Le modifiche al sistema sanzionatorio tributario penale

18 Luglio 2024

Commento al decreto legislativo 14 giugno 2024, n. 87 recante “Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell'articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111.

Considerazioni introduttive

1. L'art. 20 l. 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale) ha previsto, ai fini della «revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale», sia «princìpi e criteri direttivi» destinati ad informare la regolamentazione degli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali, sia «princìpi e criteri direttivi» riguardanti le sole sanzioni penali.

Con riguardo agli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali, la legge delegava al Governo:

  • la razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem [art. 20, comma 1, lett. a), n. 1), l. n. 111/2023];
  • la revisione dei rapporti tra processo penale e processo tributario, attraverso (i) la previsione per cui, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale fanno stato nel processo tributario quanto all'accertamento dei fatti medesimi; (ii) l'adeguamento dei profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all'effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all'esercizio dell'azione penale [art. 20, comma 1, lett. a), n. 3), l. n. 111/2023];
  • la previsione per cui la volontaria adozione di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale (di cui all'art. 4 d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128) e la preventiva comunicazione di un possibile rischio fiscale da parte di imprese che non possiedono i requisiti per aderire al regime dell'adempimento collaborativo possono assumere rilevanza per escludere ovvero ridurre l'entità delle sanzioni [art. 20, comma 1, lett. a), n. 4), l. n. 111/2023];
  • l'introduzione (in conformità agli orientamenti giurisprudenziali) di una più rigorosa distinzione normativa, anche sanzionatoria, tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e di crediti d'imposta inesistenti [art. 20, comma 1, lett. a), n. 5), l. n. 111/2023].

    

Con riguardo alle sanzioni penali, era prevista l'attribuzione di specifico rilievo:

  • all'ipotesi di sopravvenuta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto [art. 20, comma 1, lett. b), n. 1), l. n. 111/2023];
  • alle definizioni raggiunte in sede amministrativa e giudiziaria ai fini della valutazione della rilevanza penale del fatto [art. 20, comma 1, lett. b), n. 2), l. n. 111/2023].

    

2. Alla delega il Governo ha dato esecuzione (tranne con riguardo al c.d. “adempimento collaborativo”, sul quale si veda il d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 221) con il d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell'articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111: di seguito d.lgs. n. 87/2024).

Se riguardato nella sua complessiva articolazione, l'intervento normativo è soprattutto espressione e attuazione di scelte di politica criminale non nuove: si prosegue sulla via della strumentalizzazione del diritto penale tributario alle ragioni della pubblica riscossione, già tracciata, dapprima dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23: di seguito d.lgs. 158/2015), poi dal d.lgs. 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili: di seguito d.lgs. n. 124/2019).

Si ha ulteriore conferma dell'idea per cui, oggi, l'incriminazione tributaria risponde ed è servente a ragioni di agevolazione del buon esito [o, quanto meno, del più proficuo esito] della pubblica riscossione.

Con buona pace della funzione retributiva e dissuasiva della sanzione penale, che, per come complessivamente congegnata, più che strumento di convincimento all'abbandono della scelta delinquenziale, diviene “incentivo” a considerare la conseguenza sanzionatoria dell'evasione di imposta alla stregua di un costo, magari eventuale e comunque preventivabile; e, inoltre, con implicito riconoscimento, se non della assoluta inefficacia, della inettitudine della pubblica riscossione, per come oggi regolamentata, ad assicurare effettiva tutela agli interessi erariali.

La razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale e il suo adeguamento al principio del ne bis in idem

1. Ai criteri di cui all'art. 20, comma 1, lett. a), n. 1), della l. delega 111/2023 sono informate le disposizioni introdotte dall'art. 1, commi 1, lett. h), lett. l) e lett. m), 2, 3 e 4, d.lgs. n. 87/2024.

Previsioni che - così si legge nella “Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo” - sono (o dovrebbero essere) tese a rafforzare l'integrazione tra il modello sanzionatorio amministrativo-tributario e quello penale, «valorizzando i principi espressi dalle Alte Corti sul tema del ne bis in idem in materia tributaria».

Nel dettaglio, la ricercata razionalizzazione ha trovato esecuzione nella previsione:

  • attuata mediante la riscrittura dell'art. 19, comma 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (di seguito d.lgs. n. 74/2000): ora  la regola (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 74/2000) del divieto del cumulo sanzionatorio (espressione del c.d. principio di specialità) è derogata, non solo, come in passato, per le ipotesi in cui la violazione, che ha inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo, sia stata commessa da uno dei soggetti indicati nell'art. 11, comma 1, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (che non siano persone fisiche concorrenti nel reato), ma anche quando detta violazione sia ragione, per l'ente o per la società, di responsabilità amministrativa da reato ex art. 25-quinquies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (di seguito d.lgs. n. 231/2001); rileva, in tal caso, la previsione di cui all'art. 21, comma 2-bis, d.lgs. n. 74/2000 (anch'essa di nuovo conio) secondo cui, in tale evenienza, si applica l'art. 21, comma 2, d.lgs. n. 74/2000, che, per come modificato dal d.lgs. n. 87/2024, esclude l'esecuzione delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie oggetto di notizia di reato, salva la definizione del procedimento con archiviazione o con sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto;
  • formalizzata nel nuovo art. 20, comma 1-bis, d.lgs. n. 74/2000 [che è attuazione anche del criterio di delega di cui all'art. 20, comma 1, lett. b), n. 2), l. n. 111/2023)] secondo il quale «Le sentenze rese nel processo tributario, divenute irrevocabili, e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l'azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato»;
  • che dà corpo al nuovo art. 21-bis d.lgs. n. 74/2000: «La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi»;
  • contenuta nel nuovo art. 21-ter d.lgs. n. 74/2000: «Quando, per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del soggetto, una sanzione penale ovvero una sanzione amministrativa o una sanzione amministrativa dipendente da reato, il giudice o l'autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva».

   

2. Il divieto di bis in idem, per come oggi inteso dal giudice sovranazionale e nazionale, importa, non tanto il «divieto (…) di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l'uno dall'altro», quanto la «facoltà di coordinare nel tempo e nell'oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata» (C. cost. n. 43/2018). Se così è, il legislatore delegato, come segnalato da autorevole dottrina (P. Veneziani, La legge delega per la riforma fiscale: una prima lettura dei profili penalitici, in Sistema penale, 2023, n. 9, p. 30), anziché «attingere al diritto vivente per incardinare a livello normativo ciò che il dialogo tra le Corti, nazionali e sovranazionali, ha sin qui prodotto, onde restituire all'interprete un quadro unitario di riferimento legale», ha optato per soluzioni diverse, incapaci di assicurare il coordinamento, “nel tempo e nell'oggetto”, dei due procedimenti (quello amministrativo-tributario e quello penale), che è, come detto (e ribadito dal Giudice Costituzionale), momento necessario ed imprescindibile perché, rispetto allo stesso fatto illecito, la risposta sanzionatoria, pur se esito di due procedimenti indipendenti, risulti, nella sostanza, “unica, prevedibile e non sproporzionata”.

Di ciò, pur non essendo questa la sede per approfondimenti ulteriori, è esemplificazione la previsione di cui al nuovo art.  21-ter d.lgs. n. 74/2000, che, riproponendo quanto normativamente già stabilito (proprio al fine di dirimere le problematiche in tema di bis in idem) attraverso la modifica dell'art. 187-terdecies d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, si risolve nella attribuzione, all'organo deputato alla irrogazione dell'“ultima sanzione”, di una sorta di “potere di scomputo” di cui, però, non è fornito alcun criterio di commisurazione.

Suscita, quindi, perplessità quanto è dato leggersi nella citata relazione illustrativa, ove è precisato che «La nuova norma introduce (…) nel sistema punitivo tributario il divieto del bis in idem sostanziale inteso in senso proprio ed è formulata in stretta aderenza alle sentenze della Corte EDU - in particolare a quelle del 15 novembre 2016 (A e B c. Norvegia) e del 18 maggio 2017 (J c. Islanda) e in quelle successive - nonché alla sentenza n. 149 del 2022 della Corte costituzionale».

Se, come detto, la risposta sanzionatoria davvero “unica, prevedibile e non sproporzionata” è anche quella scaturente da più procedimenti vertenti sul medesimo fatto, purché coordinati “nel tempo e nell'oggetto”, l'effettività di detto coordinamento pretende ben altra disciplina rispetto a quella dettata dal citato art. 21-ter d.lgs. n. 74/2000; disciplina incidente anzitutto (e soprattutto) sulla fase istruttoria dei due procedimenti (che oggi continua ad essere informata a separazione ed autonomia), sui profili temporali della medesima e sulle regole poste a governo degli atti e delle attività ivi rilevanti (che oggi sono presidiati da regole e garanzie oltremodo differenti).

    

3. Così come, del resto, non appare esente da censure la disciplina riservata alla efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e alla efficacia nel giudizio penale delle sentenze tributarie:

  • per la prima, è difficile comprendere perché l'efficacia di giudicato sia stata riservata alla sola sentenza dibattimentale, con esclusione, quindi, di quella intervenuta all'esito del rito abbreviato, che, vieppiù nella ipotesi del c.d. “abbreviato condizionato”, è retto, quanto alle regole di giudizio probatorio, da regime analogo a quello proprio del “rito ordinario”; analoga incomprensibilità involge anche il riferimento alla sola sentenza assolutoria, con esclusione, quindi, della sentenza di condanna; ma soprattutto, rimane incerta la reale “utilità” della norma in commento, se poi, ai sensi dell'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 74/2000 [non modificato dal d.lgs. n. 87/2024], il processo tributario non può essere sospeso per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione;
  • per la seconda, suscita perplessità, non già il (comprensibile) mancato riconoscimento della efficacia di cosa giudicata alla sentenza tributaria divenuta irrevocabile, quanto la parificazione, quoad effectum, alla stessa degli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa [anche a seguito di adesione], potendo anche questi essere acquisiti al processo penale come prova dei fatti in essi accertati; perplessità che aumentano se si considera che, sovente, la ragione dell'intervenuta “adesione” è la convenienza economica e che, quanto alla mancata impugnazione, la stessa potrebbe trovare causa anche nel mero errore.

     

4. Rimane da precisare che, come si ricava dalla Relazione illustrativa, sono espressione della ricercata razionalizzazione dei sistemi sanzionatori anche le modifiche introdotte:

  • dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 87/2024 che, intervenendo sull'art. 129 disp. att. c.p.p., ha introdotto il comma 3-quater, ai sensi del quale «Quando esercita l'azione penale per i delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, il pubblico ministero informa la competente direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate, dando notizia della imputazione»;
  • dall'art. 1, commi 3 e 4, d.lgs. 87/2024 che, modificando l'art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 [Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi: di seguito d.P.R. 600/1973] e l'art. 51 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 [Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto: di seguito d.P.R. 633/1972], ha previsto [come nuovo ultimo comma di ciascuna delle citate disposizioni] la regola per cui «Quando l'Agenzia delle entrate riceve comunicazione da parte del pubblico ministero dell'esercizio dell'azione penale ai sensi dell'articolo 129, comma 3-quater, delle disposizioni attuative del codice di procedura penale (…), risponde senza ritardo trasmettendo, anche al competente Comando della Guardia di finanza, l'attestazione relativa allo stato di definizione della violazione tributaria».

La revisione dei rapporti tra il processo penale e il processo tributario

1. Il principio di cui all'art. 20, comma 1, lett. a), n. 3), l. delega 111/2023 ha trovato attuazione, oltre che in quanto sancito dal nuovo art. 21-bis d.lgs. n. 74/2000, anche nelle disposizioni introdotte dall'art. 1, comma 1, lett. b), c), f) e g), d.lgs. n. 87/2024.

Si tratta di disposizioni che manifestano la finalità riscossiva dell'incriminazione e che, nel perseguire detto fine, generano non pochi profili di difficoltà interpretativa.

    

2. Rilevano, anzitutto, le previsioni di cui all'art. 1, comma 1, lett. b) e c), d.lgs. n. 87/2024 (efficaci, ex art. 7, a decorrere dal 29 giugno 2024 e destinate ad operare anche rispetto ai procedimenti penali tutt'oggi pendenti), per il tramite delle quali si è provveduto alla riscrittura degli artt. 10-bis (la cui innovata formulazione tiene conto dei “correttivi” apportati da C. cost. 175/2022) e 10-ter d.lgs. n. 74/2000.

Nel dettaglio:

  • il reato di “omesso versamento di ritenute certificate” è anche oggi configurabile nei confronti di chi «non versa (…) ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta»;
  • il reato di “omesso versamento di IVA” è anche oggi configurabile nei confronti di chi «non versa (…) l'imposta sul valore aggiunto dovuta (…), per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d'imposta».

    

Tuttavia, per effetto delle modifiche introdotte:

  • è stato postergato il termine di rilevanza dell'inadempimento penalmente sanzionato, giacché, quanto al reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000, è fatta menzione, non più del «termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta», bensì del termine del «31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta»; analogamente, quanto al reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, a rilevare è, non più «il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo”, bensì  il termine del «31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale»;
  • è stato ridisegnato, in negativo, il fatto penalmente rilevante, giacché l'inadempimento dell'obbligo di versamento [delle ritenute, o dell'imposta dovuta] diviene penalmente rilevante solo se, alla scadenza del relativo termine, (i) il debito tributario «non è in corso di estinzione mediante rateazione», con l'Ente impositore [e non, quindi, con l'Agente della riscossione], ai sensi dell'art. 3-bis d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, ovvero, (ii) per l'ipotesi di intervenuta decadenza dalla predetta rateizzazione, il debito tributario residuo è di ammontare superiore ad euro 50.000, per il reato di “omesso versamento di ritenute certificate” e ad euro 75.000, per il reato di “omesso versamento di IVA”.

   

Si legge nella relazione illustrativa che dette evenienze integrerebbero condizioni obiettive estrinseche di punibilità. L'affermazione non convince. Si tratta, invero, di cause di delimitazione del tipo.

In altri termini: il legislatore è intervenuto a ridurre norme penali preesistenti, a delimitarne l'ampiezza e ad escludere la rilevanza penale di una parte del tipo, introducendo nuovi elementi descrittivi che ne delimitano la portata; non, dunque, condizioni obiettive di punibilità e neppure cause di esclusione della antigiuridicità del fatto o cause di non punibilità in senso stretto.

    

3. Sono significative anche le modifiche introdotte dall'art. 1, comma 1, lett. f) e g), d.lgs. n. 87/2024 (anch'esse efficaci a decorrere dal 29 giugno 2024 e destinate ad operare anche rispetto ai procedimenti penali pendenti), riguardanti l'ambito di rilevanza dell'estinzione del debito tributario quale accadimento idoneo ad integrare una causa di non punibilità, ovvero una circostanza attenuante ad effetto speciale.

    

3.1. Le innovazioni riguardano, in primo luogo, l'art. 13 d.lgs. n. 74/2000: non più, nella rubrica, «Causa di non punibilità …» ma «Cause di non punibilità …»; una pluralità di cause di non punibilità tutte, comunque, relative al pagamento del debito tributario: riguardato quanto “ad effetti” della sua integrale o parziale estinzione ovvero quanto “alle ragioni” della sua omissione.

Nel dettaglio, la disposizione prevede, anzitutto, come in passato, la non punibilità:

  • dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74/2000, «se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso»;
  • dei reati di cui agli artt. 2,3,4 e 5 d.lgs. n. 74/2000, «se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali».

   

Con riguardo alla non punibilità dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74/2000 è poi ancora previsto che, se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo: termine che, sempre ferma la sospensione della prescrizione, può essere prorogato una sola volta per non oltre tre mesi.

Come detto, e in ciò risiede una delle innovazioni apportate dal d.lgs. n. 87/2024, la norma prevede poi, con specifico riferimento a taluni “reati riscossivi”, che anche il mancato pagamento del debito tributario può, se dovuto a “crisi di liquidità”, assurgere a causa di non punibilità.

Dispone, infatti, il nuovo art. 13, comma 3-bis, d.lgs. n. 74/2000 che «i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all'autore sopravvenute, rispettivamente, all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell'autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi».

Elevando a causa di non punibilità la “crisi di liquidità”, il legislatore delegato ha quindi congegnato, con riguardo al reato di “omesso versamento di ritenute certificate” e di “omesso versamento di IVA”, un meccanismo dai contorni certamente più ampi di quelli ad oggi dissodati dalla giurisprudenza e non esenti da profili di criticità.

Pur non essendo questa la sede idonea per approfondimenti, è opportuno rimarcare che:

  • la “crisi non transitoria di liquidità del debitore”, per come tipizzata, non consegue al [e nulla ha a che vedere con il] “mancato incasso del corrispettivo”, ma, anzi, ne presuppone la percezione [e il suo avvenuto impiego per scopi diversi dall'adempimento del debito erariale]; infatti, l'omesso versamento di ritenute certificate, ovvero l'omesso versamento di IVA, diviene non punibile se «dipende da cause (…) sopravvenute, rispettivamente, all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto»;
  • fra le cause sopravvenute [all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto] cui consegue la “crisi non transitoria di liquidità del debitore”, v'è menzione, anche, del «mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche»; trattasi di previsione che, di fatto, legittima una sorta di “compensazione sostanziale” tra un debito tributario e il mancato incasso di crediti [anche non tributari] vantati nei confronti delle Amministrazioni pubbliche [crediti, evidentemente, diversi da quelli cui accede l'imposta per cui opera il meccanismo dello “split payment” di cui all'art. 17-ter d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633: di seguito d.P.R. n. 633/1972];
  • le cause sopravvenute rilevano in quanto «non imputabili all'autore», ma nulla è detto circa il loro essere impreviste o imprevedibili [e v'è dubbio che il silenzio possa essere colmato ritenendo i predetti requisiti implicitamente richiamati dalla norma];
  • nulla è previsto in ordine all'accertamento della intervenuta [o meno] adozione, da parte del soggetto obbligato al versamento, di tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo dovuto; requisito che non sembra ricompreso nel riferimento normativo alla «non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi» e che, inoltre, per come strutturata la causa di non punibilità (che, come detto, non consegue al mancato incasso del corrispettivo) risulterebbe quantomeno opportuno; a tacer d'altro, infatti, la predetta non punibilità è destinata ad operare a beneficio di un soggetto che ha percepito il corrispettivo dovuto [e, quindi, l'imposta richiesta “in rivalsa” alla propria controparte commerciale] e che, avendolo destinato a scopi diversi dall'adempimento del debito tributario, si è arricchito di risorse “proprie” dell'erario.

    

Altrettanto innovativa è, poi, la previsione di cui all'art. 13, comma 3-ter, d.lgs. n. 74/2000 [introdotta dall'art. 1, comma 1, lett. f), n. 3], a tenore della quale «Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all' articolo 131-bis c.p., il giudice valuta, in modo prevalente, uno o più dei seguenti indici: a) l'entità dello scostamento dell'imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; b) salvo quanto previsto al comma 1, l'avvenuto adempimento integrale dell'obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l'amministrazione finanziaria; c) l'entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione; d) la situazione di crisi ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a), del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14».

Anche tale disposizione dà adito a dubbi interpretativi.

Per come formulata, sembra essere riferibile a tutte le fattispecie incriminatrici contemplate dal d.lgs. 74/2000 e quindi, pur se nei limiti (di cornice edittale) previsti dall'art. 131-bis c.p., anche ai “reati dichiarativi” (che, per vero, non sono stati espressamente estromessi dal relativo ambito di operatività).

La prospettata soluzione interpretativa non è di poco conto, atteso che l'art. 131-bis c.p. ha riguardo, oggi, i soli «reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena». E i “reati dichiarativi”:

  • almeno fino alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 124/2019 (entrato in vigore in data 27 ottobre 2019), erano tutti sanzionati con minimi edittali non superiori ad anni due;
  • anche a seguito delle citate modifiche normative, sono, ad eccezione del reato di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e di “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, sanzionati con minimi edittali non superiori ad anni due.

   

Per effetto della previsione in commento, quindi, quanto estraneo all'ambito di operatività della causa di non punibilità prevista dall'art. 13, commi 1, d.lgs. n. 74/2000, potrebbe divenire comunque non punibile per “particolare tenuità del fatto”: e tanto, vieppiù considerando che gli indici menzionati dalla norma [la cui definizione è certamente condivisibile perché idonea a fornire all'operatore direttive chiare nell'applicazione di una causa di non punibilità che, nel passato, ha generato eterogenee prassi] devono essere valutati «in modo prevalente» rispetto ad ogni altro indice [modalità della condotta ed esiguità del danno o del pericolo (valutate ai sensi dell'art. 133 c.p.p.)] desumibile dall'art. 131-bis c.p.

Ora, è vero che, in ragione della particolare insidiosità dei “reati dichiarativi”, la non punibilità dei medesimi, per estinzione del debito tributario, è stata limitata – allorquando prevista – alle sole ipotesi in cui la predetta estinzione sia conseguenza di un pagamento (o della presentazione della dichiarazione omessa) assolutamente spontaneo e resipiscente (e, come tale, intervenuto «prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali»). Ma non va trascurato (considerando comunque che, per come formulato, il richiamo operato dalla norma in rassegna all'art. 131-bis c.p. implica l'operatività del limite della “non abitualità” della condotta) che, nella prospettiva (condivisa o meno) della strumentalizzazione del diritto penale alle ragioni della pubblica riscossione, a rilevare è, di per sé, l'estinzione del debito tributario mediante pagamento delle imposte, dei relativi interessi e delle conseguenti sanzioni, sia essa spontanea o, comunque, indotta.

    

3.2. Per effetto delle disposizioni dettate dall'art. 1, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 87/2024, è stato modificato l'art. 13-bis d.lgs. n. 74/2000, norma che, come noto, eleva l'estinzione del debito tributario ad accadimento idoneo ad incidere, quale circostanza ad effetto speciale, sul trattamento sanzionatorio dei reati tributari.

E, per vero, nella riscrittura della disposizione, la già ricordata strumentalizzazione del diritto penale tributario, al soddisfacimento delle ragioni dell'Erario, ha trovato la sua massima espressione: al punto che, attraverso un meccanismo simile a quello già previsto dall'art. 23 d.l. 30 marzo 2023, n. 34 (introduttivo però di una causa di non punibilità riferita ai soli reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74/2000 e destinata ad operare per le sole ipotesi di estinzione del debito tributario nelle forme previste dall'art. 1, commi da 153 a 158 e da 166 a 252, della l. 29 dicembre 2022, n. 197: di seguito l. n. 197/2022), è anche il tempo del processo penale a divenire funzionale al proficuo esito della pubblica riscossione.

Nel dettaglio, l'art. 13-bis prevede che, laddove non rilevi quale causa di esclusione della punibilità, l'estinzione del debito tributario, mediante pagamento dell'imposta dovuto, dei relativi interessi e delle conseguenti sanzioni, importa, se intervenuto prima della chiusura del dibattimento di primo grado [non più, quindi, come in passato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento], la diminuzione fino alla metà delle pena prevista e la non applicazione delle pene accessorie di cui all'art. 12 d.lgs. n. 74/2000.

Analoga mitigazione sanzionatoria opera – e in ciò rileva il novum normativo – per l'ipotesi in cui, prima della chiusura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito delle procedure conciliative e di adesione all'accertamento. In tale evenienza, è previsto che:

  • a seguito di comunicazione resa dall'imputato (onerato della allegazione della relativa documentazione) al giudice che procede e all'Agenzia delle entrate (cui deve essere data anche indicazione del relativo procedimento penale), il processo sia sospeso (come sospeso è il corso della prescrizione), a far tempo dalla ricezione della comunicazione, per un anno;
  • decorso detto lasso temporale, la sospensione è revocata, salvo che l'Agenzia delle entrate abbia comunicato che il pagamento delle rate è in corso regolarmente; in tal caso, il processo è sospeso (ed analoga sospensione opera anche per il decorso della prescrizione) per ulteriori tre mesi, prorogabili, per una sola volta, di non oltre tre mesi, se necessario per consentire l'integrale pagamento del debito (fermo restando che la sospensione è revocata qualora l'Agenzia delle entrate attesti l'integrale versamento delle somme dovute ovvero comunichi la decadenza dal beneficio della rateizzazione).

    

Per effetto delle anzidette modifiche e a dichiarati fini di coordinamento, è stato modificato anche l'art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74/2000, il quale nella sua vigente formulazione, continua, come in passato, a subordinare l'accesso al “patteggiamento” all'intervenuta integrale estinzione del debito tributario, anche mediante, ove non integri una ipotesi di non punibilità ex art. 13, commi 1 e 2, d.lgs. n. 74/2000, il “ravvedimento operoso”.

Per espressa previsione dell'art. 1, comma 6, d.lgs. n. 87/2024, la disciplina del riscritto art. 13-bis, commi 1 e 1-bis, d.lgs. n. 74/2000 si applica «anche quando il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione a seguito di regolarizzazione, ai sensi dell'articolo 1, commi da 174 a 178, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, dell'articolo 3, comma 12-undecies, del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18, e dell'articolo 7, comma 7, del decreto-legge 29 marzo 2024, n. 39».

La citata disposizione, destinata ad avere un “tempo di operatività” piuttosto circoscritto [le richiamate rateizzazioni, quale che sia la norma di riferimento, sono invero destinate a essere perfezionate entro il 31.12.2024], è meno univoca di quanto la sua formulazione letterale lasci trasparire.

Va ricordato, infatti, che l'art. 1, commi da 174 a 178, l. n. 197/2022 disciplina il c.d. “ravvedimento speciale”, forma agevolata di regolarizzazione di pregresse violazioni tributarie, fondata sul riversamento delle maggiori imposte dovute, dei relativi interessi e delle conseguenti sanzioni, pur se rideterminate in misura ridotta rispetto a quelle previste dal c.d. “ravvedimento ordinario” di cui all'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (come tali, invero, già mitigate rispetto a quelle altrimenti dovute).

Va ricordato, inoltre, che l'art. 3, comma 12-undecies, d.l. 30 dicembre 2023, n. 115 (di seguito d.l. n. 115/2023) e l'art. 7, comma 7, d.l. 29 marzo 2024, n. 39 (di seguito d.l. n. 39/2024), hanno ampliato l'ambito del predetto “ravvedimento speciale”, estendendone la praticabilità anche con riguardo a violazioni tributarie afferenti (non solo l'anno di imposta 2021 e gli anni precedenti, come previsto dal citato art. 1 l. n. 197/2022, ma) anche l'anno di imposta 2022.

Ciò premesso, va evidenziato che, anteriormente alla novella legislativa in commento, esisteva regolamentazione normativa (art. 23 d.l. n. 34/2023) dei “riverberi penali” del predetto “ravvedimento speciale” posto in essere ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, commi da 174 a 178, l. n. 197/2022, mentre diversamente era a dirsi con riguardo al “ravvedimento speciale” di cui all'art. 3, comma 12-undecies, d.l. n. 215/2023 ed all'art. 7, comma 7, d.l. n. 39/2024.

Ne deriva, coordinando quanto previsto dall'art. 1, comma 6, d.lgs. n. 87/2024, con quanto già statuito dall'art. 23 d.l. n. 34/2023, che il “ravvedimento speciale” opera:

  • quale causa di non punibilità, per i soli reati di cui agli artt. agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74/2000, se posto in essere nei termini e secondo le modalità previste dall'art. 1, commi da 174 a 178, l. n. 197/2022 e se ricorrono le condizioni previste dall'art. 23 d.l. n. 34/2023;
  • quale circostanza attenuante ad effetto speciale, per tutti i reati previsti dal d.lgs. 74/2000, se posto in essere nei termini e secondo le modalità previste dall'art. 3, comma 12-undecies, d.l. n. 215/2023 e dall'art. 7, comma 7, d.l. n. 39/2024 e se ricorrono le condizioni previste dall'art. 13-bis, commi 1 e 1-bis, d.lgs. n. 74/2000 [per come richiamato dall'art. 1, comma 6, d.lgs. n. 87/2024].

La definizione dei crediti di imposta non spettanti e dei crediti di imposta inesistenti

1. Nel dar attuazione al criterio di cui all'art. 20, comma 1, lett. a), n. 5), l. delega 111/2023 (introduzione, in conformità agli orientamenti giurisprudenziali, di una più rigorosa distinzione normativa, anche sanzionatoria, tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti), il legislatore delegato ha provveduto, anzitutto, ad inserire [art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 87/2024], nel corpo dell'art. 1 d.lgs. n. 74/2000, le nuove definizioni di “credito inesistente” e di “credito non spettante” [valide anche in ambito tributario stante il richiamo ad esse operato dall'art. 13, comma 5, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (di seguito d.lgs. n. 471/1997) nella formulazione introdotta dall'art. dall'art. 2, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 87/2024].

Si è previsto:

  • che per crediti inesistenti (art. 1, comma 1, lett. g-quater, d.lgs. n. 74/2000), devono intendersi «1) i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento; 2) i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi di cui al numero 1) sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici»;
  • che per crediti non spettanti (art. 1, comma 1, lett. g-quinquies, d.lgs. n. 74/2000), devono intendersi «1) i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento; 2) i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito; 3) i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza».

    

2. L'art. 1 d.lgs. n. 74/2000, nel dettare norme definitorie, persegue finalità di chiarezza della portata precettiva delle singole fattispecie di reato e, sul piano dell'esegesi delle singole norme definite, l'uniformità interpretativa.

Detto questo, è opportuno precisare che le nozioni di “crediti inesistenti” e di “crediti non spettanti”, per come formulate, appaiono prosecuzione delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza penale di legittimità (il riferimento è, da ultimo, a Cass. pen. sez. III, 2 gennaio 2024, n. 6, Rv. 285731), più ampie e meno selettive di quelle proprie del giudice tributario (il riferimento è a Cass. civ., S.U., 11 dicembre 2023, n. 34419).

Infatti:

  • la “inesistenza” – stante la previsione dettata dall'art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (di seguito d.lgs. n. 471/1997), nella sua formulazione vigente sino alle modifiche oggi introdotte dall'art. 2, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 87/2024 – era –  secondo la S.C. – predicato che poteva dirsi sussistente solo nel concorso dei requisiti allora normativamente prescritti (carenza dei presupposti costitutivi normativamente previsti e, congiuntamente, non riscontrabilità del difetto di detti presupposti «mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all'art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972»);
  • diversamente, l'art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), d.lgs. n. 74/2000 [cui, come detto, fa riferimento anche il citato art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471/1997, nella formulazione introdotta dall'art. dall'art. 2, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 87/2024], nel definire il “credito inesistente”, non contiene alcun riferimento alla necessità che la carenza dei presupposti costitutivi normativamente previsti «non sia riscontrabile mediante» i c.d. “controlli automatizzati” (così come ritenuto da Cass. pen., sez. III, 2 gennaio 2024, n. 6, cit., e, prima, da Cass. pen., sez. III, 21 febbraio 2023, n. 16353, non massimata, secondo le quali la definizione dettata dall'art. 13 d.lgs. n. 471/1997, imperniata, come detto, sul duplice presupposto della mancanza totale o parziale del presupposto costitutivo dei crediti e della non riscontrabilità della compensazione indebita mediante i c.d. “controlli automatizzati, era valevole solo per gli illeciti di natura amministrativa).

    

3. Sul piano contenutistico, è poi opportuno evidenziare che la nozione di “credito inesistente”, siccome fondata sulla mancanza dei requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, ovvero sulla loro fraudolenta rappresentazione (attuata mediante l'impiego di documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici), pare riferibile a tutte quelle ipotesi in cui non v'è esistenza degli accadimenti fattuali fondanti il credito d'imposta, ovvero v'è mera e fraudolenta apparenza degli stessi.

Significativo è il riferimento letterale alla necessità che i requisiti oggettivi o soggettivi siano «specificamente indicati» nella disciplina normativa di riferimento: l'uso dell'avverbio pare non possa avere altra ragione se non quella di impedire che al paradigma del “credito inesistente” possano essere ricondotte fattispecie in cui la predetta inesistenza sia contestata in ragione di interpretazioni che non trovano preciso riscontro nella legge istitutiva dell'agevolazione.

Quanto, invece, alla nozione di “credito non spettante”, suscita dubbi interpretativi il riferimento alla ipotesi di credito che, «pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento», è fondato su «fatti reali non rientranti nella disciplina attributiva del credito», in ragione del «difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito».

Mentre, infatti, il riferimento alla «presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento» è di univoca lettura, giacché l'assenza dei medesimi condurrebbe alla qualificazione del credito in termini di “inesistenza”, il riferimento ai «fatti reali non rientranti nella disciplina attributiva del credito» e, soprattutto, al «difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito» sembra condurre alla conclusione per cui ad essere “non spettante” è anche il credito basato su accadimenti fattuali che, pur se realmente accaduti, non rientrano nella disciplina attributiva del medesimo credito e ciò in ragione del difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del suo riconoscimento.

Orbene, fermo restando che detti «ulteriori elementi o particolari qualità» non possono certo essere ricondotti alla categoria dei «requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento» (giacché, come detto, il loro difetto determinerebbe la “inesistenza” del credito), è arduo capire in cosa essi consistano e in cosa si differenzino dalle  «modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti» [che pure tipizzano – ex art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), n. 1), d.lgs. n. 74/2000 – una (ulteriore) ipotesi di “credito non spettante”] e dai «prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza» [anch'essi rilevanti ai fini della (diversa) fattispecie di “credito non spettante” di cui all'art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), n. 3), d.lgs. n. 74/2000]; un interrogativo che, solo in parte, sembra trovare risposta nella contrapposizione, elaborata dalla già citata Cass. civ., S.U., 11 dicembre 2023, n. 34419, fra “elementi che concorrono alla costituzione” del credito di imposta ed “elementi che incidono sulla efficacia” del credito di imposta.

Peraltro, ai predetti «ulteriori elementi o particolari qualità» si richiama anche il nuovo art. 10-quater, comma 2-bis, d.lgs. n. 74/2000 introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 87/2024], che, per l'ipotesi di “indebita compensazione di crediti non spettanti” (art. 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74/2000), ne prevede la non punibilità allorquando, «anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito».

In proposito è per ora sufficiente evidenziare, a dimostrazione dei suoi molteplici profili di criticità, come la norma appaia sovrapporsi alla previsione dell'art. 15 d.lgs. n. 74/2000 (contenendo anch'essa il riferimento alle “obiettive condizioni di incertezza”), di cui risulta (inutile) specificazione e di cui partecipa alle medesime incertezze operative, atteso che, come noto, non v'è non punibilità, perché manca qualsivoglia condizione di obiettiva incertezza, quando l'autore della violazione abbia agito, discostandosi da criteri di valutazione normativamente fissati o da criteri tecnici generalmente accettati, in forza di propri convincimenti, ultronei rispetto a qualsivoglia soluzione esegetica nota  al c.d. “interprete modello del settore specialistico tributario”.

Sequestro e confisca

1. Al dichiarato fine di «tempera(re) le iniziative di sequestro preventivo finalizzate alla confisca obbligatoria del profitto dell'evasione, limitandolo nei casi in cui non sussista un rischio di dispersione della garanzia patrimoniale e, conseguentemente, non risulti necessario un intervento di natura anticipatoria rispetto alla misura di sicurezza patrimoniale», il legislatore delegato è intervenuto, mediante l'art. 1, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 87/2024, sull'art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000, modificandone la rubrica («Sequestro e confisca» e non più “Confisca») e introducendo il nuovo comma 2, a tenore del quale «Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti».

    

2. A parte ogni ulteriore considerazione, è comunque necessario sottolineare come, così operando, il legislatore ha completamente ridisegnato i rapporti tra l'estinzione del debito tributario mediante rateizzazione e il sequestro funzionale alla confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato.

Confrontandosi con il previgente art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74/2000 (ai sensi del quale «La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta»), la giurisprudenza di legittimità aveva infatti affermato (e costantemente ribadito):

  • che, laddove prevede che la confisca (diretta o per equivalente) non opera per la parte del profitto o del prezzo del reato che il contribuente si impegna a versare all'erario, anche in presenza di sequestro, la norma deve essere intesa nel senso che «la confisca - così come il sequestro preventivo ad essa preordinato - può essere adottata anche a fronte dell'impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l'evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito» (Cass. pen., sez. III, 14 ottobre 2020, n. 28488, Rv. 280014-01);
  • che, quindi, anche la legittimità del sequestro preventivo prodromico alla confisca, permane sino all'integrale pagamento del debito (si veda, al riguardo, Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 2016, n. 42470, Rv. 268384-01);
  • che, però, «l'interessato (…) può (…) domandare il dissequestro per la parte che dimostri di avere versato, ex art. 321, comma 3, c.p.p., ovvero invocare l'applicazione dell'art. 85 disp. att. c.p.p. il quale consente che le cose sequestrate (nella specie, il denaro) possano essere restituite previa esecuzione di specifiche prescrizioni che, nel caso di specie, consistono nella destinazione a favore dell'erario a titolo di pagamento del debito. Analogamente qualora siano stati sequestrati beni mobili ed immobili, il contribuente-indagato potrebbe procedere versando all'erario la somma di valore corrispondente» (Cass. pen., sez. III, 2 maggio 2019, n. 18034, Rv. 275951-01).

    

Diversamente, per effetto delle modifiche introdotte, il sequestro – salvo che sussista «il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato» – non può essere disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative, di accertamento con adesione, o [stante il disposto del già citato art. 1, comma 6, d.lgs. 87/2024] di “ravvedimento speciale” e «sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti».

Ora, a parte la poca precisione della formulazione letterale della norma [si allude, a tacer d'altro, al riferimento alla regolarità dei pagamenti, atteso che, in ragione del vigente quadro normativo di riferimento, è possibile ipotizzare situazioni in cui v'è “rateizzazione in essere” pur se non tutte le singole rate sono state corrisposte], v'è da ritenere che, vieppiù in un contesto in cui la novella normativa è, nel suo complesso, certamente volta a “promuovere” [mediante la promessa di variegate premialità penali] il pagamento anche tardivo del debito tributario [e, quindi, il miglior ristoro delle ragioni dell'erario], meglio si sarebbe fatto se si fosse adeguatamente positivizzata la ricordata elaborazione giurisprudenziale: del resto, come noto, almeno nella generalità dei casi, l'adempimento tardivo del debito tributario segue [trovando, anzi, in essa la sua “vera e propria causa”] la misura cautelare reale.

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