La malattia psichiatrica del coniuge: quali tutele e rimedi?

19 Luglio 2024

Se il marito ha problemi psichiatrici, rifiuta di curarsi, non è violento, ma offensivo nei confronti della moglie e della figlia, non lavora più e non cura la propria igiene personale e non partecipa alle spese familiari. L’asl chiamata si è limitata a monitorare la vicenda. Come posso tutelare la mia cliente?

Occorre premettere che con il matrimonio per i coniugi sorge, non solo, l'obbligo reciproco di fedeltà e di coabitazione, ma anche l'obbligo di assistersi moralmente e materialmente.

L'assistenza al coniuge affetto da malattia (anche psichiatrica) rientra certamente  nell'obbligo di assistenza materiale e morale: il coniuge deve, quindi, fornire all'altro tutto il sostegno affettivo, spirituale e psicologico ed economico  che gli è necessario, soprattutto nello stato di malattia. La violazione di tale obbligo non è esente da conseguenze sul piano giuridico.

La giurisprudenza ha più volte chiarito, infatti,  che il coniuge che si disinteressi di quello malato trascurando i doveri di “solidarietà minima”  rischia non solo l'addebito della separazione  ma potrebbe essere  perseguibile penalmente per il reato di abbandono di persona incapace o  di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Tuttavia, l'obbligo di assistenza non può certo ritenersi assoluto e incondizionato.

La situazione cambia radicalmente  se  la malattia, come nel caso di specie,  influisce  sulla convivenza rendendola intollerabile. Non vi è dubbio che il marito rendendosi indisponibile a farsi aiutare, disertando le visite mediche, manifestando aggressività verbale verso moglie e figlia e omettendo anche di contribuire economicamente ai bisogni della famiglia tenga comportamenti non solo contrari ai doveri matrimoniali ma anche destabilizzati per l'equilibrio familiare rendendo intollerabile la convivenza.

E certamente l'eventuale  sopportazione di atti violenti e collerici del coniuge da parte dell'altro non esclude l'illiceità del comportamento.

La prima iniziativa che la moglie potrà quindi assumere è quella di richiedere la separazione giudiziale (eventualmente con addebito) e l'assegnazione della casa coniugale (laddove la figlia fosse minorenne) - così da interrompere la coabitazione - nonché le necessarie tutele economiche che la legge prevede in caso di separazione.

La Corte di Cassazione, intervenuta su un caso analogo, ha chiarito infatti che «la grave malattia psichiatrica di uno dei coniugi che si manifesta con atti di collera e violenze morali, ha inevitabili conseguenze nella vita degli altri componenti del nucleo familiare. Tali comportamenti, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé la pronuncia di separazione personale per intollerabilità della convivenza, e la dichiarazione di addebito» (Cass. 20 aprile 2023, n. 10711).

Incardinando il procedimento di separazione la moglie, come detto, potrà ottenere i provvedimenti economici a tutela propria  e della figlia  ovvero richiedere un assegno per sé (laddove priva di redditi adeguati) e per il mantenimento della figlia (laddove minorenne o maggiorenne ma non ancora economicamente indipendente ) posto che lo stato di disoccupazione causato dal licenziamento (in tale caso frutto peraltro di una condotta inadeguata volontaria) non giustifica di certo l'esonero del marito  dagli obblighi economici nei confronti della prole e del coniuge economicamente più debole. (Cass. sent. 29 gennaio 2013 n. 7372).

Chi non vuole versare il mantenimento deve, infatti, provare il proprio stato di nullatenenza e l'impossibilità di trovare un lavoro. Occorre in altre parole dimostrare l'impossibilità assoluta e oggettiva di reperire denaro e di svolgere un'attività lavorativa pena il rischio di rispondere del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Sempre nell'ambito della separazione potrà essere richiesta  al Tribunale una Ctu (consulenza tecnica d'ufficio) di natura psicologica sul marito al fine di valutare se la malattia psichiatrica da cui è affetto il padre incide sulle sue capacità genitoriali onde permettere al Giudice di assumere (laddove la figlia fosse minorenne) i provvedimenti più opportuni in punto di affidamento.

Visti i comportamenti tenuti (il marito è arrivato al punto anche di trascurare la propria igiene personale e la propria attività lavorativa) valuterei comunque la possibilità di richiedere la nomina di un ADS anche solo allegando la documentazione attestante l'avvenuta presa in carico del marito da parte del Centro di Salute Mentale.

Ai sensi dell'art. 404 c.c., la misura di protezione dell'amministrazione di sostegno può essere disposta nei confronti della persona «che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi».

La misura è stata disposta in favore di un'ampia categoria di beneficiari, tra i quali, rientrano anche

persone affette da infermità mentali e menomazioni psichiche: patologie psichiatriche, ritardo mentale, sindrome di down, autismo, malattia di Alzheimer, demenze, abuso di sostanze stupefacenti e alcoldipendenza; ma, anche, prodigalità, shopping compulsivo, ludopatia (talvolta anche in assenza di una specifica patologia (Cass. civ., 07 marzo 2018, n. 5492).

Legittimati attivi alla proposizione del ricorso, oltre che il Pubblico Ministero, sono il coniuge e i parenti entro il IV grado.

Pare peraltro discutibile la scelta dell'ASL di non assumere iniziative posto che per legge (art. 406 comma 3 c.p.c.) per la nomina dell'ADS prevede espressamente che devono attivarsi anche i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento di amministrazione di sostegno.

Essi stessi dovranno proporre il ricorso ex art. 407 c.c. al Giudice Tutelare, o, in alternativa, dovranno fornire notizia delle circostanze a loro note al Pubblico Ministero tramite apposita segnalazione.

In questo secondo caso, sarà poi la Procura della Repubblica a valutare l'eventuale proposizione del ricorso.

Si tenga poi conto che il procedimento per la nomina dell'ADS prevede che il Giudice si interfacci direttamente con la persona interessata recandosi anche nei luoghi in cui questa si trova e assuma informazioni dal coniuge e dai parenti entro il IV grado.

Il Giudice Tutelare, in virtù degli ampi poteri istruttori che gli sono riconosciuti dall'art. 407 c.c., può disporre, anche d'ufficio, ogni ulteriore accertamento, anche disponendo apposita consulenza tecnica in ordine alla capacità e autonomia del beneficiario.

Non si può escludere infatti che i comportamenti del marito descritti sfocino poi in vera e propria prodigalità aggravando il  rischio di indigenza a dispetto dei vincoli di solidarietà familiare.

La giurisprudenza ha infatti chiarito che «se una persona è libera di disporre del proprio patrimonio, diminuendo sempre più ciò di cui legittimamente dispone, non può ridursi nella condizione in cui non sia più in grado di assicurare gli obblighi di solidarietà già posti a suo carico – il mantenimento al coniuge separato ed esporsi a rischio di indigenza. Può essere nominato un amministratore di sostegno nell'interesse stesso del soggetto che, pur in assenza di una patologia psichica, ponga in essere condotte di dissipazione del denaro o del patrimonio ingiustificata o per motivi futili, frivolezza, vanità, ostentazione del lusso, o a dispetto dei vincoli di solidarietà familiare» (Cass. civ. 28 dicembre 2023 n. 36176).

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