Licenziamento: viola la direttiva sulle lavoratrici incinte una normativa che non concede un termine congruo per il ricorso tardivo dal momento della scoperta della gravidanza

La Redazione
03 Luglio 2024

La CGUE (27 giugno 2024, C-284/23) afferma che è incompatibile con la Direttiva 92/85/CEE sulle lavoratrici incinte la normativa tedesca secondo cui una lavoratrice che al momento del licenziamento non abbia, per motivo a lei non imputabile, conoscenza della sua gravidanza prima della scadenza del termine di tre settimane per impugnare (stabilito da tale normativa), dispone solo di due settimane per poter proporre ricorso tardivo. Secondo la Corte, un termine di due settimane è troppo breve, in particolare se confrontato con il termine ordinario di tre settimane, tenuto conto della situazione in cui si trova una donna all'inizio della gravidanza. Spetta, tuttavia, al tribunale del lavoro verificare se sia effettivamente così nel caso di specie.

Una dipendente di una casa di cura ha contestato dinanzi a un tribunale tedesco del lavoro il suo licenziamento, facendo valere il divieto di licenziare una donna incinta. Secondo il tribunale del lavoro, il ricorso doveva essere per principio respinto in quanto tardivo

Infatti, quando la lavoratrice ha avuto conoscenza della sua gravidanza e ha proposto il ricorso, il termine ordinario di tre settimane successivo alla notifica scritta del licenziamento, previsto dal diritto tedesco, era già scaduto. Inoltre, la lavoratrice ha omesso di presentare una domanda di ammissione del ricorso tardivo entro il termine supplementare di due settimane (dopo che è cessato l'impedimento ad agire in giudizio) previsto da tale diritto.

Il tribunale del lavoro si chiede, tuttavia, se la normativa tedesca di cui trattasi sia compatibile con la Direttiva 92/85/CEE sulle lavoratrici incinte. Ha pertanto interpellato la Corte di giustizia al riguardo.

La Corte constata che, secondo la normativa tedesca, una lavoratrice incinta che, al momento del licenziamento, sia a conoscenza della sua gravidanza dispone di un termine di tre settimane per proporre un ricorso (scaduto tale termine, il licenziamento è considerato valido, salvo che sia proposta una domanda di ammissione di ricorso tardivo).

Per contro, una lavoratrice che non abbia conoscenza della sua gravidanza prima della scadenza di tale termine, e ciò per un motivo che non le è imputabile, dispone solo di due settimane per chiedere di poter proporre un tale ricorso. 

Secondo la Corte, un termine così breve, in particolare se confrontato con il termine ordinario di tre settimane, sembra incompatibile con la direttiva (nella sentenza del 29 ottobre 2009, C-63/08, la Corte si è già pronunciata in tal senso a proposito di un termine di 15 giorni, per una lavoratrice incinta, per proporre una domanda di annullamento del suo licenziamento). Infatti, tenuto conto della situazione in cui si trova una donna all'inizio della gravidanza, esso sembra tale da rendere molto difficile, per la lavoratrice incinta, la possibilità di farsi utilmente consigliare e, se del caso, di redigere e presentare una domanda di ammissione di ricorso tardivo nonché il ricorso vero e proprio. 

Spetta, tuttavia, al tribunale del lavoro verificare se sia effettivamente così nel caso di specie.