Il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico quale misura a sostegno della famiglia: profili di incostituzionalità

09 Luglio 2024

La pronuncia in commento consente di esaminare una questione di rilievo, ossia quella degli strumenti apprestati dall’ordinamento al fine della tutela della famiglia e al contempo della salvaguardia dell’attività lavorativa delle donne nella difficile conciliazione dei tempi di vita – lavoro.

Massima

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 42-bis, 1 comma, del d. lgs 26 marzo 2001, n. 151 per contrarietà all'art. 30 Cost. nella parte in cui nel disciplinare l'istituto del trasferimento temporaneo, quale misura a sostegno della famiglia e dell'infanzia, non consente al dipendente pubblico di poter essere adibito, nei primi tre anni di vita del figlio, ad una sede di lavoro ubicata nella medesima regione o provincia della residenza familiare, parametrando – invece – l'avvicinamento al luogo di lavoro dell'altro coniuge.

Il caso

La vicenda in esame trae origine dal ricorso proposto innanzi al T.A.R. Toscana da una dipendente pubblica, madre di due figli di cui uno di età inferiore ai tre anni, volto ad impugnare il diniego reso dall'amministrazione pubblica di appartenenza avverso l'istanza da quest'ultima proposta, ai sensi delle previsioni di cui all'art. 42-bis, d. lgs 26 marzo 2001, n. 151, per ottenere il trasferimento temporaneo dal Comando dei Vigli del Fuoco di Firenze a quello di Napoli in ragione della sua residenza nell'area metropolitana di detta città.

In particolare, il diniego manifestato dal Comando di appartenenza della ricorrente trovava la sua ragion d'essere nel tenore letterale della norma innanzi citata nella parte in cui, nel disciplinare il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico per esigenze di natura familiare, in quanto genitore di figli di età non superiore ai tre anni, individuava quale parametro di riferimento per l'individuazione della sede di destinazione, la regione o la provincia in cui l'altro genitore svolge la propria attività lavorativa.

Ebbene, nel caso di specie tale condizione non risultava integrata poiché il coniuge della ricorrente prestava servizio in Molise e, quindi, in una regione diversa rispetto a quella in cui era stato richiesto il trasferimento.

Il TAR adito accoglieva il ricorso ritenendo non ostativo rispetto al trasferimento dell'interessata il luogo di lavoro del coniuge, valorizzando – invece - il luogo di residenza del nucleo familiare.

Avverso la citata pronuncia il Ministero dell'Interno proponeva appello deducendo, tra gli altri motivi di impugnazione, la violazione delle previsioni di cui all'art. 42 bis, comma 1, d. lgs n. 151/2001.

Il Consiglio di Stato, valutata l'impossibilità di praticare una interpretazione costituzionalmente orientata della citata norma, sollevava questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 3,29,30 e 31 Cost.

La questione è stata ritenuta fondata dalla Corte Costituzionale per contrarietà all'art. 30 Cost.

La questione

La pronuncia in commento consente di esaminare una questione di rilievo, ossia quella degli strumenti apprestati dall’ordinamento al fine della tutela della famiglia e al contempo della salvaguardia dell’attività lavorativa delle donne nella difficile conciliazione dei tempi di vita – lavoro.

Le soluzioni giuridiche

La Corte Costituzionale nella valutazione della questione di illegittimità costituzionale sollevata dal giudice remittente non ha potuto non rilevare la violazione del criterio di ragionevolezza del sistema di tutela così come disciplinato dal 1° comma dell'art. 42 bis, d. lgs 26 marzo 2001, n. 151 che – come più volte sostenuto dal giudice delle leggi – costituisce un principio fondamentale a cui devono essere ispirate le scelte del legislatore nel riconoscimento dei benefici pubblici (Corte cost. n. 432/2005).

In particolare, per la Corte la norma incriminata – chiaramente preordinata a realizzare una finalità di rilievo costituzionale quale è quella di sostegno alla genitorialità e alla famiglia e di tutela dell'infanzia (Corte cost. n. 1418/2021) – non risulta conseguenziale, tanto da apparire irragionevole, laddove consente il trasferimento temporaneo del genitore che sia dipendente pubblico nella sola regione o nella provincia in cui lavora l'altro coniuge, omettendo di attribuire rilevanza al luogo della residenza familiare. Il tutto senza tener conto delle trasformazioni che hanno investito sia le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa che i sistemi di trasporto, così da giungere al paradossale risultato di escludere il beneficio, come nel caso in esame, a coloro che hanno deciso di fissare la residenza familiare in una regione diversa rispetto a quella in cui è ubicata la sede lavorativa, peraltro, posta a pochi chilometri di distanza dal confine.

Di converso, risulterebbe ben più utile la valorizzazione anche del luogo di residenza della famiglia anche al fine di evitare di imporre lo spostamento della residenza familiare in funzione della sede lavorativa di uno dei due coniugi.

Tali considerazioni hanno portato la Corte a dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma in esame, ritenendo più coerente con la finalità di protezione della famiglia che è propria dell'istituto del trasferimento temporaneo, l'individuazione di un diverso parametro di riferimento da utilizzare al fine della valutazione della relativa richiesta, che tenga conto sia della provincia o della regione in cui è fissata la residenza della famiglia che di quella nella quale l'altro genitore eserciti la propria attività lavorativa.

Osservazioni

La problematica afferente alla conciliazione dei tempi di vita familiare con gli impegni lavorativi a cui si affianca la necessità di assicurare ai genitori la possibilità di preservare un’ampia autonomia rispetto alle scelte di indirizzo familiare evitando di dover continuamente scegliere tra la carriera lavorativa e l’adempimento dei doveri connessi alla genitorialità, rappresenta una tematica di assoluto interesse che merita la massima attenzione da parte del legislatore.

Non può sottacersi, infatti, che l’evidente squilibrio sociale esistente tra uomini e donne trova ha la sua ragion d’essere più evidente nella carenza di misure che, in ambito lavorativo, consentano in concreto di tutelare la genitorialità e proteggano la vita familiare.

Tale carenza, associata alla inevitabile necessità di adempimento dei doveri familiari e di accudimento della prole, finisce per pesare in modo prevalente sulle donne, con conseguentemente compromissione sia delle loro aspettative di crescita lavorativa che di limitazione sul piano economico.

Sul punto la pronuncia in esame offre importanti spunti di riflessione che dovrebbero indurre il legislatore a rivedere e rafforzare il sistema delle tutele previste dall’ordinamento in tale ambito di riferimento anche attraverso la loro regolamentazione secondo criteri che appaiano maggiormente rispondenti all’attuale organizzazione della vita familiare, caratterizzata – a differenza del passato - da maggiore dinamicità.

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