Quale valenza rivestono gli accordi “a latere” nel giudizio di revisione delle condizioni economiche del divorzio?
29 Luglio 2024
Massima In tema di divorzio, pur non potendo il giudice intervenire direttamente sull’accordo contrattuale “a latere” operante inter partes, rimesso alla libera determinazione negoziale delle parti, detto accordo, laddove non contenga espresse pattuizioni contrarie e sia strettamente connesso alle condizioni pattuite con il ricorso per divorzio congiunto, deve essere preso in considerazione dal giudice in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio ex art. 9 l. n. 898/1970. Il caso La Corte d’Appello aveva respinto il reclamo presentato avverso la decisione di primo grado che, nell’ambito di un giudizio promosso, nel maggio 2021, ex art. 9 l. 898/1970, delle condizioni di divorzio, fissate sia nella sentenza del novembre 2019, che, in una scrittura privata, contestuale al deposito del ricorso congiunto di divorzio, aveva revocato, alla luce della raggiunta autosufficienza economica del figlio e della stabile convivenza con altro uomo intrapresa dalla moglie, l’assegno del figlio, il contributo annuale al ménage domestico e ridotto l’importo dell’assegno divorzile. Il Tribunale, escluso che il marito avesse subito un peggioramento del suo reddito, aveva dato rilievo al fatto sopravvenuto rappresentato dalla stabile convivenza della moglie con altra persona e aveva ridotto l’importo dovuto, precisando di non potere prendere in considerazione l’accordo negoziale con cui le parti avevano integrato l’assegno di divorzio, in quanto non richiamato dalla pur coeva sentenza di divorzio e di natura contrattuale. In entrambi i giudizi di merito, quindi, l’autorità giudiziaria aveva ritenuto che il giudice, in sede di divorzio o di revisione delle condizioni economiche, non può entrare nel merito del negozio giuridico privato (non trasposto nella sentenza di divorzio) con il quale le parti avevano ritenuto di regolamentare, in via transattiva, il contributo divorzile, integrandolo, in quanto, trattandosi di un contratto, espressione dell’autonomia negoziale, potrà essere risolto secondo i modi previsti dalla legge. Da qui, il ricorso per cassazione promosso dall’ex marito volto a censurare, tra gli altri, la decisione della Corte di Appello nella parte in cui ha ritenuto di non potersi pronunciare sulla modifica dell’obbligo da lui assunto con la stipula di scrittura privata, coeva a quella poi trasfusa nel ricorso per cessazione degli effetti civili del matrimonio e nella sentenza di divorzio emessa dal Tribunale, pur trattandosi della stessa obbligazione economica. La questione Che valenza hanno gli accordi negoziali conclusi dai coniugi in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, c.d. accordi “a latere”, in rapporto ad un giudizio di revisione delle condizioni di divorzio? Le soluzioni giuridiche La questione affrontata dalla pronuncia in esame impone un breve digressione in merito alla tematica del divorzio congiunto e alla valenza degli accordi negoziali conclusi dai coniugi in tale sede. Come noto, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell'ambito del quale l'accordo, sotteso alla relativa domanda, riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale ex art. 3 l. n. 898/1970, mentre presenta valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici. Tali caratteristiche, quindi, consentono al Tribunale di intervenire su tali pattuizioni nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l'adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose. Tuttavia, la scelta del divorzio congiunto non esclude la possibilità per le parti di sottoporre al giudice l'intervenuto mutamento delle circostanze: una simile domanda, infatti, di revoca o riduzione dell'assegno divorzile, già disposto in favore dell'altro coniuge, può sopravvenire anche al giudicato, annoverato nella categoria del giudicato rebus sic stantibus, in quanto soggetto al perdurante adeguamento alle situazioni sopravvenute, essendo il titolo esecutivo giudiziale in materia di famiglia assistito da definitività equiparabile al giudicato, ancorché del tutto peculiare (cfr. Cass. civ., 2 luglio 2019, n. 17689) e riguardo al quale i fatti sopravvenuti possono rilevare attraverso un procedimento ad hoc, quale quello delineato dall'art. 9, l. 898/1970, ancorato ai “giustificati motivi”, (oggi abrogato dalla Riforma Cartabia, di cui al d.lgs. n. 149/2022, e sostituito dall'art. 473-bis.29 c.p.c.) necessari per procedere al giudizio di revisione (v. Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287). Quanto, invece, al tema della valenza degli accordi negoziali conclusi dai coniugi in sede di divorzio congiunto, oggetto di attenzione nel caso che qui si annota, preme ricordare che, in assenza di previsione normativa, con il termine accordi “a latere” si fa riferimento genericamente a tutte quelle pattuizioni che i coniugi stipulano in ragione della separazione o del divorzio, senza che il loro contenuto venga trasfuso nell'omologa o nella sentenza. Un'autonomia negoziale privata, quella accordata ai coniugi, anche nella fase patologica della crisi, essendosi riconosciuto, nel tempo, agli stessi la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della loro crisi (v. art. 4 l. n. 898/1970 e d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014): gli accordi, infatti, c.d. precedenti o coevi sono validi se, rispetto al provvedimento giurisdizionale, si pongono in posizione di conclamata ed incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo del giudice, mentre quelli c.d. successivi sono validi se non contrastano con l'art. 160 c.c., e purché rispondano all'esigenza di adeguare i singoli aspetti degli stessi all'esperienza reale del nucleo familiare (cfr. Cass. civ., 21 dicembre 2012, n. 23173). Ciò premesso, nel caso della vicenda in esame, l'intervento del giudice, ove ritenuto ammissibile, si sarebbe esplicato, in sede di giudizio di revisione ex art. 9 l. 898/1970, su di un accordo, avente natura negoziale, non contrario a norme inderogabili, contemporaneo al deposito dell'accordo di divorzio congiunto, con il quale il marito si obbligava a corrispondere alla moglie una somma aggiuntiva a quella stabilita dalle parti come assegno di divorzio. Orbene, al fine, quindi, di meglio comprendere la decisione a cui è giunta la Suprema Corte occorre precisare ulteriormente che è possibile che le parti, oltre agli accordi di divorzio congiunto, sui quali il giudice non opera alcuna valutazione, se non contrari a norme inderogabili, possono decidere di concluderne altri estranei all'oggetto del procedimento di divorzio congiunto, come trasferimenti di beni immobiliari o transazioni, ma certamente validi, trattandosi di veri e propri contratti (art. 1321 c.c.), i quali si sottraggono alla valutazione del giudice in sede di giudizio ex art. 9 l. 898/1970, salvo che per la loro considerazione ai fini della determinazione delle condizioni economiche (cfr. Cass. civ., sez. un., 21 luglio 2021, n. 21761). Peraltro, laddove sorgessero contrasti interpretativi, tra una pattuizione “a latere” ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetterà al giudice di merito ordinario risolverli secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. Diverse considerazioni, invece, devono essere fatte circa quelle pattuizioni che, sebbene contenute in un patto aggiunto e contestuale all'accordo di divorzio congiunto, siano strettamente connesse a questo, per volontà delle parti, e non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, o in contrasto con norme inderogabili. Ebbene, guardando più da vicino il caso che ci occupa, in sede di scrittura privata, contestuale al deposito del divorzio congiunto, le parti avevano stabilito che, ad integrazione del contributo al mantenimento mensile delle condizioni del ricorso consensuale presentato, il marito si sarebbe obbligato a versare alla moglie un'ulteriore somma integrativa sempre mensile. Tale patto, quindi, aggiuntivo all'accordo congiunto, era espressamente qualificato come patto integrativo del contributo al mantenimento, risultando, in questo modo, innegabile la natura di accordo integrativo degli altri accordi coevi, anche se non contestuali. Secondo la Cassazione, dunque, la Corte di Appello avrebbe dovuto tenerne conto di tale scenario, ai fini della revisione dell'assegno divorzile, exart. 9 l. 898/1970, una volta accertata l'esistenza di una sopravvenienza, costituita dalla convivenza della moglie con altra persona: infatti, il patto di cui si discute, non aveva solo causa nella crisi coniugale, ma rientrava a pieno titolo nell'oggetto del giudizio divorzile, in quanto espressamente diretto ad integrare l'assegno divorzile. Pertanto, a detta degli Ermellini, l'accordo stipulato contestualmente al deposito del ricorso congiunto trovava non solo causa nel divorzio, ma era strettamente attinente all'oggetto di tale giudizio, attenendo all'adempimento dell'obbligo, rientrante nei doveri di solidarietà post coniugale, di versare l'assegno al coniuge economicamente più debole ad integrazione di quanto recepito nelle condizioni economiche della sentenza di divorzio, anche se esso, rientrando nella autonomia negoziale, non era assoggettato al rispetto dei criteri dettati dall'art. 5 l. n. 898/1970. In conclusione, se detto accordo era da ritenersi valido ed efficace, nell'interpretazione evolutiva offerta dalla giurisprudenza di legittimità, esso doveva poter rilevare ai fini della revisione ex art. 9 l. 898/1970, e, quindi, essere preso in considerazione dal giudice di merito. Osservazioni La pronuncia in esame si presenta senza dubbio interessante anche nella parte in cui la Suprema Corte ricorda che, una volta ritenuta la sopravvenienza di un fatto idoneo alla revisione dell’assegno divorzile spettante all’ex coniuge, per effetto della nuova stabile convivenza intrapresa da quest’ultimo con altra persona, il giudice è tenuto a verificare, alla luce di quanto affermato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 32198/2021, la permanenza del diritto a tale assegno, in relazione alla componente perequativo-compensativa, la quale deve essere verificata e quantificata, anche in considerazione dell’intervenuto accordo “a latere”. |