È ammissibile l’adozione del figlio del coniuge dopo la separazione personale?

24 Luglio 2024

Una importante sentenza del Tribunale per i Minorenni di Trento merita particolare attenzione da parte di tutti gli operatori che si occupano di tematiche familiari: la decisione, infatti, affrontando il delicato profilo della richiesta di adozione del figlio del coniuge, avanzata dal genitore intenzionale durante la fase di separazione personale, consente all’interprete di ricostruire compiutamente il senso ed il significato del superiore interesse del minore, segnando un sicuro punto di riferimento.

Massima

Deve essere accolta, ex art. 44, comma 1, lett. b, l. 4 maggio 1983, n. 184, la richiesta di adozione avanzata dal genitore intenzionale di un minore, figlio biologico della moglie da cui, dopo aver convissuto per anni e dopo aver contratto matrimonio, si era successivamente separato, posto che la separazione non comporta la cessazione del rapporto di coniugio.

Il caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di un uomo di adottare, successivamente alla separazione, il figlio minore della moglie, nato prima del matrimonio da altra relazione sentimentale.

In particolare, il ricorrente (c.d. padre intenzionale), pur non essendo il padre biologico del minore, affiancava la compagna per tutto il corso della gravidanza, insieme assumevano il ruolo genitoriale e contraevano matrimonio, fino alla intervenuta separazione; anche successivamente alla separazione, il suo «coinvolgimento» nella vita del minore si manteneva stabile e costante, ed anzi «l’importanza del legame» veniva riconosciuta dalla stessa madre biologica, che ne favoriva la conservazione.

È in tale contesto, quindi, che si colloca la peculiarità della richiesta di adozione ex art. 44, comma 1, lett. b, l. n. 1984/1983, la quale è stata infatti avanzata (in totale accordo e con il pieno consenso della madre biologica) dal padre intenzionale non durante la convivenza, bensì durante la separazione personale dei coniugi.

La questione

La sentenza annotata affronta il delicatissimo profilo della istanza di adozione avanzata dal padre intenzionale di un minore, figlio biologico della donna da cui, dopo aver convissuto per anni e dopo aver contratto matrimonio, si separava. Il Tribunale per i Minorenni di Trento, chiamato alla decisione, si chiede: la fattispecie dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lett. b., può essere disposta durante la separazione dei coniugi?

Le soluzioni giuridiche

All'interrogativo posto, il Collegio giudicante risponde – valorizzando tanto gli elementi squisitamente giuridici quanto quelli propriamente fattuali – in senso esaurientemente affermativo.

Sotto il profilo giuridico la pronuncia, si sofferma innanzi tutto sull'origine del legame genitoriale in via adottiva e sulla diversità di presupposti ed effetti tra adozione piena o legittimante e adozione in casi particolari.

Con formulazioni rigorose e compiute, si trova scritto: «il legame genitoriale può originare da un procedimento adottivo», nel senso che «il genitore diventa tale in assenza di legame biologico con il minore e a seguito di procedura giurisdizionale che sostituisce al vincolo biologico una attribuzione giuridica della responsabilità genitoriale», onde «l'origine del progetto genitoriale non incide sullo stato giuridico dei figli che è sempre e comunque lo stesso» (Trib. min. Trento, 11 giugno 2024; Trib. min. Bologna, 25 giugno 2020; Trib. min. Bologna, 4 gennaio 2018; Trib. min. Bologna, sez. fam., 31 agosto 2017; Trib. min. Bologna, 6 luglio 2017).

Per effetto dell'adozione ordinaria, infatti, la relazione tra minore e adottante è del tutto equiparata a quella sussistente tra genitore biologico e la propria prole e si instaura, in sostituzione del precedente ed originario legame, «un rapporto di filiazione che si identifica giuridicamente nel rapporto di filiazione di sangue» (C.M. Bianca, Diritto civile, La Famiglia, II.1, Milano, 2017, pp. p. 455).

Tale adozione (cfr. S.A.R. Galluzzo, L. Dell'Osta, G. Spadaro, Adozione di minore di età, in IUS Famiglie, 2024), però, oltre alla sussistenza di taluni presupposti soggettivi degli adottanti (art. 6, l.ad.), richiede, che il minore sia stato giudizialmente dichiarato in stato di adottabilità (art. 7, l.ad.) in quanto privo di assistenza morale e materiale (c.d. «situazione di abbandono») da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi (art. 8, l.ad.).

Ebbene, l'importanza di questo tipo di misura di protezione (la quale «dà al minore abbandonato una nuova famiglia in sostituzione della famiglia di sangue» nonché «recide il vincolo sostanziale e formale … con la sua famiglia di sangue»: C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 454), consiste nel determinare un integrale inserimento del minore nella nuova famiglia (la quale «diventa l'unica famiglia»: C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 454), e dunque impone di vagliare attentamente e con particolare rigore i presupposti giustificativi dell'atto di adozione e specialmente della situazione di abbandono (cfr. A. Lestini, Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia: tra cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico, in IUS Famiglie, 2023).

A fronte di casi ordinari, la normativa disciplina anche l'adozione in «casi particolari» (i cui effetti sono regolati dagli artt. 45 e ss., l. n. 184/1983): l'istituto, che «non recide i rapporti del minore con la famiglia di origine» (C.M. Bianca, La Famiglia, cit., p. 500), in particolare, è ammesso «in diversi casi specifici che concernono, per lo più, ipotesi in cui vi è già una relazione genitoriale di fatto tra un bimbo ed un adulto» (Trib. min. Trento, 11 giugno 2024).

Ebbene, tale adozione (art. 44, l.ad.), ai fini che maggiormente interessano in questa sede – e, dunque, al di fuori delle ipotesi in cui il minore sia rimasto orfano e ciononostante appare già curato da parenti o conoscenti (o, più precisamente, vi siano soggetti uniti al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo: art. 44, comma 1, lett. a, l.ad.) ovvero dei casi in cui, oltre ad essere orfano, si trovi in condizione di diversa abilità (art. 44, comma 1, lett. c, l.ad) – è consentita «dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge» (art. 44, comma 1, lett. b, l.ad.) o «quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo» (art. 44, comma 1, lett. d, l.ad.).

In quest'ultima fattispecie rientrano, come noto, i casi in cui non vi è stato di abbandono e dove, tuttavia, l'adozione appare comunque consigliabile per una migliore tutela dei diritti del minore; ed infatti, la nozione di «impossibilità di affidamento preadottivo» (seppur tradizionalmente riferita a quelle situazioni in cui il minore versa in stato di abbandono, ma di fatto non risulta praticabile la sua adozione piena) «deve essere interpretata non già, restrittivamente, come impossibilità “di fatto”, bensì come impossibilità “di diritto”, così da comprendere anche minori non in stato di abbandono ma relativamente ai quali nasca l'interesse al riconoscimento di rapporti di genitorialità» (Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962).

Si rende pertanto opportuno verificare come ed eventualmente entro quali limiti le due fattispecie (art. 44, comma 1, lett. b e lett. c, l.ad.) possano eventualmente dialogare tra loro, nonché individuare le ipotesi che possano essere sussunte nell'una piuttosto che nell'altra.

Così impostato il discorso, tuttavia, al fine di delimitare ulteriormente il perimetro della trattazione, pare utile segnalare come in questa sede non si potrà affrontare il tema della possibilità – variamente argomentata – per il “convivente” (non coniugato) di adottare il figlio (di sangue o adottivo) dell'altro convivente, anche dello stesso sesso; argomenti, questi, assai rilevanti e sicuramente limitrofi all'ambito di indagine che ci occupa, ma che rischierebbero di obliterare l'importanza della specifica questione affrontata dal Tribunale di Trento.

Ecco che, piuttosto, occorre riflettere – prendendo le mosse dalla concreta vicenda in commento – sulla configurabilità dell'adozione ex art. 44, comma 1, lett. b, l.ad., nei casi in cui «il coniugo sia gravato dall'intervenuta separazione in seno alla coppia», posto che tale norma «dispone genericamente sul coniuge» (Trib. min. Trento, 11 giugno 2024).

Al riguardo, secondo alcune pronunce, rinvenibili nei più diversi contesti, si è ritenuto di poter al più applicare la differente ipotesi di cui all'art. 44, comma 1, lett. d, l.ad., prevista per la constatata impossibilità di affidamento preadottivo (cfr. Trib. min. Brescia, 9 ottobre 2018; Trib. min. Catania, 15 aprile 2024).

Un elemento significativo in questa direzione si rinviene nell'art. 25, comma 5, l.ad., dettato in materia di adozione piena: se nel corso dell'affidamento preadottivo interviene separazione tra i coniugi affidatari, l'adozione può essere disposta nei confronti di uno solo o di entrambi, nell'esclusivo interesse del minore, qualora il coniuge o i coniugi ne facciano richiesta; conseguentemente, se ne deduce che la tutela del superiore interesse del minore a vedere consolidata la relazione instaurata (peraltro a prescindere dalla stabile convivenza con l'adottante) dovrebbe a maggior ragione valere per l'adozione in casi particolari, avuto riguardo alla minor rigidità dell'istituto rispetto alla adozione c.d. legittimante (Trib. Min. Brescia, 9 ottobre 2018).

Parimenti si è detto (Trib. min. Venezia, 13 luglio 2021, con nota di M. Tudisco, La separazione della coppia omogenitoriale non osta all'adozione del minore, in IUS Famiglie, 2022) che non è di ostacolo all'accoglimento della domanda di questo tipo di adozione la circostanza che l'unione sentimentale fra due persone (anche se dello stesso sesso) sia venuta meno, perché essa non incide – di per sé solo – sul rapporto tra genitore intenzionale e figlio; piuttosto – come si proverà ad illustrare nel prosieguo – l'elemento decisivo dovrebbe individuarsi nel fatto che tra il richiedente e il minore sussista effettivamente (alla luce di tutte le circostanze del caso concreto) un valido rapporto affettivo.

Ma, a prescindere da tale aspetto, è noto come la separazione non comporta – a differenza del c.d. divorzio – lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Si tratta di un aspetto fondamentale; ed è qui che la decisione si presenta, dal punto di vista giuridico, assolutamente puntuale: con accurata e condivisibile motivazione, invero, si evidenzia che la richiesta di adozione avanzata dall'istante sia stata formulata correttamente, potendosi configurare un'ipotesi di applicazione dell'art. 44, comma 1, lett. b, l.ad., in quanto «non essendovi stata alcuna pronuncia divorzile» la madre biologica del minore ed il genitore intenzionale «sono considerati tuttora coniugi dall'ordinamento».

Altrove, del resto, la stessa Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di segnalare come non può escludersi l'adozione del figlio dell'altro coniuge, sulla base della sola separazione di fatto (dei coniugi), sempre che possa dirsi realizzata ed instaurata una positiva relazione tra il minore e la parte adottante; e, così, sebbene la dichiarazione di adozione presupponga, in generale, convivenza, armonia e comunione di vita tra i coniugi, subito si afferma che la cessazione della convivenza tra i coniugi non dovrebbe, sempre e comunque, far venir meno l'interesse del fanciullo all'adozione, essendo come è ovvio necessario, che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto l'interesse del minore (Cass., sez. I, 19 ottobre 2011, n. 21651).

Inoltre, nella medesima prospettiva, si è precisato come non costituisce ostacolo all'adozione del minore da parte del coniuge di uno dei genitori con lui convivente, la circostanza che il minore mantenga rapporti con l'altro genitore, impossibilitato a far fronte al mantenimento, poiché in questi casi l'adozione realizza appieno il preminente interesse del fanciullo alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico (Cass., sez. I, 5 aprile 2022, n. 10989).

Osservazioni

La decisione in epigrafe, sicuramente apprezzabile quanto all’inquadramento della vicenda entro la giusta cornice normativa (art. 44, comma 1, lett. b anziché lett. d, l.ad.), merita altresì di essere letta con favore in quanto, valorizzando le risultanze istruttorie, richiama l’attenzione su tutti gli elementi fattuali che hanno fatto propendere – evidentemente nell’imprescindibile ottica del superiore interesse del minore e del mantenimento della continuità affettiva con il padre intenzionale – per la soluzione prescelta, e su cui non pare inutile soffermarsi.

Il ricorrente «ha fin da subito voluto rappresentare una figura di riferimento per il minore», con un coinvolgimento, stabile e costante, nella vita del minore anche dopo la cessazione della convivenza con l’ex compagna, e sempre «assumendosi il ruolo di padre ed instaurando con il piccolo … un rapporto significativo esistente e di cui tutti riconoscono l’importanza».

Il padre intenzionale e la madre biologica, poi, si sono mostrati in buoni rapporti e consapevoli della necessità di agire – anche condividendo le decisioni in ambito sanitario, educativo e scolastico – nel modo più incline a garantire l’interesse del minore, «senza rancori o risentimenti dovuti alla fine della loro relazione».

Il minore da parte sua appare senz’altro «consapevole dell’esistenza del padre biologico», ma – come si è appurato nel corso del giudizio – «quando utilizza il termine “papà” egli si riferisce esclusivamente al [genitore intenzionale], pur mostrando di aver ben chiaro che esiste un padre biologico diverso»; si denota se non propriamente una sicura maturità, quantomeno, una capacità del minore di comprendere a pieno il significato della richiesta avanzata dalla persona che vorrebbe, anche formalmente, un riconoscimento del «rapporto giuridico».

Il minore così si esprime: «per me» il ricorrente «è come fosse mio papà, gli voglio bene e mi sembra che anche lui me ne voglia».

L’ascolto del minore e la volontà così incisivamente espressa consentono solamente una breve riflessione.

L’affermazione, nell’incipit, è piena di discrezione e modestia (“per me”). Intercetta, nel mezzo, una comparazione (“è come”); per il vero due, posto l’ulteriore distinguo che il minore opera quando parla del nuovo compagno della madre, specialmente nella parte in cui riferisce di volergli bene ma che «è un po’ meno di papà». Prosegue, netta e sicura con un riconoscimento di chiara stima ed affetto verso il genitore intenzionale (“gli voglio”), per concludere, alfine, con un tacito auspicio (“mi sembra”).

Eppure, se si tratti veramente di tacito auspicio non è dato sapere: pare di capire, tuttavia, che la dichiarazione del giovane non solo riflette l’immagine di una circostanza vissuta e veduta (tale è il legame genitoriale ed il legame con altri soggetti, pur importanti nella sua vita), ma sembra proiettata nel futuro, nell’attesa di quella decisone che sola avrebbe potuto – come in effetti è poi accaduto, stante anche il parere conforme del Pubblico Ministero – formalizzare «una relazione positiva, stabile, che nei fatti già esiste fra il padre intenzionale e figlio sin dalla sua nascita».

In definitiva, la specialistica sensibilità mostrata dalla sentenza in epigrafe offre al lettore, nello specifico contesto delle adozioni, un sicuro punto di riferimento, contribuendo a far comprendere a tutti gli operatori (non solo giuridici) che si occupano di tematiche familiari il vero senso del significato del superiore interesse del minore: perché – come ha efficacemente avvertito Baruch Spinoza (Etica, 1677) – «chi vive guidato dalla ragione si sforza, per quanto può, di ricambiare l’odio, l’ira, il dispregio, eccetera, di altri contro di lui, con l’amore, ossia con la generosità».

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