Assegno divorzile e sacrificio delle opportunità professionali: quale onere probatorio grava sul richiedente alla luce della funzione perequativa-compensativa dell’assegno?
09 Agosto 2024
Massima Non sussiste il diritto del coniuge di percepire un assegno divorzile a carico dell’altro ove il richiedente non provi in concreto che lo squilibrio patrimoniale tra i coniugi sia dipeso da scelte condivise in costanza di matrimonio che abbiano determinato la rinuncia a realistiche e concrete occasioni professionali-reddituali. Il caso Tizia propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila che, riformando sul punto la pronuncia del Tribunale dell’Aquila che aveva provveduto in primo grado sulla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato tra Tizia e Caio, aveva escluso il diritto di Tizia di percepire un assegno divorzile a carico di Caio. Tizia, in particolare, ha impugnato la sentenza di secondo grado in quanto, discostandosi dal principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018, avrebbe censurato la mancata prova da parte di Tizia delle specifiche occasioni professionali perse in dipendenza della decisione, condivisa con il coniuge, di dedicarsi alla cura della famiglia. Il fatto che Tizia si sia dedicata alla cura dei quattro figli d’accordo con il marito, infatti, l’avrebbe indotta a non cercare occasioni professionali, motivo per cui l’onere della prova posto a suo carico non sarebbe conforme con il principio solidaristico posto dalle Sezioni Unite nella su citata pronuncia alla base della funzione perequativo-compensativa dell’assegno divorzile. La questione Quale onere della prova grava in capo al coniuge richiedente l’assegno divorzile alla luce della funzione perequativo-compensativa dell’assegno declinata dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 18287/2018 e dalla giurisprudenza successiva? Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione, nel confermare la decisione dei giudici di secondo grado, ha richiamato i passaggi motivazionali della sentenza delle Sezioni Unite 18287/2018, che ha fatto chiarezza sulla funzione dell’assegno divorzile e sui parametri ai quali ancorare il diritto del coniuge richiedente di percepirlo, nonché le pronunce di legittimità successive che hanno fatto applicazione dei principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite. La Corte di legittimità, in particolare, ha rievocato la centralità che assumono nel giudizio comparativo delle condizioni reddituali dei coniugi le scelte condivise circa i ruoli assunti all’interno della famiglia e le ricadute di tali scelte sulle opportunità lavorative in costanza di matrimonio, confermando sul punto le determinazioni della Corte di Appello. La Corte di Appello, nello specifico, aveva escluso il diritto di Tizia di percepire un assegno divorzile a carico del marito non ritenendo sufficiente a tal fine la prova che Tizia nel corso del matrimonio abbia dedicato il proprio tempo alla cura della famiglia, in mancanza della prova che tale scelta, ancorché concordata con il coniuge, abbia comportato il sacrificio di aspettative professionali e lavorative, da intendersi in modo specifico e legate a eventi particolari e singole offerte di lavoro cui la predetta abbia dovuto rinunciare. La Corte di Appello aveva quindi valorizzato il fatto che Tizia dopo la separazione, sebbene in età non più giovane, si fosse inserita stabilmente nel mondo del lavoro, circostanza che avrebbe corroborato la mancata prova di un sacrificio specifico e concreto della sua capacità professionale e reddituale. La Corte di Cassazione ha ritenuto l’interpretazione offerta dai giudici di secondo grado conforme alla funzione perequativa-assistenziale dell’assegno divorzile declinata dalle Sezioni Unite del 2018. In particolare, la Corte ha affermato che la verifica dell’eventuale disparità economico-patrimoniale delle parti – prerequisito delle valutazioni successive - deve essere effettuata avendo riguardo alle scelte di conduzione della vita familiare compiute in corso di matrimonio e l’eventuale sacrificio di aspettative professionali e reddituali di un coniuge va valutato in relazione alla durata del vincolo e alle effettive potenzialità professionali e reddituali da stimarsi alla conclusione della relazione matrimoniale, avuto riguardo all’età del coniuge e alle condizioni del mercato del lavoro. Tali principi sono stati ribaditi anche dalla giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite, da ultimo dalle Sezioni Unite nella nota pronuncia 35385/2023 che ha dato rilievo, nell’ambito della valutazione di cui precede, alla convivenza pre-matrimoniale. La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione dei principi su richiamati, avendo accertato, con valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità, che Tizia non aveva offerto la prova concreta di avere rinunciato a specifiche occasioni lavorative e che in seguito alla separazione aveva reperito un lavoro che le garantiva un reddito lordo di 20.000,00 € annui. Osservazioni La pronuncia in commento, pur richiamando i principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite n. 18287/2018 che, come noto, hanno fatto chiarezza sulla funzione dell'assegno divorzile evidenziandone la natura composita non solo assistenziale ma, soprattutto, perequativo-compensativa, ha declinato la funzione compensativa dell'assegno divorzile con particolare rigore, ponendo a carico del richiedente l'assegno divorzile, quanto meno all'apparenza, un onere probatorio estremamente rigido. La Corte di legittimità, infatti, aderendo sul punto all'interpretazione della Corte di Appello dell'Aquila, ha statuito che la parte che richieda l'assegno divorzile è tenuta non solo a dimostrare di avere svolto un ruolo prevalente all'interno della famiglia, trovandosi così in una condizione di sperequazione reddituale con l'altro coniuge, ma anche le concrete e specifiche occasioni di lavoro cui avrebbe potuto accedere ove non si fosse dedicata alla cura della famiglia. Ben si comprende come, così enunciato il principio di diritto, l'onere probatorio posto a carico del richiedente l'assegno sfiori i limiti della probatio diabolica: come osservato da Tizia nel ricorso di legittimità che ha condotto alla pronuncia della sentenza in commento, infatti, il fatto stesso che i coniugi abbiano deciso che la moglie si dedicasse alla cura della famiglia ha condotto Tizia a non attivarsi per cercare occasioni di lavoro, sicché alcuna prova avrebbe potuto fornire in merito alle specifiche occasioni di lavoro e di guadagno perse in costanza di matrimonio. Al più Tizia avrebbe potuto dimostrare le occasioni di lavoro cui, in astratto, avrebbe potuto accedere in relazione al percorso di studi e professionale pregresso. Il principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità nella pronuncia in commento deve tuttavia essere letto alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 e della giurisprudenza successiva. Le Sezioni Unite del 2018, sul punto, avevano statuito che le effettive potenzialità professionali e reddituali di un coniuge avrebbero dovuto essere valutate alla conclusione della relazione matrimoniale alla luce della concreta possibilità di recuperare tale pregiudizio in chiave prognostica, e che nella comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi si sarebbe dovuto tenere conto delle aspettative professionali eventualmente sacrificate in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente. Stando alla pronuncia delle Sezioni Unite, di conseguenza, la valutazione delle occasioni professionali perse andrebbe condotta in astratto tenendo conto degli anni di matrimonio e dell'età del richiedente. La giurisprudenza successiva alla sentenza delle Sez. Un. su richiamata ha declinato in senso rigoroso l'onere della prova del richiedente l'assegno divorzile rispetto alla perdita di occasioni professionali: p.e. Cass. 29920/2022 ha riformato la sentenza di secondo grado affermando che la richiedente l'assegno, dedicatasi alla cura della famiglia in costanza di matrimonio, non abbia allegato né provato la perdita di verosimili e concrete occasioni professionali (in senso conforme cfr. Cass. 17144/2023 che ha censurato la sentenza di secondo grado in quanto – a fronte della mancata dimostrazione da parte della moglie di avere rinunciato a migliori occasioni di lavoro per la dedizione alla famiglia e che tale scelta sia dipesa da un accordo dei coniugi – non ha valutato se tale assetto familiare abbia determinato uno spostamento patrimoniale a favore del marito divenuto ex post ingiustificato; si veda anche Cass. 24250/2021). In tale solco si colloca la pronuncia in commento. A leggere con attenzione la pronuncia in commento e le pronunce sopra citate, nondimeno, si evince come la decisione dei giudici di legittimità di non riconoscere al coniuge economicamente più debole un assegno divorzile sia sostenuta da motivi ulteriori rispetto alla mancata allegazione della perdita di specifiche occasioni professionali. Così Cass. 29920/2022, nel negare alla moglie il diritto di percepire un assegno divorzile a carico del marito, ha valorizzato la circostanza che la moglie abbia sempre svolto attività lavorativa part-time in costanza di matrimonio - e abbia continuato a svolgerla anche dopo che i figli non richiedevano più accudimento - nonché la diversa formazione delle parti, che già di per sé non avrebbe consentito alla moglie di raggiungere i medesimi risultati professionali del marito; da ultimo, la Corte ha valorizzato il fatto che il marito, con la sua attività professionale, aveva concorso alla formazione del patrimonio personale della moglie. Parimenti la pronuncia oggetto del presente commento, dopo avere censurato la mancata allegazione di specifiche occasioni professionali perse da parte di Tizia in costanza di matrimonio, ha posto l'accento sul fatto che successivamente alla separazione Tizia aveva reperito un'attività lavorativa a tempo indeterminato che le aveva consentito di ritrarre un reddito di 20.000,00 € lordi annui, a fronte di un reddito di 35.000,00 € lordi annui esposto dal marito. Le stesse Sezioni Unite nella pronuncia del 2018, d'altronde, hanno affermato che nella valutazione del peso da attribuirsi alle occasioni professionali perse da un coniuge per effetto della decisione condivisa a che lo stesso assumesse un ruolo prevalentemente dedicato alla famiglia, debba darsi rilievo alle concrete possibilità di riparazione di quel pregiudizio successivamente al divorzio e, quindi, alle specifiche occasioni patrimoniali e reddituali, da valutarsi avuto riguardo all'età del richiedente e alle condizioni del mercato del lavoro. La concreta riparazione del pregiudizio patito dal coniuge economicamente più debole in costanza di matrimonio successivamente alla separazione, in tale logica, consente di stabilire, con giudizio controfattuale ex post, che il sacrificio patito in costanza di matrimonio non ha di fatto pregiudicato la possibilità per quel coniuge di procurarsi un reddito tendenzialmente equivalente a quello di cui avrebbe goduto in costanza di matrimonio, tenuto anche conto delle eventuali elargizioni economiche percepite dall'altro coniuge. È allora possibile che la decisione della Corte di legittimità sarebbe stata differente ove Tizia, successivamente alla separazione, tenuto conto della sua età, della durata del matrimonio e delle condizioni del mercato del lavoro, non avesse reperito un'occupazione che le consentisse di ritrarre un reddito con cui disporre di mezzi sufficienti, specialmente ove raffrontato con la capacità economica del marito, a prescindere da una rigorosa allegazione e prova delle specifiche occasioni professionali perse in costanza di matrimonio. È allora verosimile che, così riletto il quadro giurisprudenziale di cui si è dato conto sopra, si stemperi l'onere della prova posto a carico del richiedente l'assegno divorzile circa la perdita di specifiche occasioni di lavoro in costanza di matrimonio. |