Esito infruttuoso per mancato funzionamento della casella PEC della cancelleria: il deposito va ripreso entro 20 giorni

Antonio Scalera
17 Giugno 2024

Se il deposito telematico dell'atto (controricorso per cassazione) non va a buon fine perché effettuato presso un indirizzo PEC non più utilizzato dalla cancelleria della Corte, il depositante deve riprendere la procedura di deposito entro 20 giorni da quello in cui egli ha appreso dell'esito infruttuoso del primo deposito; la rinnovazione dell'atto in tal caso impedisce la decadenza e gli effetti del nuovo deposito - una volta che sia stato effettuato in modo positivo - retroagiranno alla data della prima ricevuta di avvenuta consegna (RdAC).

I fatti di causa

La Banca Popolare di B. mutuò alla società A.C. s.r.l. la somma di euro 700.000, da impiegare per la costruzione di un immobile diviso in più appartamenti. Il debito della società A.C. verso la banca fu garantito da un'ipoteca sull'immobile da realizzare, per l'importo di euro 1.400.000 e da tre fideiussioni prestate da A.C., G.C. e D.C., per l'importo massimo di euro 700.000 ciascuno. Ultimati i lavori, la società A.C. s.r.l. vendette alcuni degli appartamenti realizzati e gli acquirenti si accollarono la frazione corrispondente di mutuo. Nel 2009 la società A.C. e i due dei suoi fideiussori (nonché soci) convennero dinanzi al Tribunale di Trani la Banca, esponendo che:

  • in seguito alla vendita di alcuni degli appartamenti compresi nell'immobile costruito dalla A.C. s.r.l., il debito di quest'ultima verso la banca si era ridotto a 178.745,49 euro;
  • la società debitrice ed i suoi debitori avevano chiesto alla Banca di consentire la riduzione dell'ipoteca e la “eliminazione e/o annullamento” delle fideiussioni;
  • la Banca aveva negato la riduzione, continuando a “segnalare alla Centrale Rischi” l'esistenza delle suddette garanzie per il suindicato importo, così pregiudicando l'accesso al credito sia alla società che ai suoi garanti.

Gli attori conclusero, perciò, chiedendo che fosse accertata la sussistenza dei presupposti per la riduzione dell'ipoteca e la condanna della Banca al risarcimento del danno.

Il Tribunale di Trani ordinò che l'ipoteca prestata dalla A.C. s.r.l. fosse ridotta ad euro 800.000; rigettò la domanda di danno; compensò per metà le spese di lite.

La sentenza fu appellata dagli attori.

Gli appellanti dedussero, tra l'altro, che erroneamente il Tribunale, per calcolare la somma di cui la società A.C. s.r.l. era ancora debitrice verso la Banca, aveva calcolato anche la parte di debito accollata dagli acquirenti delle unità immobiliari.

La Corte d'appello di Bari rigettò il gravame ritenendo che:

  • la vendita degli appartamenti ed il frazionamento dell'ipoteca non avevano ridotto l'esposizione della A.C. s.r.l. verso la Banca, ma avevano solo “mutato il soggetto tenuto al pagamento”;
  • gli attori non avevano “né dedotto, né documentato” se l'accollo pro quota del mutuo da parte dei compratori dei singoli appartamenti fosse liberatorio o meno;
  • in mancanza di tale prova, non poteva ritenersi che il debito della A.C. s.r.l. verso la Banca si fosse estinto nella misura da questa pretesa;
  • i contratti di fideiussione espressamente prevedevano che la garanzia permanesse anche nel caso di accollo del mutuo da parte di terzi, sicché legittimamente la Banca aveva rifiutato di ridurre il massimale garantito dai fideiussori;
  • correttamente il Tribunale aveva rigettato la domanda di danno: sia perché non vi era prova di esso, sia perché la condotta della Banca consistita nel segnalare alla Centrale Rischi l'esistenza delle fideiussioni “non indicava una situazione di sofferenza”, sicché se davvero la A.C. non poté avere accesso al credito negli anni 2003-2007, ciò dovette dipendere da altre cause;
  • avendo il Tribunale accolto solo alcune delle domande attoree, legittimamente aveva compensato le spese di lite per metà.

La sentenza d'appello è stata impugnata per Cassazione dalla A.C. s.r.l., da A.C. e da G.C. con ricorso unitario fondato su quattro motivi.

L'istanza di rimessione in termini della Banca

La Banca, dopo avere notificato il controricorso, ha depositato due istanze di remissione in termini per il deposito del controricorso (una nel 2021, l'altra nel 2024).

In esse ha dedotto che: il controricorso fu depositato telematicamente all'indirizzo “cassazione@civile.ptel.giustiziacert.it”, indirizzo “generato automaticamente dal redattore di atti” e cioè il software “SL-pct”; il depositante, dopo avere ricevuto il messaggio di “avvenuta consegna”, non ricevette nessun ulteriore messaggio di superamento dei controlli automatici e manuali (c.d. “terza” e “quarta” busta); solo successivamente, nel richiedere informazioni in cancelleria, la società controricorrente apprese che nessun ricorso risultava pervenuto.

Dagli atti del processo telematico e da quelli depositati dalla controricorrente risulta che il ricorso per cassazione fu notificato alla Banca il 23 aprile 2021 e che la Banca ha ritualmente notificato il proprio controricorso alla società ricorrente in data 3 giugno 2021 (e dunque tempestivamente, essendo il 2 giugno, ultimo giorno utile, festivo).

Il deposito del ricorso fu poi eseguito telematicamente il 22 giugno 2021 con PEC spedita all'indirizzo cassazione@civile.ptel.giustiziacert.it invece che all'indirizzo cassazione@ptel.giustiziacert.it.

In seguito alla spedizione della PEC contenente il controricorso, la società oggi controricorrente ricevette due messaggi:

  • il messaggio di “accettazione”, proveniente dall'indirizzo postacertificata@pec.aruba.it;
  • il messaggio di “avvenuta consegna nella casella di destinazione”, proveniente dall'indirizzo posta-certificata@telecompost.it.

Non ricevendo conferma dell'avvenuto superamento dei controlli sulla regolarità formale del deposito, la Banca il 18 luglio 2021 ha depositato istanza di rimessione in termini per il deposito del ricorso.

Ad essa, tuttavia, ha allegato il messaggio di posta elettronica col quale fu tentato il primo deposito ed a tale messaggio, a sua volta, è allegato il controricorso, leggibile.

Ritiene il Collegio che non debba provvedersi sull'istanza di rimessione in termini, perché il deposito del controricorso avvenuto il 18 luglio 2021, in una con l'istanza di rimessione in termini, deve dirsi tempestivo.

La disciplina vigente ratione temporis sul deposito telematico degli atti

Secondo la normativa vigente ratione temporis (2021), il deposito telematico di atti del processo civile avvia una procedura informatica all'esito della quale il depositante deve ricevere quattro messaggi di posta elettronica certificata (PEC):

  • il messaggio che attesta l'inoltro del deposito (ricevuta di accettazione, comunemente detta “RAC”);
  • il messaggio di avvenuta consegna del messaggio al server di posta elettronica dell'ufficio giudiziario ricevente (ricevuta di avvenuta consegna, comunemente detta “RdAC”);
  • il messaggio attestante il superamento dei controlli automatici e formali da parte del gestore del sistema informatico dell'ufficio giudiziario ricevente (c.d. “terza PEC”);
  • il messaggio attestante il superamento dei controlli manuali, a cura della Cancelleria dell'ufficio giudiziario ricevente, e la definitiva accettazione del deposito e conseguente visibilità al giudice ed alle controparti (c.d. “quarta PEC”).

Tuttavia l'art. 13, comma 2, del d.m. 21 febbraio 2011 n. 44 (inutilmente ribadito dall'art. 16-bis, comma 7, d.l. 18 ottobre 2012 n. 179), nel testo applicabile all'epoca dei fatti di causa (2021), da un lato prevedeva che il deposito telematico di atti giudiziari nel processo civile si intendesse ricevuto dall'ufficio «nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia»; e dall'altro (art. 13, comma 7, d.m. n. 44/2011) stabiliva che «il gestore dei servizi telematici restituisce al mittente l'esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia nonché dagli operatori della cancelleria o della segreteria, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'art. 34».

Le soluzioni giurisprudenziali ai problemi posti dalla normativa ratione temporis applicabile

Queste previsioni posero agli interpreti due problemi.

Il primo problema fu stabilire se fosse tempestivo il deposito d'un atto processuale quando il sistema avesse generato solo le prime due PEC, ma non le altre; oppure quando il sistema, dopo avere generato una ricevuta di avvenuta consegna formalmente regolare, rifiutasse il deposito all'esito dei controlli automatici (terza PEC) o manuali (quarta PEC).

Il secondo problema ingenerato dalla normativa sopra ricordata fu stabilire quali rimedi avesse la parte che, incolpevolmente, soltanto dopo la scadenza del termine per il deposito dell'atto venisse a conoscenza del mancato superamento dei controlli formali e manuali.

Al primo di tali problemi la S.C. ha da tempo dato soluzione affermando due princìpi:

  • il deposito telematico degli atti giudiziari si perfeziona nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di avvenuta consegna (“RdAC”);
  • tuttavia la rituale ricezione della ricevuta di avvenuta consegna ha solo un effetto “prenotativo”; l'efficacia del deposito resta infatti subordinata al superamento dei successivi controlli automatici e manuali; se questi andranno a buon fine, il deposito si riterrà compiuto sin dal momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna; se invece i suddetti controlli non andassero a buon fine, invece, il deposito non potrà dirsi effettuato (Cass. civ. n. 32822/2023Cass. civ., sez. un., n. 28403/2023Cass. civ. n. 17404/2020, con ampia motivazione).

Al secondo dei problemi (quali rimedi abbia la parte che sia incolpevolmente decaduta dalla facoltà di depositare l'atto, a causa della mancata o tardiva generazione della terza o della quarta PEC), la S.C. ha dato soluzione prevedendo due possibilità.

La prima consiste nella ripresa della procedura di deposito, entro 20 giorni da quello in cui il depositante abbia appreso dell'esito infruttuoso del primo deposito. La rinnovazione dell'atto in tal caso impedisce la decadenza, e gli effetti del nuovo deposito - una volta andato a buon fine - retroagiranno alla data della prima RdAC (Cass. civ. n. 2972/2024Cass. civ. n. 1348/2024Cass. civ. n. 28176/2023Cass. civ. n. 6743/2021Cass. civ. n. 17328/2019).

La seconda possibilità consiste nel domandare la rimessione in terminiex art. 153 c.p.c., se siano risultate incolpevoli sia la violazione del termine per il deposito, sia la mancata ripresa della procedura (Cass. civ. n. 1348/2024).

La fattispecie in esame

Nel caso di specie, la Banca controricorrente depositò il controricorso nei termini (22 giugno) e ricevette la ricevuta di avvenuta consegna. Non ricevette però né la terza, né la quarta PEC. Si attivò allora per acquisire informazioni e scoprì che il deposito era stato effettuato ad un indirizzo già in uso in passato alla Corte di cassazione (cassazione@civile.ptel.giustiziacert.it), ma non più attivo al momento del deposito, in quanto sostituito dal diverso indirizzo cassazione@ptel.giustiziacert.it. Ha, di conseguenza, depositato istanza di rimessione in termini il 18 luglio 2021, ovvero 26 giorni dopo il primo tentativo.

A fronte di questi fatti la S.C. ritiene che:

  • l'insuccesso del primo tentativo di deposito fu incolpevole, alla stregua della non piena linearità delle informazioni in concreto disponibili da parte del depositante al momento in cui aveva eseguito il deposito;
  • la Banca abbia ripreso la procedura di deposito in un termine che può, in relazione alle circostanze del caso ed alle concrete modalità di funzionamento del processo civile telematico dinanzi alla Suprema Corte, ragionevole;
  • il controricorso depositato in una con l'istanza di rimessione in termini ha prodotto, pertanto e comunque, gli effetti di un rinnovato e tempestivo deposito.

Le valutazioni della S.C. sull'incolpevolezza del primo deposito infruttuoso

L'insuccesso del primo tentativo di deposito deve ritenersi incolpevole per due ragioni.

La prima ragione è che, sebbene il Ministero della giustizia con comunicato del 30 maggio 2017 rese noto che, a decorrere dal 19 giugno 2017, le comunicazioni e notificazioni della Corte Suprema di Cassazione sarebbero state inviate dall'indirizzo cassazione@ptel.giustiziacert.it e che il vecchio indirizzo (cassazione@civile.ptel.giustiziacert.itsarebbe rimasto in uso fino alle ore 15 del 15 giugno 2017, in realtà il secondo dei suddetti indirizzi rimase in uso ancora per lungo tempo ed i messaggi di posta elettronica ad esso inviati non generavano messaggi di errore, ma regolari ricevute di avvenuta consegna (si vedano le identiche fattispecie decise da Cass. civ. n. 2972/2024 e Cass. civ. n. 28176/2023, nonché Cass. civ., ord. interlocutoria n. 33038/2022).

La seconda ragione è che deve ritenersi scusabile l'errore provocato da un software (nella specie, SL-pct), quando l'utente non sia in grado con l'ordinaria diligenza esigibile da un individuo medio (non potendo pretendersene un grado di aggiornamento o una competenza tecnica speciale in un settore che risulta ancora connotato da un forte tecnicismo e non certo da una immediata evidenza od intuitività delle modalità di funzionamento, almeno fin quando il periodo di implementazione e di effettiva sperimentazione ed uso non abbia posto in grado l'utente medio di rendersi conto con relativa facilità delle problematiche sottese, secondo un giudizio che deve necessariamente riferirsi alle peculiarità della singola fattispecie) di prevenirlo o intercettarlo.

Le valutazioni della S.C. sulla tempestività della ripresa della procedura di deposito

Tempestiva, altresì, deve ritenersi la ripresa della procedura di deposito da parte della società controricorrente.

Nel caso di deposito telematico di atti processuali, mentre la prima e la seconda PEC sono generate dal sistema illico et immediate, la terza e la quarta PEC possono nei fatti pervenire al depositante anche a distanza di giorni, ed in qualche caso di mesi.

Questo sistema (oggi superato dal d.m. 29 dicembre 2023, n. 217) aveva l'inconveniente di costringere il depositante ad attendere i messaggi attestanti il superamento dei controlli automatici e manuali, senza alcuna certezza sul se e sul quando gli sarebbero pervenuti, e con il rischio di apprendere dell'esito infruttuoso del deposito dopo la scadenza del termine per eseguirlo.

Per ovviare a tale situazione il Ministero della Giustizia, con la Circolare 23 ottobre 2015, sez. 5, ricordò agli uffici giudiziari come dovesse «assolutamente escludersi che possano trascorrere diversi giorni tra la data della ricezione di atti o documenti e quella di accettazione degli stessi da parte della cancelleria» e raccomandò che l'accettazione del deposito telematico di atti processuali avvenisse «entro il giorno successivo a quello di ricezione da parte dei sistemi del dominio giustizia».

Una raccomandazione di questo tipo, per la fonte da cui promanava e per la pubblicità che ebbe, secondo la giurisprudenza, suscitò nelle parti un ragionevole affidamento sul fatto che l'esito del deposito telematico sarebbe stato loro reso noto il giorno successivo alla effettuazione del medesimo e, conseguentemente, sul fatto che eventuali anomalie della procedura di deposito telematico, o anche errori da loro compiuti nell'esecuzione della stessa, sarebbero emerse al più tardi il giorno lavorativo successivo al deposito.

Nel caso di specie, come accennato, la Banca effettuò un nuovo deposito del controricorso (in allegato alla istanza di rimessione in termini) 26 giorni dopo il primo tentativo, che aveva generato una RdAC formalmente regolare. Poiché il termine per il deposito (20 giorni) in simili casi secondo la giurisprudenza di questa Corte va fatto decorrere dal momento in cui il depositante ha incolpevole contezza dell'esito infruttuoso del primo deposito (così sez. 3, ordinanza n. 2972 del 1° febbraio 2024), ritiene il Collegio che sei giorni di attesa, prima di accertarsi dell'esito d'un deposito a fronte del “silenzio” della Cancelleria dell'ufficio giudiziario, siano un termine non irragionevole, in relazione al contesto appena descritto.

Sicché l'avvenuto deposito del controricorso entro il ventesimo giorno da tale momento deve ritenersi tempestivo.

L'accoglimento del secondo motivo di ricorso

Risolta la questione relativa alla tempestività del controricorso, la S.C. passa ad esaminare i motivi del ricorso principale, accogliendo solo il secondo di essi.

Il motivo accolto concerne la posizione di A. e G.C. Esso, sebbene formalmente unitario, contiene plurime censure.

Con una prima censura, il ricorrente denuncia la “contraddittorietà della motivazione”, per avere da un lato accertato che l'obbligazione principale garantita dai due fideiussori ascendeva ad euro 413.968, e dall'altro ritenuto che il massimale garantito di euro 700.000 non fosse eccessivo rispetto al credito garantito.

Con un secondo gruppo di censure, i ricorrenti sostengono che erroneamente la Corte d'appello «non ha disposto la riduzione delle fideiussioni in misura almeno pari al credito ancora vantato dalla banca al momento dell'introduzione del giudizio di primo grado, che la stessa Corte d'appello ha quantificato in euro 413.968, a fronte di fideiussioni prestate fino alla concorrenza di euro 700.000».

Con tale decisione - sostengono i ricorrenti - la Corte d'appello ha violato l'art. 1941 c.c., e comunque ha falsamente applicato i princìpi in materia di correttezza e buona fede.

La prima delle suesposte censure è fondata, sicché le restanti ne restano assorbite.

I ricorrenti nell'atto introduttivo del giudizio chiesero due cose:

  • “accertare e dichiarare” che la Banca segnalava alla Centrale Rischi “le fideiussioni in misura eccedente l'importo effettivo dell'obbligazione principale”;
  • condannare la Banca al risarcimento del danno causato da tale condotta.

Decidendo sulla prima domanda, la Corte d'appello ha ritenuto che l'importo della fideiussione non eccedesse quello dell'obbligazione principale.

Ha osservato la Corte d'appello che l'obbligazione principale ammontava ad euro 413.968 cui andavano aggiunti “gli interessi, spese ed oneri accessori”, e che di conseguenza non vi era un “sostanziale divario” tra il massimale garantito dal fideiussore e “quanto effettivamente dovuto dal debitore garantito”.

L'affermazione della Corte d'appello è corretta in punto di diritto, in quanto la garanzia fideiussoria comprende capitale, interessi e spese.

Tuttavia gli “interessi e le spese” garantiti dal fideiussore non possono che essere quelli di mora e di esazione.

Ma né la sentenza impugnata, né quella di primo grado, né la società controricorrente dànno conto dell'esistenza, a carico del debitore principale, di mora o di procedure esecutive. Sicché l'affermazione secondo cui non esisterebbe un “sostanziale divario” tra l'obbligazione principale (euro 413.968) e il massimale garantito dai fideiussori (euro 700.000), riesce inspiegabile.

La motivazione con la quale la Corte d'appello ha rigettato il motivo di gravame proposto dai due fideiussori oggi ricorrenti si colloca dunque al di sotto di quel “minimo costituzionale” che, secondo le Sezioni Unite, rappresenta l'ultima Thule oltre la quale la sentenza non solo deve dirsi nulla, ma affetta d'una nullità ancor oggi sindacabile dalla S.C.

(fonte: dirittoegiustizia.it)

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