Il TAR della Lombardia è intervenuto in merito agli accordi che stanno alla base dei contratti di locazione a canone concordato, affermando che il Comune, pur avendo il potere di convocare le parti per la stipula degli stessi, non ha l’autorità di sindacarne il merito, né di privilegiare fiscalmente un accordo rispetto a un altro.
In merito ai contratti di locazione a canone concordato, il TAR della Lombardia ha affermato che:
le associazioni di proprietari e conduttori più rappresentative possono stipulare accordi autonomi per disciplinare i contratti di locazione a canone concordato nel territorio di competenza;
i canoni concordati stabiliti in tali accordi non sono soggetti al vaglio del Comune, che non può sindacarne la congruità;
anche gli accordi che non sono nati dal "tavolo di concertazione" promosso dal Comune possono beneficiare del regime fiscale agevolato per i canoni concordato.
Il Tribunale ha così ritenuto illegittima la Determinazione Dirigenziale del Comune di Milano nella parte in cui prevede che le agevolazioni relative agli immobili locati a canone concordato si applicano solo in caso di accordi locali sottoscritti all'esito dell'iter procedimentale che ha inizio con la necessaria convocazione delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative da parte dei Comuni e che tali agevolazioni non trovano applicazione agli accordi tra Associazioni sottoscritti al di fuori dell'iter definito dalla L. 431/1998 e del DM 16 gennaio 2017.
Come ricordato nella sentenza in oggetto, i contratti di locazione a canone concordato prevedono canoni calmierati (ma non imposti), a fronte di vantaggi fiscali a favore sia dei proprietari (risparmio sull'IMU, possibilità di accedere al regime fiscale della cedolare secca al 10%) sia dei conduttori.
Il ruolo delle associazioni di categoria consiste nel contrattare tra di loro il testo degli accordi, la suddivisione delle città in zone e, all'interno delle zone, l'inquadramento degli immobili in diverse sub-fasce, a seconda della tipologia dell'immobile, delle sue caratteristiche, al fine di arrivare alla quantificazione dei canoni tra minimi e massimi.
All'esito dei suddetti accordi i proprietari e i conduttori possono sottoscrivere contratti in linea con gli accordi territoriali e con l'assistenza delle associazioni oppure possono attestare la conformità dei canoni alle previsioni degli accordi territoriali.
Fatta tale premessa, il TAR argomenta la decisione come segue:
l'art. 2 c. 3 L. 431/1998 ("Modalità di stipula e di rinnovo dei contratti di locazione") prevede che, in alternativa agli ordinari contratti di locazione a canone libero (4 + 4), le parti possano stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative;
al fine di promuovere i suddetti accordi, i Comuni hanno il compito di convocare le organizzazioni rappresentative per avviare le trattative tra di esse, di recepire il testo degli accordi, a seguito del loro deposito e di assicurare alle stesse la massima pubblicità (art. 7 c. 2 DM 16 gennaio 2017). Si tratta di un'attività di impulso volta a favorire la conclusione di tali accordi, sulla cui corrispondenza all'interesse pubblico, a seconda del contenuto che essi assumono di volta in volta, la legge non attribuisce al Comune alcuna competenza. Sicuramente l'amministrazione comunale può agire da mediatore tra gli interessi in conflitto per favorire il raggiungimento di accordi, ma la legge non autorizza a concludere che le parti abbiano l'obbligo di aderire alla sola proposta maturata in tale sede: si tratterebbe, diversamente, di un contratto imposto, ciò che deve trovare fondamento in una legge che limiti l'autonomia privata, mentre, nel caso di specie, scopo del legislatore è stato quello, opposto, di favorirne e di incentivare i contratti di locazione a canone concordato;
in particolare, la legge non esclude che possano esserci più accordi se adottati nel rispetto dei criteri di cui al DM 16 gennaio 2017; inoltre, se è vero che i Comuni svolgono un importante ruolo al fine di promuovere la trattativa diretta alla formazione/rinnovo degli accordi locali ad opera delle associazioni maggiormente rappresentative dei proprietari e dei conduttori in sede locale, non è altrettanto vero che soltanto le associazioni convocate ai tavoli organizzati dai Comuni, e che abbiano poi effettivamente presenziato a detti tavoli, possano partecipare alla formazione dell'accordo locale.
Caso concreto
Nel 2023 alcune associazioni e organizzazioni di proprietari e conduttori sottoscrivevano un primo accordo ai sensi dell'art. 4 L. 431/1998 e del DM 16 gennaio 2017 che prevedeva canoni calmierati.
Successivamente, altre associazioni sottoscrivevano un secondo accordo promosso dal Comune di Milano.
Con Determinazione Dirigenziale, il Comune di Milano non riteneva valido il primo accordo ai sensi dell' art. 2 c. 3 L. 431/1998 e DM 16 gennaio 2017, escludendolo dall'applicazione dell'aliquota agevolata IMU e dall'accesso ai contributi economici erogati dal Comune.
Le associazioni che avevano firmato il primo accordo chiedevano al TAR l'annullamento della Determinazione Dirigenziale solo nella parte in cui la stessa escludeva l'accordo da loro sottoscritto dall'applicazione delle agevolazioni comunali, senza contestare la validità del secondo accordo sottoscritto dal Comune con altre associazioni.
Si trattava dunque di stabilire se il Comune avesse o no il potere di negare il regime agevolato agli accordi che si siano sottratti al tavolo concertato avviato dal Comune stesso, e che non ne abbiano perciò ottenuto l'approvazione.
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