale in composizione monocratica che provvede con ordinanza non impugnabile, senza intervento delle parti, le quali, avvisate della data dell'udienza, possono presentare memorie fino a cinque giorni prima dell'udienza. Se il reclamo è fondato, il giudice annulla il provvedimento e ordina la restituzione degli atti al giudice che ha emesso il provvedimento; altrimenti conferma il provvedimento o dichiara inammissibile il reclamo, condannando il reclamante al pagamento delle spese del procedimento e, in caso di inammissibilità, anche al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende. La richiesta di archiviazione per i reati commessi da ignoti Quando l'autore del reato è rimasto ignoto, l'istituto dell'archiviazione è disciplinato dall'art. 415 c.p.p. che, in forza del rinvio contenuto nell'art. 415, comma 3, c.p.p., deve essere integrato con le altre norme, in quanto applicabili, che disciplinano l'archiviazione nei confronti di indagati noti. Il procedimento di archiviazione qui contemplato mantiene qualche differenza rispetto al modello ordinario. Decorre, almeno in prima battuta, un termine funzionalmente diverso, di durata semestrale, computato sulla data di registrazione della notizia di reato, entro il quale il pubblico ministero, oltre a richiedere l'archiviazione, può procedere all'iscrizione nominativa, qualora sia venuto a conoscenza dell'identità dell'autore, oppure chiedere l'autorizzazione a proseguire le indagini. La richiesta di archiviazione per i reati commessi da ignoti è sottoposta ad un controllo giurisdizionale simile a quello visto in precedenza. Il pubblico ministero deve avvisare della richiesta di archiviazione la persona offesa che ne abbia fatto richiesta, ovvero nel caso di reati con violenza alla persona o del delitto di ci all'art. 624-bis c.p., informandola che, nel termine di venti (o trenta) giorni, può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari.
Se la persona offesa non presenta opposizione, il giudice può accogliere de plano la richiesta del pubblico ministero; se invece presenta opposizione ovvero se il giudice dissente dalla richiesta di archiviazione, deve svolgersi una udienza camerale. Il giudice fa dare avviso della data dell'udienza al pubblico ministero, alla persona offesa ed al suo difensore. A seguito dell'udienza il giudice può adottare tre diversi provvedimenti:
La riapertura delle indagini Il decreto di archiviazione, pur essendo assistito da una tendenziale stabilità, non acquista mai forza di giudicato. Infatti, su richiesta del pubblico ministero, motivata dall'esigenza di nuove investigazioni, il giudice può autorizzare con decreto motivato la riapertura delle indagini per il medesimo fatto (art. 414 c.p.p.). Ottenuta l'autorizzazione, il pubblico ministero procede a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato. La riapertura delle indagini non necessita della sopravvenienza o scoperta di nuove fonti di prova, al pari della revoca della sentenza di non luogo a procedere, ma è sufficiente che il pubblico ministero prospetti un nuovo profilo di indagine, anche se scaturito da una diversa interpretazione degli elementi già acquisiti. Basta, dunque, una rivisitazione complessiva degli atti già presenti nel fascicolo delle indagini preliminari, ma occorre prestare attenzione per evitare che l'istituto non si risolva in un'automatica restituzione in termini a favore del pubblico ministero. Per evitare ciò, la riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022) ha previsto che la richiesta di riapertura delle indagini debba essere respinta quando non è ragionevolmente prevedibile la individuazione di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possano determinare l'esercizio dell'azione penale. Un eventuale diniego della richiesta di riapertura delle indagini non è impugnabile. Va precisato che la riapertura delle indagini è un passaggio obbligato se il pubblico ministero intende continuare a investigare perché gli atti di indagine compiuti in mancanza del provvedimento di riapertura delle indagini sono inutilizzabili, come stabilito dall'art. 414, comma 2-bis, c.p.p., introdotto dalla riforma Cartabia, che sul punto ha codificato il diritto vivente (si veda Cass. pen., sez. un., 24 giugno 2010, n. 33885).
Qualora sopravvenga la condizione di procedibilità rispetto ad una notizia di reato precedentemente archiviata per difetto della stessa, l'azione penale è riproponibile senza che sia necessario attivare il meccanismo della riapertura delle indagini (art. 345, comma 1, c.p.p.). |