Rito Covid e prolungamento del termine per impugnare nei confronti dell’imputato assente
03 Luglio 2024
All'interno delle numerose novelle introdotte dalla riforma Cartabia, si segnala l'ampliamento di 15 giorni dei termini per impugnare concesso al difensore dell'imputato giudicato in absentia (art. 585, comma 1-bis, c.p.p.). Sotto il profilo del diritto intertemporale, l'art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150/2022, stabilisce che «Le disposizioni degli artt. 157-ter comma 3, 581, commi 1-ter, 1-quater, e 585, comma 1-bis c.p.p. si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto». Ebbene, per il giudice di nomofilachia, il collegato incremento del termine per impugnare sono da applicarsi solo in relazione ai processi nei quali la sentenza è stata pronunciata dopo l'entrata in vigore della riforma, dunque dal 30 dicembre 2022 (Cass. pen., sez. V, n. 37789/2023), Negli stessi stermini, è stato respinto il motivo di ricorso con cui veniva affermato che il nuovo termine nella fase transitoria di applicazione della riforma ai procedimenti pendenti avrebbe dovuto computarsi a partire dalla data di deposito della sentenza da appellare e non dalla data di emissione. Scelta razionale in quanto l'ancoraggio eventuale alla data del deposito sarebbe passibile di un'incertezza temporale legata al compimento effettivo degli adempimenti del giudice e di cancelleria (Cass. pen., sez. V, n. 6422/2024). La Suprema corte ha, tuttavia, precisato che tale aumento di 15 giorni non si applica con riguardo all'appello avverso sentenza emessa in esito a giudizio abbreviato richiesto dal procuratore speciale dell'imputato, da intendersi presente in giudizio in ragione della scelta del rito effettuata, essendo irrilevante che la sentenza lo abbia indicato assente (Cass. pen., Sez. III, n. 43835/2023). Quest'ultima ipotesi - si legge nella sentenza - rappresenta un caso di «presenza ex lege» (essendovi «garanzia assoluta della conoscenza dell'esercizio dell'azione penale, dell'imputazione e della celebrazione del processo») che non può essere paragonato a quello dell'assente, motivo per cui la Suprema corte ha ritenuto di non dover sollevare sul punto una questione di legittimità costituzionale. La Suprema Corte ha specificato che l'ampliamento dei termini per impugnare non può essere concesso qualora il giudizio sia stato celebrato col “rito Covid” (Cass. pen., sez. III, n. 8658/2024). Si è statuito che la previsione di cui all'art. 585, comma 1-bis, c.p.p. non è applicabile per il ricorso in cassazione avverso le pronunce rese all'esito di giudizio di appello celebrato in udienza camerale non partecipata nel vigore del rito emergenziale di cui all'art. 23-bis d.l. n. 137/2020 (come convertito), se la dichiarazione di assenza non è stata effettuata nelle modalità previste agli artt. 420 e 420-bis c.p.p. (così anche, Cass. pen., sez. VII, n. 1585/2024). Si tratta infatti di udienza che non prevede la partecipazione delle parti processuali sicché l'imputato non può ovviamente considerarsi “assente”. Pertanto, se giudizio di appello è stato trattato con procedimento camerale non partecipato e non è stata avanzata tempestiva istanza di partecipazione ex art. 598, comma 2, c.p.p., l'imputato appellante non può considerarsi "giudicato in assenza", in quanto, in tal caso, il processo è celebrato senza la fissazione di un'udienza alla quale abbia diritto di partecipare, sicché, ai fini della presentazione del ricorso per cassazione, lo stesso non potrà beneficiare dell'aumento di quindici giorni del termine per l'impugnazione previsto dall'art. 585, comma 1-bis, c.p.p. (sez. VI, n. 49315/2023). Ad avviso del Collegio la questione va esaminata alla luce della nuova disciplina dell'assenza dell'imputato nel giudizio di appello. La riforma del 2022 ha, infatti, introdotto all'art. 598-ter c.p.p. una peculiare disciplina in cui le disposizioni generali in tema di assenza, contenute all'art. 420-bis c.p.p., vengono ad integrarsi con le diverse forme di trattazione del giudizio di appello, ovvero in camera di consiglio con la partecipazione delle parti (artt. 599), in pubblica udienza (art. 602) o in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti (art. 598-bis c.p.p.). Con riferimento alle prime due forme di trattazione del giudizio di appello, l'art. 598-ter disciplina diversamente l'assenza dell'imputato a seconda che questi rivesta o meno la posizione di appellante. Per l'imputato appellante il comma 1 prevede, infatti, che qualora egli non sia presente all'udienza di cui agli artt. 599 e 602, «è sempre giudicato in assenza anche fuori dai casi di cui all'art. 420-bis». La ratio di tale disposizione può essere individuata analizzando congiuntamente la nuova disciplina della forma dell'impugnazione introdotta dal d.lgs. n. 150/2022 ai commi 1-ter e 1-quater dell'art. 581. In particolare, al comma 1-quater si prevede che per l'imputato giudicato in assenza sia necessario che all'atto di impugnazione sia allegato (a pena di inammissibilità dell'impugnazione) specifico mandato ad impugnare che deve essere rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenere la dichiarazione o elezione di domicilio dell'imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Dal combinato disposto di tale disposizione con l'art. 598-ter c.p.p. emerge, dunque, che attraverso tale disciplina il legislatore abbia inteso correlare l'ammissibilità dell'impugnazione proposta dall'imputato giudicato in assenza ad elementi sintomatici della conoscenza con certezza della pendenza del processo a suo carico e della sentenza che definisce il grado di giudizio, cosicché, una volta verificata la sussistenza dello specifico requisito di forma dell'impugnazione correlato alla data del mandato difensivo ed al suo contenuto, il giudice di appello potrà procedere in assenza anche nel caso in cui manchino le condizioni previste dall'art. 420-bis commi 1, 2 e 3 c.p.p. In tal caso, infatti, l'assenza in udienza dell'imputato può con certezza ascriversi ad una sua scelta difensiva volontaria e consapevole, riconducibile ad una tacita rinuncia al diritto di presenziare al processo. Tale conclusione trova riscontro anche nel considerando n. 35 della direttiva UE 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, in cui si chiarisce che il diritto degli indagati e imputati di presenziare al processo non è assoluto, ma, a determinate condizioni, questi possono rinunciarvi, esplicitamente o tacitamente, purché in modo inequivocabile. Una diversa disciplina è, invece, prevista in caso di mancata partecipazione dell'imputato non appellante all'udienza camerale "partecipata" o a quella pubblica. In tal caso, infatti, mancano gli indici sintomatici di conoscenza certa della pendenza del processo e della sentenza correlati alla presentazione dell'impugnazione, cosicché l'assenza all'udienza assume un valore equivoco. Per tale ragione, l'art. 598-ter, comma 2, prevede che, una volta verificata la regolarità della notificazione, il giudice di appello è tenuto a valutare se sussistono le condizioni per procedere in sua assenza ai sensi dell'art. 420-bis commi 1, 2 e 3 c.p.p. Ove tale accertamento abbia un esito negativo, il legislatore della riforma ha previsto una peculiare disciplina rispetto a quella prevista per il giudizio di primo grado. Mentre, infatti, in tale ultimo caso il giudice emette sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo (art. 420-quater c.p.p.), nel caso del giudizio di appello la corte dispone, invece, con ordinanza, la sospensione del processo e l'esecuzione delle ricerche dell'imputato non appellante ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. In tal caso, inoltre, ai sensi dell'art. 344-bis, comma 6, terzo periodo, c.p.p. – nuova improcedibilità introdotta dalla Riforma Cartabia “camuffando” quella che in realtà è una forma di prescrizione – i termini di durata massima del giudizio di impugnazione, previsti dai primi due commi della norma, sono sospesi, con effetto per tutti gli imputati. Nel caso, infine, in cui il giudizio di appello sia trattato in forma non partecipata, l'art. 598-ter, comma 4, c.p.p. disciplina esclusivamente l'assenza dell'imputato non appellante prevedendo che la Corte di appello, qualora non sussistano le condizioni per procedere in sua assenza ai sensi dell'art. 420-bis commi 1, 2 e 3 c.p.p., disponga la sospensione del processo e le nuove ricerche dell'imputato. Le ragioni di tale disciplina sono identiche a quelle già esaminate nel precedente paragrafo con riferimento alla mancata partecipazione dell'imputato non appellante alle udienze "partecipate". La disposizione in esame, non contiene, invece, alcuna previsione per l'imputato appellante. Né, tantomeno, si richiama la disposizione del comma 1 che consente di procedere in assenza dell'imputato appellante anche fuori dai casi previsti dall'art. 420-bis. Dice il percorso ermeneutico seguito dai giudici di legittimità che, «tale silenzio normativo non sia frutto di alcuna dimenticanza da parte del legislatore, ma sia, piuttosto, pienamente coerente con la nuova disciplina della forma dell'impugnazione e, soprattutto, con la diversa logica sottesa alla diversificazione del rito nel giudizio di appello» (sez. VI, n. 49315/2023). Va, infatti, considerato, da un lato, che affinché l'impugnazione sia ammissibile, ove l'imputato sia stato giudicato in assenza in primo grado, è necessario che a questa sia allegato il mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla pronuncia della sentenza, elemento, questo, sintomatico di conoscenza certa della pendenza del processo e della sentenza stessa; dall'altro lato, va, inoltre, tenuto conto del fatto che, in caso di rito camerale non partecipato, il contraddittorio tra le parti è solo cartolare, ai sensi dell'art. 598-bis, comma 1, c.p.p. e, in assenza di una tempestiva richiesta di partecipazione all'udienza, all'imputato è preclusa la possibilità di presenziare a detta udienza. Pertanto, nel caso in cui il giudizio di appello sia trattato con procedimento camerale non partecipato e non sia stata avanzata tempestiva istanza di partecipazione, ai sensi dell'art. 598-bis, comma 2, c.p.p., l'imputato appellante non può considerarsi "giudicato in assenza" atteso che, in tal caso, il processo viene celebrato senza alcuna udienza alla quale questi abbia il diritto di presenziare. Conseguentemente, ai fini della presentazione del ricorso per cassazione il medesimo imputato appellante non potrà beneficiare dell'aumento di quindici giorni del termine per l'impugnazione previsto dall'art. 585, comma 1-bis, c.p.p. Tale soluzione appare coerente con la citata direttiva UE 2016/343 che, all'art. 8, nel dettare le "regole minime" che consentono la celebrazione del processo in assenza negli Stati membri lascia, comunque, impregiudicata la possibilità di una disciplina nazionale che preveda che il procedimento o talune sue fasi si svolgano per iscritto, a condizione, però, che ciò avvenga in conformità con il diritto a un equo processo (aart. 8, par. 6). Invero, come emerge dal considerando n. 41 della direttiva, il «diritto di presenziare al processo può essere esercitato solo se vengono svolte una o più udienze. Ciò significa che il diritto di presenziare al processo non si applica se le norme procedurali nazionali applicabili non prevedono alcuna udienza. Dette norme nazionali dovrebbero rispettare la Carta e la CEDU, come interpretate dalla Corte di giustizia e dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, in particolare relativamente al diritto a un equo processo. Tale situazione si verifica, ad esempio, quando il procedimento si svolge in maniera semplificata ricorrendo, in tutto o in parte, a una procedura scritta o a una procedura in cui non è prevista alcuna udienza». |