Giudizio direttissimo

Alessandro Trinci
23 Luglio 2024

Pubblichiamo la bussola aggiornata alla luce delle novità introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia.

Inquadramento

La semplificazione procedimentale che caratterizza il giudizio direttissimo consiste nella drastica riduzione delle indagini preliminari e nella eliminazione dell'udienza preliminare e della fase predibattimentale.

Il rito si sostanzia in un passaggio diretto al dibattimento, con conseguente contrazione delle garanzie difensive. Ad esso si ricorre, per atto imperativo del magistrato inquirente, quando sussistono situazioni tipizzate di evidenza probatoria (confessione, arresto in flagranza di reato e allontanamento d'urgenza dalla casa familiare) che rendono inutile sia lo svolgimento di ulteriori attività investigative da parte del pubblico ministero, sia una verifica circa la necessità del dibattimento da parte del giudice dell'udienza preliminare.

Nelle suddette situazioni, poiché l'imputazione appare particolarmente fondata, l'ordinamento ritiene preferibile sacrificare alcune garanzie processuali dell'imputato per conseguire una maggiore celerità processuale.

Il codice di rito disciplina il giudizio direttissimo in due parti distinte, a seconda che il reato per cui si procede appartenga alla cognizione del tribunale in composizione collegiale o alla corte d'assise (Titolo II del Libro VI: artt. 449-452 c.p.p.) oppure al tribunale in composizione monocratica (Titolo III del Libro VIII: art. 558 c.p.p.).

L'art. 449 c.p.p.prevede quattro ipotesi nelle quali il pubblico ministero può (o deve, a seconda dei casi) procedere con il giudizio direttissimo:

  1. nei confronti di un imputato arrestato in flagranza di reato (o allontanato d'urgenza dalla casa familiare) e presentato dinanzi al giudice del dibattimento per la convalida della misura precautelare e il contestuale giudizio di merito entro quarantotto ore dall'arresto (o dall'allontanamento) (commi 1 e 5);
  2. nei confronti di un imputato arrestato in flagranza di reato (o allontanato d'urgenza dalla casa familiare) che consenta ad essere giudicato col rito speciale nonostante la mancata convalida della misura precautelare da parte del giudice del dibattimento (comma 2);
  3. nei confronti di un imputato sottoposto ad arresto in flagranza di reato già convalidato dal giudice per le indagini preliminari e tratto di fronte al giudice del dibattimento per il giudizio di merito entro trenta giorni dall'arresto (comma 4);
  4. nei confronti di un imputato (libero o in stato di custodia cautelare) che abbia reso confessione nel corso dell'interrogatorio e tratto a giudizio entro trenta giorni dall'iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie di reato (comma 5).

    

In caso di reati connessi (ex art. 12 c.p.p.), se i presupposti per procedere con le forme del rito direttissimo ricorrono per alcuni soltanto, il pubblico ministero deve procedere separatamente per i reati rispetto ai quali mancano le condizioni che giustificano la scelta del giudizio speciale, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale il rito ordinario (art. 449, comma 6, c.p.p.).

Se il pubblico ministero promuove il giudizio direttissimo fuori dai casi previsti (ad esempio, oltre i trenta giorni dalla convalida dell'arresto o in caso di fermo di indiziato di delitto), il giudice deve restituirgli gli atti (art. 425, comma 1, c.p.p.).

Di seguito si analizzerà la disciplina del giudizio direttissimo per i reati di competenza del tribunale in composizione collegiale e della corte di assise, mentre l'ultimo paragrafo sarà dedicato alla trattazione del giudizio direttissimo dinnanzi al tribunale in composizione monocratica.

Il giudizio direttissimo nelle quarantotto ore dall'arresto

La prima ipotesi di giudizio direttissimo, quella più ricorrente nella prassi, si ha quando un soggetto viene arrestato in flagranza di reato (artt. 380 e 381 c.p.p.).

Se il pubblico ministero ritiene di non dover svolgere ulteriori indagini, può presentare il soggetto arrestato direttamente davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio di merito (art. 449, commi 1 e 5, c.p.p.). Al giudizio di convalida si applicano, se compatibili, le disposizioni dettate dall'art. 391 c.p.p. per la convalida ordinaria (art. 449, comma 1, c.p.p.).

Nel caso in cui il giudice convalidi l'arresto, il processo prosegue con l'immediata trattazione del giudizio di merito.

Se, invece, rigetta la richiesta di convalida, deve restituire gli atti al pubblico ministero, non essendosi integrato il presupposto per l'accesso diretto al dibattimento. In tal caso il rito direttissimo potrà essere instaurato solo se le parti acconsentono alla sua celebrazione (art. 449, comma 2, c.p.p.).

Per quanto riguarda i termini per l'instaurazione del rito, l'arrestato deve essere portato in udienza per la convalida e il contestuale giudizio direttissimo entro quarantotto dall'arresto.

La disciplina appena esaminata si applica anche quando l'evidenza qualificata della prova consiste nella convalida dell'allontanato d'urgenza dalla casa familiare ai sensi dell'art. 384-bis c.p.p. (art. 449, comma 5, c.p.p.).

    

In evidenza
La l. 24 maggio 2023, n. 60 ha introdotto la possibilità, in caso di arresto obbligatorio, di presentare la querela entro quarantotto ore dall'arresto, rendendo possibile la convalida anche in assenza della condizione di procedibilità. In questo caso, se manca la querela (che può ancora sopravvenire, perché non ritirata o rimessa), il giudice deve sospendere il giudizio direttissimo, al quale non può procedersi in assenza della condizione di procedibilità. La sospensione è revocata non appena risulti sopravvenuta la querela o la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione (art. 449, comma 3, c.p.p.). Se la querela non interviene in tempo utile, non può procedersi al rito direttissimo e l'arrestato deve essere liberato.

Il giudizio direttissimo nei trenta giorni dalla convalida dell'arresto

Può accadere che l'iniziale situazione di evidenza probatoria derivante da un arresto in flagranza di reato esiga una sommaria verifica investigativa mediante il compimento di accertamenti che non possono essere svolti nei ristrettissimi tempi previsti dal comma 1 dell'art. 449 c.p.p.

In tali circostanze, il pubblico ministero può accedere al giudizio direttissimo anche dopo che l'arresto è stato convalidato nelle forme tipiche dal giudice per le indagini preliminari (art. 390 c.p.p.). In tal caso deve presentare l'imputato in udienza non oltre il trentesimo giorno dall'arresto, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini (art. 449, comma 5, c.p.p.). In sostanza, il pubblico ministero, a fronte di un arresto convalidato, è sempre obbligato a procedere col rito direttissimo; può evitarlo (optando per il giudizio immediato o per quello ordinario) solo se le investigazioni sono ancora in corso e non possono essere completate tempestivamente.

Il giudizio direttissimo a seguito di confessione

Un'ulteriore ipotesi in cui il pubblico ministero deve procedere con le forme del giudizio direttissimo, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, ricorre quando l'imputato abbia reso confessione nel corso dell'interrogatorio.

L'evidenza probatoria qualificata che giustifica il ricorso al rito direttissimo è manifestata, nel caso in esame, dall'ammissione degli addebiti da parte dell'imputato effettuata nell'ambito di atto processuale “garantito” quale l'interrogatorio.

Realizzatosi il presupposto della confessione, il pubblico ministero ha a disposizione trenta giorni per promuovere il rito speciale. Il termine decorre dalla iscrizione del nominativo dell'indagato nel registro delle notizie di reato.

Lo svolgimento del giudizio

L'art. 450 c.p.p. prevede due forme di instaurazione del giudizio direttissimo, a seconda che l'imputato sia in vinculis (perché arrestato o sottoposto a misura cautelare custodiale) oppure sia libero (o sottoposto a misura cautelare non custodiale o sottoposto a misura cautelare custodiale per un fatto diverso da quello per cui si procede).

Nel primo caso il pubblico ministero fa condurre l'imputato direttamente in udienza (comma 1) e qui gli contesta l'imputazione (art. 451, comma 4, c.p.p.), mentre nel secondo caso lo cita a comparire all'udienza fissata per il giudizio direttissimo, con un termine a comparire non inferiore a tre giorni (comma 2), da intendersi interi e liberi (art. 172, comma 5, c.p.p.).

   

In evidenza
Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), inserendo nel terzo comma dell'art. 450 c.p.p. il richiamo alla lettera d-bis) dell'art. 429, comma 1, c.p.p., ha previsto che anche la citazione a comparire all'udienza per il giudizio direttissimo, così come la citazione a comparire all'udienza preliminare, contenga l'avviso all'imputato e alla persona offesa che hanno facoltà di accedere a programmi di giustizia riparativa.

    

Poiché il rito in esame si caratterizza per l'assenza dell'udienza preliminare, il fascicolo per il dibattimento non viene formato dal giudice nel contraddittorio fra le parti (art. 431, comma 1, c.p.p.), ma vi provvede il pubblico ministero inaudita altera parte, fermo restando il diritto dell'imputato di interloquire sul contenuto del medesimo in un momento successivo, ai sensi dell'art. 491, comma 2, c.p.p. In caso di citazione a giudizio, il pubblico ministero, una volta formato il fascicolo per il dibattimento, lo trasmette alla cancelleria del giudice competente per il giudizio insieme al decreto di citazione (art. 450, comma 4, c.p.p.). Qualora, invece, l'imputato sia presentato direttamente in udienza in quanto detenuto per il reato per cui si procede, il fascicolo del dibattimento è formato in udienza da parte del pubblico ministero ed immediatamente consegnato al giudice (art. 138 disp. att. c.p.p.).

L'avviso della data fissata per il giudizio deve essere notificato al difensore “senza ritardo”, anche con forme di comunicazione diverse dalle notificazioni (ad esempio, un messaggio registrato nella segreteria telefonica del difensore). L'eventuale pregiudizio derivante da una notifica non tempestiva può essere compensato dalla concessione del termine a difesa (sul quale si veda infra).

    

In evidenza
La Suprema Corte ha chiarito che l'avviso al difensore per l'udienza di convalida e per il contestuale giudizio direttissimo deve essere effettuato con un mezzo che sia adeguato in relazione al tempo disponibile e all'insussistenza di strumenti di comunicazione alternativi. Verificata l'adeguatezza del mezzo utilizzato secondo tali parametri, è irrilevante la circostanza che il difensore non abbia avuto conoscenza dell'avviso (Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2002, n. 39414). Nella specie si è ritenuto che la mancata conoscenza del messaggio, registrato nella segreteria telefonica del difensore designato all'atto dell'arresto, a causa di vizi di funzionamento dell'apparecchiatura o del mancato ascolto della registrazione, non incidesse sulla ritualità dell'avviso, gravando sul difensore medesimo l'onere di assicurarsi della perfetta funzionalità degli apparecchi di cui è dotato il proprio studio professionale e di ascoltare le comunicazioni memorizzate.

     

Il carattere contratto del rito direttissimo ha imposto al legislatore l'adozione di forme semplificate di citazione dei testimoni e della persona offesa. I commi 2 e 3 dell'art. 451 c.p.p. prevedono non solo la possibilità, per il pubblico ministero, la parte civile e l'imputato, di citarli oralmente tramite un ufficiale giudiziario o un agente di polizia giudiziaria, ma anche la possibilità di condurli direttamente in udienza senza citazione e, ovviamente, senza la necessità di depositare preventivamente la lista dei testimoni. Le parti non hanno, quindi, neppure l'obbligo di specificare le circostanze sulle quali intendono condurre l'esame del teste.

Una volta verificata la regolare costituzione delle parti, il presidente del tribunale o della corte d'assise, a pena di nullità (a regime intermedio ex art. 178, lett. c), c.p.p., riguardando l'assistenza dell'imputato), deve dare all'imputato due avvisi (art. 451 comma 5 e 6 c.p.p.) accomunati dalla medesima ratio di consentirgli l'esercizio del diritto di difesa nella forma dell'intervento attivo e consapevole al dibattimento:

  1. quello relativo alla facoltà di chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento o la sospensione del procedimento con messa alla prova;
  2. quello relativo alla facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a dieci giorni.

La richiesta di uno dei suddetti riti premiali deve essere formulata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (artt. 446, comma 1, 452, comma 2 e 464-bis, comma 2, c.p.p.). Se, invece, l'imputato chiede di fruire di un termine a difesa, “il dibattimento è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine” (così recita l'art. 451, comma 6, c.p.p.).

     

In evidenza
La giurisprudenza maggioritaria ha interpretato come alternative le due facoltà ritenendo che l'avvenuta concessione del termine a difesa, presupponendo che il dibattimento sia già stato aperto, precluda la possibilità di richiedere riti alternativi all'udienza successiva. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 243 del 2022, ha ritenuto illegittimità questa interpretazione perché una piena garanzia del diritto di difesa richiede che l'imputato abbia il tempo sufficiente per un'adeguata ponderazione della propria strategia processuale, soprattutto in un rito, come quello direttissimo, segnato da un rapido avvicendamento delle fasi processuali. Dunque, l'imputato può chiedere un termine a difesa per esaminare gli atti processuale e scegliere la strategia processuale conservando la facoltà di chiedere un rito alternativo alla successiva udienza.

    

A seguito dell'istanza di ammissione ad un rito semplificato, il giudice deve valutare la sussistenza dei presupposti in base ai criteri previsti per i singoli procedimenti speciali. Nel caso di cui all'art. 441-bis, comma 4, c.p.p., il giudice deve revocare l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e provvedere a fissare l'udienza per il giudizio direttissimo. Allo stesso modo, in caso di esito negativo della prova o di revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento (artt. 464-septies, comma 2 e 464-octies, comma 4, c.p.p.), il giudizio direttissimo riprende il suo corso.

I giudizi direttissimi atipici

Per giudizi direttissimi atipici si intendono le ipotesi in cui il legislatore prevede l'applicabilità del rito speciale in casi, con forme o termini diversi da quelli indicati nel codice.

    

Il legislatore ha introdotto il giudizio direttissimo atipico in materia di:

  1. armi ed esplosivi (art. 12-bis d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella l. 8 agosto 1992, n. 356);
  2. genocidio, discriminazione razziale, etnica, nazionale o religiosa (art. 6, comma 5, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni nella l. 25 giugno 1993, n. 205);
  3. comportamenti violenti in occasione di manifestazioni sportive (art. 8-bis d.l. 20 agosto 2001, n. 336, convertito con modificazioni nella l. 19 ottobre 2001, n. 377);
  4. disciplina penale dell'immigrazione (artt. 12, comma 4, 13, comma 13-ter e 14, comma 5-quinques, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; artt. 235 e 321 c.p.);
  5. misure di prevenzione e antimafia (art. 76, comma 5, d.lgs. 159/2011).

    

In tutte queste ipotesi il legislatore ha previsto che si debba procedere con il rito direttissimo, prescindendo però dalla ricorrenza di una situazione di evidenza qualificata della prova; anzi talvolta ha introdotto una deroga espressa alle condizioni codicistiche del rito (“anche fuori dei casi previsti dall'art. 449 c.p.p.”). Il fondamento di questi particolari casi di giudizio direttissimo non sta, infatti, nella ricorrenza di situazioni di evidenza qualificata della prova, bensì in esigenze di politica criminale legate alla necessità di giudicare con celerità reati percepiti dai consociati come gravi e allarmanti.

Solo in alcuni casi, poi, l'obbligatorietà del rito è stata attenuata dalla clausola che fa salva l'esigenza di compiere investigazioni incompatibili con i tempi accelerati del modulo procedimentale imposto (“salvo che siano necessarie speciali indagini”).

Il giudizio direttissimo per i reati di competenza del giudice monocratico

Il principale elemento differenziale rispetto ai reati di competenza del tribunale in composizione collegiale attiene al ruolo della polizia giudiziaria.

Infatti, una volta eseguito l'arresto, la polizia giudiziaria ne dà immediato avviso al pubblico ministero; questi può ordinare che l'arrestato sia posto a sua disposizione ai sensi dell'art. 386 c.p.p., e provvedere egli stesso a presentarlo in udienza per la convalida ed il contestuale giudizio (art. 558, comma 4, c.p.p.), oppure, formulata l'imputazione, lo stesso pubblico ministero può disporre che sia la polizia giudiziaria cha ha eseguito l'arresto a condurre il soggetto dinanzi al giudice del dibattimento per i medesimi incombenti (art. 558, comma 1, c.p.p.). In quest'ultimo caso, gli organi di polizia consegnano immediatamente gli atti al pubblico ministero presente in udienza. La polizia giudiziaria provvede, poi, alla citazione, anche orale, della persona offesa e dei testimoni perché compaiano all'udienza fissata dal giudice del dibattimento; provvede, inoltre, a dare avviso al difensore di fiducia dell'arrestato o a nominarne uno d'ufficio (art. 558, comma 1, c.p.p.).

Se il giudice del dibattimento non tiene udienza nelle quarantotto ore dall'arresto, la polizia giudiziaria lo informa dell'avvenuto arresto in modo che il magistrato possa provvedere alla fissazione di una apposita udienza per la convalida della misura precautelare ed il contestuale giudizio sul merito, da tenersi entro le quarantotto ore dal provvedimento di polizia (art. 558, comma 2, c.p.p.).

In attesa del giudizio l'arrestato viene custodito in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'art. 284 c.p.p., quindi nella sua abitazione oppure in un altro luogo di privata dimora ovvero anche un luogo pubblico di cura o di assistenza oppure, ancora, in case-famiglia protette, ove istituite.

In caso di mancanza, indisponibilità o inidoneità di detti luoghi (oppure quando i medesimi sono ubicati fuori dal circondario in cui è stato eseguito l'arresto o quando l'arrestato è ritenuto pericoloso), il pubblico ministero dispone che l'interessato sia custodito presso idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o che hanno avuto in consegna l'arrestato. Qualora manchino o siano indisponibili o inidonee anche tali strutture (o nel caso in cui ricorrano “altre specifiche ragioni di necessità o di urgenza”), il pubblico ministero dispone, con decreto motivato, che l'arrestato sia condotto nella casa circondariale del luogo dove l'arresto è stato eseguito ovvero, se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale (art. 558, commi 4-bis e 4-ter c.p.p.).

Quanto allo svolgimento del giudizio, se è il pubblico ministero a presentare l'arrestato, il giudizio di convalida non subisce variazioni rispetto a quanto avviene per i reati di competenza del tribunale in composizione collegiale ai sensi dell'art. 449, comma 1, c.p.p. Se invece l'arrestato è condotto in udienza direttamente dalla polizia giudiziaria, l'ufficiale o agente che ha eseguito l'arresto o ha ricevuto in consegna l'arrestato effettua, su autorizzazione del giudice che procede, una relazione

orale con la quale descrive come si è giunti all'arresto (art. 558, comma 3, c.p.p.).

Anche per il rito in esame valgono le novità introdotte dalla l. n. 60/2023 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 2022, delle quali si è già trattato sopra.

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