L’impugnazione depositata presso un indirizzo PEC compreso nel provvedimento DGSIA è sempre ammissibile

08 Luglio 2024

È quanto ribadisce la Corte di Cassazione anche nel caso in cui tale indirizzo non sia erroneamente contenuto nei provvedimenti organizzativi adottati dal dirigente dell'ufficio giudiziario.

Massima

In caso di violazione dei provvedimenti organizzativi adottati dal dirigente dell'ufficio giudiziario in ordine alla destinazione dei singoli indirizzi di PEC assegnati all'ufficio medesimo, per il deposito degli atti difensivi, non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione, in quanto tale sanzione processuale è prevista, esclusivamente, per il caso del mancato rispetto delle indicazioni contenute nel provvedimento del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia e, dunque, solo in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi nell'allegato 1 del citato provvedimento direttoriale.

Il caso

Il Magistrato di sorveglianza di Bari rigettava una richiesta di concessione della liberazione anticipata per due semestri di pena scontata. Interponeva reclamo il condannato, depositandolo ai seguenti indirizzi PEC: liberazionianticipate.uffsorv.bari@giustiziacert.it e depositoattipenali.tribsorv.bari@giustiziacert.it.

Il reclamo veniva dichiarato inammissibile dallo stesso Ufficio di sorveglianza barese perché il gravame, a suo dire, è stato spedito a indirizzo di posta non dedicata.

Il difensore del condannato interponeva il provvedimento di inammissibilità dinanzi al Tribunale di sorveglianza. Quest'ultimo, riqualificando l'impugnazione come ricorso per cassazione inviava gli atti alla Suprema Corte.

L'impugnazione affidava le proprie doglianze a due motivi: erronea applicazione dell'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020, come convertito, richiamando il precedente di legittimità (sez. V, n. 24953/2021) secondo il quale non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione la trasmissione ad indirizzo PEC dell'ufficio giudiziario, diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del Presidente del Tribunale, ma compreso nell'elenco allegato al provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati (DGSIA) del Ministero della giustizia (tra cui vi è  depositoattipenali.tribsorv.bari@giustiziacert.it al quale è stato trasmesso il reclamo quand'anche non dedicato in base a disposizioni presidenziali del Tribunale di Bari); error iuris anche con riguardo all'applicazione dell'art. 591 c.p.p. perché il giudice competente a dichiarare la declaratoria sarebbe non già l'Ufficio di Sorveglianza ma il Tribunale di sorveglianza.

La questione

L'impugnazione depositata a mezzo PEC ad un indirizzo diverso da quello adottato dal dirigente dell'ufficio giudiziario ma compreso nell'allegato 1 del provvedimento del DGSIA è ammissibile?

Le soluzioni giuridiche

Nel ritenere fondato il ricorso, la Suprema Corte da risposta positiva al quesito.

Viene anzitutto richiamato il disposto dell'art. 87-bis comma 7 lett. c) d.lgs. 150/2022 (riforma Cartabia), che ha aggiunto al catalogo delle inammissibilità delle impugnazioni (previste nell'art. 591 c.p.p.) quella «quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato».

La norma, nel riprodurre la disposizione operante durante il periodo pandemico – l'art. 24, d.l. n. 137/2020, convertito in l. n. 176/2020 – ha consentito il deposito con valore legale  dell'atto di impugnazione mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'art. 7 del regolamento di cui al d.m. Giustizia n. 44/2011, precisando che tale deposito deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, poi diramato il 9 novembre 2020.

Il Collegio aderisce al precedente arresto indicato dalla difesa del condannato (sez. V, n. 24953/2021), per il quale in caso di violazione dei provvedimenti organizzativi adottati dal dirigente dell'ufficio giudiziario in ordine alla destinazione dei singoli indirizzi di posta elettronica certificata (PEC) assegnati all'ufficio medesimo, per il deposito degli atti difensivi, non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione cautelare, in quanto tale sanzione processuale è prevista, esclusivamente, per il caso del mancato rispetto delle indicazioni contenute nel provvedimento del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia e, dunque, solo in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi nell'allegato 1 del citato provvedimento direttoriale del 9 novembre 2020, dal quale risulta che è diverso l'indirizzo di posta elettronica certificata indicato nel' provvedimento del Direttore generale dei Sistemi informativi Automatizzati del Ministero.

Per la pronuncia in commento, il suddetto principio di diritto si applica anche in ordine a reclamo proposto avverso provvedimento di rigetto del Magistrato di sorveglianza, ex art. 69-bis, comma 3, ord. penit., in quanto riconducile al genus dell'impugnazione (sez. I, 35319/2021)

Poiché l'indirizzo cui è stato inoltrato il reclamo depositoattipenali.tribsorv.bari@giustiziacert.it è, comunque, compreso nell'elenco allegato 1 al provvedimento del DGSIA, la declaratoria di inammissibilità del reclamo, è stata adottata in violazione di legge e, conseguentemente, il provvedimento deve essere annullato. Viene disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza «posto che, come dedotto con il secondo motivo di ricorso, la dichiarazione di inammissibilità del reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza non può essere emessa sulla base del procedimento semplificato di cui all'art. 666, comma 2, c.p.p., ma, anche ove ricorresse una delle tassative ragioni indicate nell'art. 591 c.p.p., questa sarebbe di competenza del giudice dell'impugnazione e, quindi, dell'organo collegiale (sez. I, 35319/2021)».

Osservazioni

La decisione in commento merita piena condivisione laddove afferma che l'impugnazione inviata nell'indirizzo PEC compreso nel provvedimento del DGSIA del 9 novembre 2020 è sempre ammissibile, senza che possa rilevare la diversa PEC dell'ufficio destinatario dell'impugnazione erroneamente indicata nei provvedimenti organizzativi adottati dal dirigente dell'ufficio giudiziario. Ovvio che questi ultimi non possono derogare ad una norma di legge (l'art. 87, comma 7, d.lgs. n. 150/2022) che individua il “luogo telematico” dove va correttamente depositato il gravame.

La pronuncia, invece, non coglie nel segno laddove afferma, in via di obiter dictum, che l'inammissibilità dell'impugnazione è «peraltro proveniente dallo stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato», lasciando intendere che, in ogni caso, la massima sanzione processuale vada dichiarata dal giudice ad quem, e non dal giudice a quo.

L'art. 87-bis, comma 8, d.lgs. n. 150/2022, infatti, ha introdotto una specifica ipotesi di competenza funzionale del giudice a quo, derogando all'art. 591, comma 2, c.p.p., qualora l'impugnazione telematica sia stata adottata in uno dei casi previsti dal precedente comma 7: non sia stata sottoscritta digitalmente; sia stata trasmessa da un indirizzo di posta elettronica certificata non presente nel registro generale degli indirizzi elettronici dell'allegato 1 del provvedimento del DGSIA; l'atto sia stato trasmesso a un indirizzo PEC non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del DGSIA, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.

È, dunque, certo che il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato è sicuramente quello che più facilmente può compiere le verifiche tecniche, in quando destinatario dell'impugnazione depositata via PEC, per accertare se ricorre uno dei casi di inammissibilità telematica previsti dall'art. 87-bis, comma 8, della riforma Cartabia.

Nel caso di specie, avendo la stessa Suprema Corte verificato che non ricorre alcuna di queste ipotesi – in quanto l'indirizzo PEC depositoattipenali.tribsorv.bari@giustiziacert.it è compreso nell'allegato 1 del provvedimento 9 novembre 2020 del DGSIA – il rinvio viene comunque correttamente disposto al giudice ad quem, ossia al Tribunale di sorveglianza (sia pure per ragioni diverse da quelle indicate nella sentenza in commento) per la trattazione nel merito del reclamo in ordine al rigetto della richiesta di liberazione anticipata.

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