Violazioni del diritto umanitario convenzionale: la Corte EDU sulle repressioni commesse dalla Federazione russa nei territori dell’ex Repubblica autonoma della Crimea
29 Luglio 2024
La vicenda processuale e le violazioni del diritto umanitario convenzionale compiute dalla Federazione Russa dopo l'annessione dei territori dell'ex Repubblica Autonoma della Crimea Questo caso trae origine dalle vicende persecutorie denunciate dall'Ucraina a seguito dell'annessione unilaterale della Repubblica Autonoma della Crimea da parte della Federazione Russa, avvenuta il 27 febbraio 2014. Con i due ricorsi da cui traeva origine il presente procedimento, in parte coincidenti sul piano delle censure proposte, il Governo ucraino sosteneva che la Federazione Russa era responsabile di un sistema di violazioni dei diritti umani, attuato nei territori occupati militarmente, allo scopo di reprimere ogni forma di dissenso politico, affermando che tale strategia repressiva era finalizzata a soffocare ogni forma di opposizione politica, ideologica e culturale. Con il primo di tali ricorsi, originariamente iscritto con il n. 20958/14, il Governo ucraino denunciava una serie di pratiche repressive attuate dalla Federazione Russa, consistenti in sparizioni forzate di oppositori politici; maltrattamenti, fisici e morali, in occasione di detenzioni illegali; accessi illegali in abitazioni private; vessazioni e intimidazioni nei confronti di esponenti religiosi che non professavano la fede russa ortodossa; irruzioni arbitrarie nei luoghi di culto di fede diversa da quella russa ortodossa; confisca di beni religiosi; soppressione di forme di comunicazione non controllate dalle forze occupanti; divieto di svolgere riunioni pubbliche e manifestazioni di sostegno all'Ucraina o alla Repubblica Autonoma della Crimea; espropriazione illegale di beni di civili e di imprese private; soppressione della lingua ucraina nelle scuole ed emarginazione degli scolari di lingua ucraina; restrizione della libertà di movimento tra la Crimea e l'Ucraina; discriminazione, politica, culturale e linguistica della comunità tatara di Crimea, storicamente presente in quell'area geografica. Con il secondo di tali ricorsi, originariamente iscritto con il n. 38334/14, invece, il Governo ucraino denunciava l'illegalità diffusa dei procedimenti giudiziari attivati nei confronti di oppositori politici filo-ucraini; l'illegale privazione della libertà di oppositori politici filo-ucraini perpetrata dalle forze occupanti russe; le condanne illegali di cittadini crimeani conseguente alla loro posizione politica filo-ucraina; la pratica della tortura finalizzata ad acquisire le confessioni di oppositori politici crimeani; l'imprigionamento di un numero elevato di oppositori politici, finalizzato a intimidire la popolazione crimena e a dissuadere ogni forma di dissenso, anche solo ideologico o culturale, rispetto all'invasione russa. In entrambi i ricorsi, il Governo ucraino citava numerosi testimoni, tra cui diversi esponenti delle comunità ucraine, crimeane e tatare, per corroborare l'ipotesi secondo cui le violazioni dei diritti umani avevano assunto connotazioni seriali e miravano a contrastare ogni forma di dissenso politico, rispetto all'annessione dell'ex Repubblica Autonoma della Crimea. In questo ambito, si richiamavano anche alcuni rapporti intergovernativi – tra cui un rapporto di 2017 dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e un rapporto del 2023 del Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa –, rapporti redatti per conto di organizzazioni non governative e documenti forniti dalle autorità ucraine. Tuttavia, tali deduzioni venivano contestate dal Governo russo, che evidenziava la legalità dell'applicazione della legislazione russa ai cittadini dei territori occupati per effetto dell'annessione della Crimea, avvenuta il 27 febbraio 2014, che comportava che l'area crimeana doveva ritenersi parte integrante della Federazione Russa, come sancito dal Trattato di adesione sottoscritto il 18 marzo 2014. Ne conseguiva che le misure controverse, essendo state adottate nel pieno rispetto dell'ordinamento giuridico russo, legittimamente applicato nei territori dell'ex Repubblica Autonoma della Crimea, dovevano ritenersi pienamente rispettose della Convenzione EDU. La decisione della Corte EDU e l'accoglimento dei ricorsi proposti dal Governo ucraino La Corte EDU, nell'esaminare i ricorsi presentati dal Governo ucraino, riteneva anzitutto di potere esercitare legittimamente la sua giurisdizione sulle violazioni oggetto di censura giurisdizionale, relative alle attività poste in essere dalla Federazione Russa nei territori dell'ex Repubblica Autonoma della Crimea, dopo l'annessione unilaterale di tale area, che aveva luogo il 27 febbraio 2014. La Corte EDU, inoltre, riteneva di potere esercitare la propria giurisdizione convenzionale fino al 16 settembre 2022, a partire dal quale la Federazione Russa aveva cessato di aderire alla Convenzione EDU, con la conseguenza che, oltre tale data, non si ritenevano valutabili le violazioni dei diritti umani convenzionali lamentate dal Governo ucraino con i suoi ricorsi. Si riteneva, ulteriormente, che, nonostante la sottoscrizione del Trattato di adesione, avvenuta il 18 marzo 2014, il diritto umanitario convenzionale avrebbe dovuto essere applicato dalla Federazione Russa nei territori occupati, con la conseguenza che lo Stato resistente non poteva, quantomeno fino alla data del 16 settembre 2022, estendere incondizionatamente l'applicazione della legislazione russa nell'area crimeana in pregiudizio della Convenzione EDU. Si sottolineava, ancora, la difficoltà di accertare processualmente questioni così complesse, anche tenuto conto dell'ampiezza dell'arco temporale considerato, della vastità delle aree geografiche coinvolte dalle lamentate violazioni e dell'elevato numero dei soggetti coinvolti. Tale difficoltà appariva ancora più problematica alla luce del rifiuto della Federazione Russa di consentire l'accesso alle zone coinvolte dalle lamentate violazioni a esponenti di organizzazioni internazionali indipendenti rispetto alle parti in causa; rifiuto che, oltretutto, concretizzava una violazione degli obblighi convenzionali stabiliti dall'art. 38 CEDU. In questo, stratificato, contesto, la Corte EDU riteneva che il numero elevato di violazioni accertati – che imponevano di ritenere sostanzialmente fondati i ricorsi oggetto di vaglio – e la loro interconnessione consentivano di affermare la sistematicità dei pregiudizi dei diritti umani convenzionali lamentati dal Governo ucraino, che costituivano un modello operativo adottato dalla Federazione Russa nell'area crimeana, funzionale a reprimere ogni forma di dissenso politico, ideologico e culturale, manifestato dalle popolazioni delle zone occupate a partire dall'annessione del 2014. Le singole violazioni riscontrate dalla Corte EDU a) la violazione degli artt. 2, 3 e 5 CEDU Passando a considerare le singole violazioni censurate, occorre anzitutto evidenziare che la Corte EDU osservava che erano stati documentati 43 casi di sparizioni di oppositori politici filo-ucraini, verificatisi, dopo l'annessione dell'area crimena da parte della Federazione Russa, tra il 2014 e il 2018. Tali episodi erano stati accertati grazie alle testimonianze di una parte delle vittime – generalmente attivisti politici e giornalisti – di tali condotte illegali, che avevano riferito di essere state rapite e di avere subito maltrattamenti, fisici e morali, per mano delle forze dell'ordine russe, durante il loro trattenimento. I comportamenti censurati dal Governo ucraina venivano ricondotti dalla Corte di Strasburgo alle, pur legittime, manifestazioni di dissenso alla politica di annessione unilaterale russa e, con varietà di sfumature interpretative, si ritenevano violativi dei diritti umani convenzionali previsti dall'art. 2 CEDU, che tutela il diritto alla vita; dall'art. 3 CEDU, che sancisce la proibizione della tortura; dall'art. 5, che tutela il diritto alla libertà e alla sicurezza. Si muoveva, a ben vedere, nella stessa direzione il Rapporto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani del 2017, che, tra l'altro, aveva rilevato e «molteplici e gravi violazioni […] arresti e detenzioni arbitrarie […] maltrattamenti e tortura […]», evidenziando che, in numerosi casi, le vittime di tali condotte illegali erano state ristrette «in isolamento, legate, bendate, picchiate […] fulminate […] e minacciate di stupro […]». La Corte alsaziana, al contempo, aveva accertato, sulla base degli elementi di prova acquisiti in giudizio, che i responsabili di tali violazioni dei diritti umani convenzionali, nella totalità dei casi, appartenevano alle forze di autodifesa della Crimea, alle forze armate russe e a esponenti dei servizi segreti del Paese occupante; il che poneva i comportamenti censurati dal Governo ucraino in palese contrasto con i principi affermati dall'art. 5 CEDU, così come canonizzato dalla Corte di Strasburgo in alcune pronunce adottate proprio nei confronti della Federazione Russa (tra le altre, Corte EDU, Baïssaïeva c. Russie, 5 aprile 2011, n. 74237/01, § 119; Corte EDU, Beksultanova c. Russie, 27 settembre 2011, n. 31564/07, § 83; Corte EDU, Medova c. Russie, 15 gennaio 2009, n. 25385/04, § 90). Tuttavia, nonostante la gravità di tali violazioni dei diritti umani convenzionali le autorità russe non avevano attivato alcun percorso investigativo, finalizzato a individuare gli autori delle condotte illegali, pur lamentate dal Governo ucraino, che aveva sempre inoltrato apposite proteste formali, con il quale non era stata avviata alcuna, pur richiesta, interlocuzione. Le violazioni dei diritti umani convenzionali censurate dalla Coorte strasburghese, peraltro, apparivano ulteriormente aggravate dal fatto che i prigionieri politici filo-ucraini erano stati trattenuti in condizioni di detenzione assolutamente inadeguate, rilevanti ai sensi dell'art. 3 CEDU, che discendevano dalle carenze generali nell'organizzazione e nel funzionamento del sistema carcerario della Crimea, che si caratterizzavano per il grave sovraffollamento e le pessime condizioni igieniche dell'unica struttura penitenziaria presente in quell'area geografica (tra le altre, Corte EDU, Mursic c. Croazia, 12 marzo 2015, n. 7334/13, §§ 23-34; Corte EDU, Vasyukov c. Russia, 5 aprile 2011, n. 2974/05, § 59; Corte EDU, Popov c. Russia, 13 luglio 2006, n. 26853/04, § 208). Si muoveva, del resto, nella stessa direzione il Rapporto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani del 2017, che aveva evidenziato come «un numero considerevole della popolazione carceraria della Crimea è stata trasferita nella Federazione Russa» e che erano avvenuti «anche trasferimenti di detenuti in custodia cautelare»; trasferimenti giustificati dalla «mancanza di strutture penitenziarie specializzate in Crimea». In questo contesto, si segnalava che, secondo le informazioni acquisite, fino al 2022, il numero assolutamente considerevole, in rapporto alla popolazione delle aree occupate, di 12.500 prigionieri era stato trasferito dalla Crimea in strutture penali ubicate nel territorio russo. Senza considerare che tali trasferimenti comportavano per i prigionieri politici filo-ucraini, lunghi spostamenti dal luogo di residenza e disagi causati dalla separazione dalle loro famiglie, impossibilitate a visitare i propri congiunti, che determinava la violazione dell'art. 3 CEDU in combinato disposto con l'art. 8 CEDU (Corte EDU, Vasyukov c. Russia, 5 aprile 2011, n. 2974/05, cit.). b) la violazione dell'art. 6 CEDU La Corte EDU, inoltre, evidenziava che nei confronti dei prigionieri politici filo-ucraini era stata fatta applicazione della legislazione russa, in violazione delle norme stabilite dalla Convenzione EDU e della previsione dell'art. 6, par. 1, CEDU, che garantisce agli individui il diritto a un equo processo, stabilendo: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia». Non era, infatti, possibili fare applicazione di tale previsione normativa, non risultando, a seguito dell'annessione russa, i tribunali crimeani chiamati a giudicare delle condotte dissenzienti degli oppositori politici filo-ucraini istituiti nel rispetto dell'art. 6, par. 1, CEDU, che, all'evidenza, non consentiva l'utilizzazione di norme generali provenienti dalla legislazione dello Stato occupante, che aveva operato un'annessione unilaterale delle preesistenti istituzioni giudiziarie. Si evidenziava ulteriormente che tali violazioni apparivano ulteriormente aggravate dal fatto che l'applicazione indiscriminata della legislazione russa aveva comportato la violazione dell'art. 6, par. 1, CEDU in correlazione con il disposto dell'art. 7 CEDU, essendo state accertate numerose condanne verificatesi in violazione del principio di irretroattività della legge penale, che, pur costituendo uno dei capisaldi del diritto umanitario convenzionale, aveva comportato, per numerosi oppositori filo-ucraini sottoposti a processo, l'irrogazione di condanne penali per fatti di reato connotati da imprevedibilità. Ne discendeva che l'attività di persecuzione posta in essere dalla Federazione Russa nei confronti dei “prigionieri politici ucraini” doveva ritenersi rappresentativa di un modello di ritorsione collettiva incentrato sull'abuso seriale del diritto penale, finalizzato a reprimere ogni forma di dissenso politico e ideologico, in evidente contrasto con i principi affermati dall'art. 6, par. 1, CEDU, soprattutto affermati dalle sentenze, espressamente richiamate nella decisione in esame, Corte EDU, Jorgic c. Germania, 6 settembre 2018, n. 74613/01, §§ 64 e 65, e Corte EDU, Năstase c. Romania, 18 novembre 2014, n. 80563/12, §§ 105-109). In questo modo, le autorità occupanti avevano tentato di sopprimere ogni forma di dissenso politico, che, pur, costituisce la piattaforma ideologica di una democrazia politica effettiva governata da uno Stato di diritto; concetti ai quali fa espressamente riferimento il preambolo della Convenzione EDU, di cui si ribadiva l'immanenza in una società democratica. c) la violazione dell'art. 8 CEDU Le fonti di prova prodotte dal Governo ucraino a sostegno dei suoi ricorsi, ancora, evidenziavano la sussistenza di gravi difficoltà nel mantenimento della propria identità nazionale e culturale della popolazione crimeana, essendo stato imposta automaticamente la cittadinanza russa alla popolazione delle aree annesse e non essendo state consentito, se non in rare eccezioni, numericamente irrilevanti, il mantenimento della nazionalità originaria, in violazione dell'art. 8 CEDU, che assicura ai cittadini il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Non erano, infatti, state previste norme chiare sulle procedure attivabili per mantenere la propria nazionalità originaria, a differenza del sistema per ottenere un passaporto russo, notevolmente semplificato; carenze procedurali talmente significative da non consentire ai cittadini residenti in Crimea di potere effettivamente rinunciare alla cittadinanza russa, determinando un'inammissibile compressione delle esigenze di tutela espresse dall'art. 8 CEDU, in particolar modo affermate da Corte EDU, Ramadan c. Malta, 21 giugno 2016, n. 76136/12, § 85. Si muovevano, a ben vedere, nella stessa direzione le sistematiche violazioni del diritto al rispetto del domicilio privato, segnalate dalle vittime di attività investigative illegali poste in essere dalle forze dell'ordine russe e dalle organizzazioni non governative che avevano monitorato il rispetto delle garanzie processuali dei dissidenti filo-ucraini fino al 2022. Tale violazione si era concretizzata attraverso l'esecuzione di perquisizioni su larga scala di abitazioni private, che avevano coinvolto un numero elevato di oppositori politici filo-ucraini e di appartenenti alla comunità locale tartara. Queste perquisizioni risultavano connotate da arbitrarietà, venendo giustificate dalla legislazione russa per il contrasto degli estremisti politici, in palese violazione del disposto dell'art. 8 CEDU, non essendo agevole per gli interessati comprendere i presupposti sulla base dei quali tali misure fortemente penalizzanti venivano adottate, anche in considerazione del fatto che tali atti investigativi, generalmente, venivano adottati in assenza di appositi mandati di perquisizione preventivamente emessi dall'autorità giudiziaria. d) la violazione dell'art. 9 CEDU Gli elementi probatori acquisiti consentivano alla Corte EDU di affermare che, nel corso dell'annessione dei territori della Crimea e di Sebastopoli, si era concretizzata un'incisiva attività persecutoria in danno di esponenti del mondo religioso estraneo alla fede russo-ortodossa, destinatari di perquisizioni e arresti arbitrari, oltre che di confische di beni; condotte, queste, che si ritenevano violative dell'art. 9 CEDU, che garantisce la libertà di coscienza, di pensiero e di religione. Si segnalava, in proposito, che numerosi luoghi di culto della Chiesa ortodossa ucraina facente parte del Patriarcato di Kiev erano sono stati sequestrati, interdetti al pubblico o sottoposti a devastazione da parte delle forze armate russe. Ai preti di tale confessione religiosa, inoltre, era stato vietato l'ingresso nei loro edifici di culto, senza alcuna giustificazione. Si evidenziava, al contempo, che i permessi di soggiorno precedentemente rilasciati a 24 ministri di culto di fede musulmana e cattolica non erano stati rinnovati; anche in questo caso senza alcuna giustificazione. Queste attività persecutoria avevano comportato, come peraltro ammesso dallo stesso Governo russo, che le oltre 2.000 organizzazioni religiose operanti in Crimea prima del febbraio 2014, nel settembre 2017, arrivassero al numero, fortemente ridotto rispetto al passato, di 800 gruppi. La Corte EDU, infine, rappresentava gli elementi probatori acquisiti consentivano di individuare, quali responsabili delle attività persecutorie in questione, esponenti delle forze armate russe o comunque rappresentanti delle istituzioni locali filo-russo, rendendo incontroversa, anche in questo caso, la riconducibilità delle violazione dei diritti umani convenzionali di cui all'art. 9 CEDU alla politica di repressione del dissenso politico e ideologico attuata sui territori crimeani annessi alla Federazione Russa nel corso del 2014. e) la violazione dell'art. 10 CEDU Significative violazioni dei diritti umani convenzionali venivano segnalate dalla Corte alsaziana anche in relazione alla libertà di espressione delle opinioni politiche delle persone, rilevante ai sensi del disposto dell'art. 10 CEDU, che tutela la libertà di espressione. Tali violazioni rientravano nel progetto di contrasto al dissenso politico e ideologico all'annessione russa, che aveva determinato la creazione di un sistema mediatico non rispettoso dei parametri convenzionali e contrastante con le istituzioni sociali di un Paese democratico (si veda, tra le tante, la recente Corte EDU, NIT s.r.l. c. Repubblica di Moldavia, 5 aprile 2022, n. 28470/12, § 182). Si segnalava, in proposito, che le autorità russe avevano disposto la cessazione delle pubblicazioni del periodico Krymska, che era il solo quotidiano di lingua ucraina operante nel territorio dell'ex Repubblica Autonoma della Crimea, alla quale aveva fatto seguito il rifiuto di consentire la trasmissione mediatica di programmi filo-ucraini. Anche in questo caso, la Corte EDU segnalava un dato statistico allarmante preoccupante, evidenziando che il numero degli operatori mediatici complessivamente presenti in Crimea, in pochi anni, era passato dalle 3.000 unità a 200 unità; dato, quest'ultimo, incontroverso, essendo stato segnato da Roskomnadzor, che è il servizio federale per la supervisione delle comunicazioni, della tecnologia dell'informazione e dei mass media della Federazione Russa. f) la violazione dell'art. 11 CEDU La Corte EDU segnalava, ancora, che il Rapporto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani del 2017 aveva consentito di evidenziare significative violazioni dei diritti umani convenzionali tutelati dall'art. 11 CEDU, che garantisce la libertà di riunione e di associazione. Sul piano cronologico, tale compressione sistematica dei diritti umani convenzionali di cui all'art. 11 CEDU venivano ricondotti alla dichiarazione rilasciata dal Procuratore della Crimea il 23 settembre 2014, che, in occasione di una manifestazione pubblica, affermato che «tutte le azioni volte al non riconoscimento della Crimea come parte della Federazione Russa saranno perseguite». Ne era derivato che ogni manifestazione del pensiero riconducibile a un'assemblea, a un gruppo spontaneo o anche solo a un cittadino, con cui veniva che espressa solidarietà all'Ucraina e alla popolazione filo-ucraina dei territori annessi unilateralmente dalla Federazione Russa doveva ritenersi contraria alla legislazione vigente in tali aree geografiche. In conseguenza di tale proclama era stato realizzato un modello di controllo politico antidemocratico, realizzato in palese contrasto con l'art. 11 CEDU, attraverso il quale erano stati vietati raduni pubblici e manifestazioni di sostegno all'Ucraina o alla comunità tartara della Crimea, che, tra l'altro, aveva comportato l'arresto arbitrario degli organizzatori di tali incontri, di cui la Corte strasburghese ribadiva l'irrinunciabilità in un Paese che si ispirava ai valori di una società democratica, così come recepiti nel continente europeo dalla Convenzione EDU. g) la violazione dell'art. 14 CEDU La Corte EDU evidenziava ulteriormente che gli elementi probatori acquisiti consentivano di affermare una massiccia attività persecutoria posta in essere dalle forze occupanti russe nei confronti della popolazione tartara, che costituiva una minoranza storicamente presente in Crimea, in violazione dell'art. 14 CEDU, che sancisce il divieto di discriminazione. Si riferiva, in proposito, di numerosi «atti di intimidazioni, pressioni, aggressioni fisiche, avvertimenti nonché le molestie attraverso provvedimenti giudiziari, tra cui divieti, perquisizioni domiciliari, detenzioni e sanzioni»; comportamenti persecutori che costituivano l'esemplare rappresentazione della violazione del divieto di discriminazione sancito dall'art. 14 CEDU, così come canonizzato dai Giudici alsaziani in numerose pronunce (si vedano, tra le altre, le recenti Corte EDU, Savickis c. Lettonia, 9 giugno 2022, n. 49270/11, §§ 183 e 186; Corte EDU, Makarčeva c. Lituania, 28 settembre 2021, n. 31838/19, § 68). Sul piano statistico, la Corte di Strasburgo segnalava che, per effetto di tali attività persecutorie, un elevato numero di esponenti della minoranza tartara crimeana aveva lasciato i territori annessi alla Federazione Russa, rappresentandosi che «tra i 15.000 e i 30.000 tartari di Crimea erano fuggiti dal territorio della penisola». A ulteriore conferma del clima persecutorio attuato in danno della minoranza etnica in questione, la Corte EDU evidenziava che le abitazioni della popolazione tartara crimeana erano state contrassegnate da croci. Era, infine, evidente che tali attività persecutorie non potevano ritenersi attuate casualmente o sulla scorta di decisioni estemporanee, in conseguenza del fatto che la minoranza tartara, fin dall'annessione del 2014, era stata percepita, nel suo complesso, come filo-ucraina. Proprio per tali ragioni, non soltanto la minoranza in questione era stata destinataria di una massiccia attività persecutoria, ma, addirittura, la popolazione riconducibile alla maggioranza etnica della Crimea era stata incoraggiata a segnalare e denunciare i tartari, tendenzialmente individuati – generalmente senza alcuna prova concreta che consentisse di corroborare tale assunto – come appartenenti a una fazione di estremisti politici. h) la violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale CEDU Oltre alle violazioni dei diritti umani convenzionali che si sono passate in rassegna, riconducibili agli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 9, 10, 11 e 14 CEDU, la Corte di Strasburgo segnalava l'ulteriore lesione di alcune delle garanzie convenzionali riconosciute dal Protocollo addizionale e dal Protocollo n. 4CEDU. Su, residue, violazioni dei diritti umani convenzionali da parte della Federazione Russa, occorre soffermarsi partitamente. Occorre, innanzitutto, richiamare la violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale CEDU, che garantisce la protezione della proprietà, a proposito della quale la Corte EDU evidenziava che le autorità russe, a partire dal 2014, avevano attuato una politica repressiva finalizzata ad attuare, su larga scala, forme sistematiche di esproprio e di nazionalizzazione di beni, mobili e immobili, appartenenti a civili e di imprese private operanti in Crimea, che erano state realizzate senza la corresponsione di alcun compenso ai titolari di tali cespiti. Si evidenziava, al contempo, che la gravità di tali condotte era accentuata dal fatto che non si comprendeva attraverso quali procedure erano state effettuate tali illegittime ablazioni, non essendo chiaro le ragioni che, caso per caso, le giustificavano, quali garanzie erano state riconosciute ai destinatari dei relativi provvedimenti acquisitivi e quali mezzi di impugnazione potevano essere esperiti in sede giurisdizionale a tutela delle parti ablate (tra le altre, Corte EDU, Everest Estate LLC c. Federazione Russa, 2 maggio 2018, n. 2015-36, § 21; Corte EDU, Public Joint Stock Company “State Savings Bank of Ukraine” (JSC Oschadbank) c. Federazione Russa, 26 novembre 2018, n. 2016-14, §§ 55 e 56). Era evidente, pertanto, che anche tali acquisizioni rientravano in un più vasto contesto strategico, finalizzato a reprimere ogni forma dissenso politico e ideologico nei confronti delle forze politiche occupanti, non potendosi giustificare le ablazioni in questione con la necessità di provvedere al sostentamento dell'esercito occupante – solo in alcuni casi, ancorché genericamente richiamata –, che costituiva una giustificazione, oltre che connotata da assertività, svincolata dai parametri affermati dell'art. 1 del Protocollo Addizionale CEDU. i) la violazione dell'art. 2 del Protocollo addizionale CEDU La Corte EDU, inoltre, segnalava che, a partire dal marzo 2014, si era registrato un calo consistente del numero di strutture educative e di classi in cui, in Crimea, si insegnava agli studenti in lingua ucraina. Tale consistente decremento doveva ritenersi la conseguenza delle politiche di repressione del dissenso filo-ucraino, attuate dalle autorità occupanti in violazione dell'art. 2 del Protocollo addizionale CEDU, che garantisce il diritto all'istruzione scolastica dei cittadini. Si richiamava, in proposito, il recente intervento della Corte internazionale di Giustizia, riconducibile alla decisione del 31 gennaio 2024, in cui si evidenziava che si era riscontrato «un calo dell'80 % nel numero dei studenti che ricevono un'istruzione in lingua ucraina durante il primo anno dopo il 2014 e un ulteriore calo del 50 % entro l'anno successivo». Nella stessa direzione, si muoveva il già citato Rapporto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani del 2017, che evidenziava come «l'istruzione in lingua ucraina era quasi scomparsa dalla Crimea», determinando la sostanziale compressione delle garanzie riconosciute dall'art. 2 del Protocollo addizionale CEDU, in linea con quanto affermato fin dalla risalente Corte EDU, Leyla Şahin c. Turchia, 6 febbraio 2010, n. 44774/98, §§ 134 e 136. Più in generale, si evidenziava che le forze occupanti russe avevano attuato una politica repressiva finalizzata a dissuadere la popolazione delle aree geografiche annesse dall'utilizzo della lingua ucraina in manifestazioni pubbliche e in attività educative, che aveva indotto la Corte di Strasburgo, richiamando le parole di un alto prelato locale crimeano, Clément de Simferopol, che «le autorità della Crimea avevano creato un'atmosfera di ucrainofobia e l'intolleranza all'identità ucraina, che ha influenzato la scelta della lingua di insegnamento». l) la violazione dell'art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU La Corte EDU, infine, segnalava la violazione dell'art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU, che tutela la libertà di circolazione, osservando che le restrizioni alla libertà di movimento tra la Crimea e l'Ucraina continentale non erano oggetto di controversia tra le parti – avendo la Federazione Russa ammesso la creazione di nuovi confini interstatuali – ed erano state confermate da tutte le prove disponibili. Tali restrizioni rendevano evidente che l'annessione delle aree geografiche controverse aveva comportato una significativa compressione dei diritti umani convenzionali della popolazione locale riconducibili all'art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU, in linea con quanto denunciato dal Governo ucraino. Conclusioni Con una storica sentenza la Corte EDU è intervenuta sulle conseguenze dell'annessione unilaterale del territorio dell'ex Repubblica Autonoma della Crimea da parte della Federazione Russa e sugli effetti, rilevanti sul piano delle violazioni del diritto umanitario convenzionale, che trova copertura nella Convenzione EDU, prodotti dall'occupazione militare di tale area geografica, che aveva avuto inizio il 27 febbraio 2024 e si protrae tuttora. Con la pronuncia in esame, in particolare, la Corte di Strasburgo, in sostanziale accoglimento dei due ricorsi proposti dal Governo ucraino, ha riconosciuto che la Federazione Russa, a partire dall'annessione del 2024, aveva dato vita a una campagna di repressione contro la popolazione locale crimeana di lingua ucraina, contro la minoranza tartara e contro gli oppositori politici filo-ucraini, che comprendeva sparizioni individuali; detenzioni illegali; maltrattamenti, fisici e morali, degli oppositori politici durante l'arresto; l'impossibilità di rinunciare alla cittadinanza russa da parte della popolazione delle aree crimeane annesse; la soppressione dei media ucraini; il divieto dell'uso della lingua ucraina nelle scuole e nelle istituzioni educative; il trasferimento di un numero elevato di prigionieri politici dalla Crimea a strutture penitenziarie ubicate in zone remote della Russia. Tali conclusioni assumono un rilievo ancora maggiore alla luce del fatto che la Federazione russa, fino al 2022, che è l'anno in cui non prendeva più parte ai procedimenti giudiziari instaurato davanti alla Corte EDU, aveva negato tutte le accuse di violazioni dei diritti umani convenzionali in Crimea, nonostante le emergenze giudiziarie univocamente orientate in senso sfavorevole alla parte resistente. Trattandosi di incidenti sufficientemente numerosi e interconnessi, la Corte EDU ha ritenuto sussistente un “sistema di violazioni” consolidato e reiterato nel tempo, in conseguenza del quale si ordinava alla Federazione Russa di adottare, con la massima urgenza, tutte le misure per garantire il ritorno sicuro dei prigionieri trasferiti dalla Crimea nelle prigioni russe. In questa cornice, la Corte di Strasburgo riteneva che il numero elevato di violazione dei diritti umani accertate e la loro interconnessione consentiva di affermare la sistematicità delle violazioni dei diritti umani lamentati dal Governo ucraino, che costituivano un modello operativo adottato dalla Federazione Russa nelle aree della Crimea e di Sebastopoli, funzionale a reprimere ogni forma di dissenso politico, ideologico e culturale, sviluppatosi nelle popolazioni delle zone occupate. Non può, in proposito, non rilevarsi che le conclusioni alle quali giungeva la Corte EDU impongono di affermare che le attività persecutorie censurate non potevano ritenersi attuate casualmente o estemporaneamente, costituendo una conseguenza del fatto che ogni forma di dissenso politico, ideologico e culturale – come ad esempio quello riconducibile alla minoranza tartara, costretta in massa ad abbandonare la Crimea – veniva ritenuta di ostacolo alle politiche di annessione attuate dalla Federazione Russa e, per questa sola ragione, veniva contrastata con violenza, con strumenti inammissibili alla luce del diritto umanitario convenzionale consolidatosi da decenni. L'impatto di tale pronuncia sarà verosimilmente limitato dal fatto che la Federazione Russa, oltre a non partecipare ai procedimenti giudiziari che si svolgono davanti alla Corte EDU, a partire dal 2022, si è rifiutata espressamente di riconoscerne la validità giuridica. Tuttavia, l'importanza di tale pronuncia strasburghese rimane comunque notevole, essendo la stessa la prima decisione con cui una corte internazionale ha riconosciuto la Federazione Russa responsabile di una politica di violazioni sistematiche dei diritti umani convenzionali in Crimea, che si inserisce nelle strategie elaborate dal Paese occupante per contrastare ogni forma di dissenso – politico, ideologico o anche solo culturale – della preesistente popolazione locale. Guida all'approfondimento Riferimenti giurisprudenziali Sentenze della Corte EDU Corte EDU, Savickis c. Lettonia, 9 giugno 2022, n. 49270/11; Corte EDU, NIT s.r.l. c. Repubblica di Moldavoa, 5 aprile 2022, n. 28470/12; Corte EDU, Makarčeva c. Lituania, 28 settembre 2021, n. 31838/19; Corte EDU, Everest Estate LLC c. Federazione Russa, 2 maggio 2018, n. 2015-36; Corte EDU, Jorgic c. Germania, 6 settembre 2018, n. 74613/01; Corte EDU, Public Joint Stock Company “State Savings Bank of Ukraine” (JSC Oschadbank) c. Federazione Russa, 26 novembre 2018, n. 2016-14; Corte EDU, Radomilja c. Croazia, 20 marzo 2018, nn. 37685/10 e 22768/12; Corte EDU, De Tommaso c. Italia, 23 febbraio 2017, n. 43395/09; Corte EDU, 7 marzo 2017, Döner c. Turquie, n. 29994/02; Corte EDU, Ramadan c. Malta, 21 giugno 2016, n. 76136/12; Corte EDU, Mursic c. Croazia, 12 marzo 2015, n. 7334/13; Corte EDU, Năstase c. Romania, 18 novembre 2014, n. 80563/12; Corte EDU, Hizb ut-Tahrir c. Germania, 12 giugno 2012, n. 31098/08; Corte EDU, Baïssaïeva c. Federazione Russa, 5 aprile 2011, n. 74237/01; Corte EDU, Beksultanova c. Federazione Russa, 27 settembre 2011, n. 31564/07; Corte EDU, Medova c. Federazione Russa, 15 gennaio 2009, n. 25385/04; Corte EDU, Vasyukov c. Federazione Russa, 5 aprile 2011, n. 2974/05; Corte EDU, Leyla Şahin c. Turquie, 6 febbraio 2010, n. 44774/98, §§ 134 e 136; Corte EDU, Popov c. Federazione Russa, 13 luglio 2006, n. 26853/04. Riferimenti normativi Riferimenti convenzionali Artt. 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11,14,18,46 CEDU Artt. 1-2 Protocollo n. 1 CEDU Art. 2 Protocollo n. 4 CEDU Riferimenti normativi per l'ordinamento italiano Artt. 3, 10, 117 Cost. |