La riforma del procedimento applicativo delle misure cautelari personali
27 Agosto 2024
Le ragioni della riforma Dall'entrata in vigore del codice di procedura del 1988 il legislatore è alla ricerca di un soddisfacente equilibrio tra i limiti costituzionali posti alla coercizione della libertà personale ante iudicium e le esigenze al cui soddisfacimento il sistema cautelare è deputato, come testimoniano i ripetuti interventi operati nell'arco di tre decenni per modularne la disciplina. Dopo avere cesellato fino al parossismo le disposizioni che definiscono i presupposti che legittimano l'intervento cautelare (ossia gli artt. 273,274 e 275 c.p.p.), con la novella in commento il legislatore ha invece ritenuto opportuno innovare in maniera significativa la procedura applicativa delle misure personali, facendo precedere l'adozione del provvedimento restrittivo dall'interrogatorio di garanzia ed attribuendo l'applicazione della custodia cautelare in carcere alla competenza del giudice delle indagini preliminari in una inedita composizione collegiale. Quanto alla prima modifica, è evidente l'intento del legislatore di ridimensionare la natura di atto unilaterale ed a “sorpresa” del provvedimento genetico, imponendo al giudice di instaurare, preventivamente alla sua adozione, il contraddittorio con l'indagato e – in conseguenza della contestuale modifica apportata al comma 2-ter dell'art. 292 c.p.p. – di valutare in maniera specifica le dichiarazioni dallo stesso eventualmente rilasciate nel corso dell'interrogatorio. La seconda tradisce, invece, la latente sfiducia serbata dallo stesso legislatore nei confronti del giudice delle indagini preliminari quale organo monocratico, nonché nella sua capacità di costituire un effettivo filtro delle richieste presentate in materia cautelare dal pubblico ministero. L'interrogatorio “preventivo” di garanzia L'art. 2 lett. e) n. 2 della legge n. 114/2024 introduce nell'art. 291 c.p.p. gli inediti commi da 1-quater a 1-novies, nei quali viene configurato e disciplinato l'obbligo del giudice investito della richiesta di applicazione di una misura coercitiva di procedere all'interrogatorio della persona sottoposta ad indagini preliminari prima dell'emissione del relativo provvedimento e non successivamente, come fino ad ora previsto dall'art. 294 c.p.p. L'anticipazione del contraddittorio in tema di restrizione della libertà personale prima della condanna definitiva non è invero modello inedito, atteso che già l'art. 289 comma 2 c.p.p. lo prevede nei procedimenti per i delitti contro la pubblica amministrazione per il caso dell'applicazione di misure interdittive agli esercenti di un pubblico ufficio o servizio. Ed infatti, l'art. 291 comma 1-quater della novella espressamente fa salva la disposizione da ultima menzionata nel momento in cui contestualmente dispone l'estensione di tale modello in via generale a tutte le misure personali. Peraltro lo stesso modello è quello da sempre vigente qualora la misura debba essere applicata all'esito dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo, atteso che in tale caso l'indagato rende l'interrogatorio nell'udienza di convalida e prima che il giudice decida sulla richiesta cautelare. In realtà che l'interrogatorio “preventivo” dell'indagato sia stato eletto a regola “generale” del procedimento cautelare è affermazione senza dubbio iperbolica, atteso che lo stesso comma 1-quater individua una serie di eccezioni che ne riducono significativamente la portata. Anzitutto l'obbligo di assunzione anticipata dell'interrogatorio è limitato, per espressa previsione della norma in commento, alla sola ipotesi di applicazione della misura nel corso delle indagini preliminari, rimanendo dunque esclusa quella in cui la stessa venga adottata successivamente all'esercizio dell'azione penale, rimanendo in tal caso ferma la disposizione di cui all'art. 294 comma 1 c.p.p., per cui il contraddittorio con il soggetto cautelato viene instaurato solo successivamente all'esecuzione del provvedimento cautelare e vi provvede, fino all'apertura del dibattimento, il giudice che l'ha emesso e, in seguito, quello che procede. Nulla invece dispone la novella per il caso che, a fronte del rigetto da parte del G.i.p. della richiesta cautelare, la misura venga disposta dal tribunale a seguito dell'appello proposto ex art. 310 c.p.p. dal pubblico ministero. In proposito va però ricordato che, in riferimento all'analoga fattispecie disciplinata dal già citato secondo comma dell'art. 289 c.p.p., la giurisprudenza è consolidata nel senso per cui il giudice dell'appello cautelare non debba procedere preventivamente ad assumere l'interrogatorio dell'indagato, in quanto il diritto al contraddittorio rimane assicurato dalla possibilità per il predetto di comparire all'udienza per la trattazione del gravame e di chiedere di essere interrogato (ex multis Cass. pen., 5 marzo 2019, n. 14958). In secondo luogo, il legislatore ha escluso l'instaurazione del contraddittorio anticipato qualora ricorrano le esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. a) e b) c.p.p., ossia quando sia configurabile il pericolo di inquinamento della prova o quello di fuga dell'indagato. Si tratta di esclusione suggerita (per non dire imposta) dalla stessa natura delle esigenze che la misura è chiamata a soddisfare, atteso che in tali casi, qualora venisse a mancare la “sorpresa” in ragione del preventivo avviso del soggetto cautelato, l'intervento cautelare sarebbe destinato sostanzialmente inutile. Non di meno il comma 1-quater esclude l'obbligo di provvedere preventivamente all'interrogatorio dell'indagato anche qualora ricorra il pericolo di reiterazione del reato, ma si proceda per uno dei delitti elencati negli artt. 407 comma 2 lett. a) e 362 comma 1-ter c.p.p. oppure per «gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale». In sostanza viene preservato il modello tradizionale di instaurazione del contraddittorio differito in relazione ad un amplissimo catalogo di reati, che in pratica esaurisce il novero di quelli per cui effettivamente nell'esperienza giudiziaria si provvede alla coercizione processuale. Peraltro suscita non poche perplessità la terminologia utilizzata per individuare l'ultima categoria di reati che escludono l'anticipazione del contraddittorio cautelare. Appare, infatti, di difficile decriptazione la locuzione “altri mezzi di violenza alla persona”, posto che la nozione di “armi” accolta dalla legge penale è talmente ampia da ricomprendere qualsiasi strumento utilizzato per esercitare violenza fisica su di un'altra persona, come da tempo la giurisprudenza ha chiarito. Ma è soprattutto allarmante il ricorso all'aggettivo “gravi” per definire il perimetro dei reati esclusi, il cui carattere indefinito attribuisce al giudice un ampio spazio discrezionale di valutazione in merito alla necessità di anticipare l'interrogatorio di garanzia dell'indagato e lascia prevedere di conseguenza l'innesco a posteriori un contenzioso non agevolmente governabile. L'ampiezza delle eccezioni previste dalla novella rischia dunque di ridurre la regola del contraddittorio anticipato a mero manifesto ideologico di scarsa rilevanza pratica, nonché di sollevare prevedibili polemiche, posto che, in definitiva, tale regola troverà sostanzialmente applicazione soltanto nei procedimenti per gli unici reati non considerati dal catalogo per i quali, con percepibile frequenza, vengono disposte le misure cautelari, ossia i furti aggravati e quelli in abitazione, i delitti contro la pubblica amministrazione, nonché quelli finanziari, societari, tributari e fallimentari. Il criterio che sembra aver guidato il legislatore nella scelta delle “eccezioni” a quella che viene configurata come una regola generale è quello dell'urgenza dell'intervento cautelare, desunta dall'allarme sociale che la realizzazione di determinate condotte, per lo più caratterizzate dal ricorso effettivo o potenziale all'uso della violenza, è in grado di suscitare. Ma se l'urgenza implica la necessità che la misura venga applicata a “sorpresa” in deroga alla regola dell'anticipazione del contraddittorio - che la riforma assume invece essere ineludibile presidio di garanzia della limitazione della libertà processuale ante iudicium – all'evidenza quella operata dall'art. 291 comma 1-quater appare una selezione fin troppo approssimativa e foriera di irragionevoli discriminazioni. Dal testo del comma 1-quater sembra potersi invece ricavare la conclusione che il giudice non debba assumere l'interrogatorio preventivo nel caso in cui non intenda accogliere la richiesta cautelare. Infatti, la norma espressamente prevede che egli proceda all'incombente «prima di disporre la misura», apparendo dunque ragionevole interpretare la locuzione nel senso per cui il contraddittorio con l'indagato – altrimenti superfluo – è imposto solo qualora non abbia già maturato una decisione in senso negativo. Più delicata è la questione relativa alla valutazione sulla sussistenza delle condizioni per derogare al contraddittorio anticipato. Si pensi all'ipotesi in cui il giudice, pure propenso ad accogliere la richiesta del pubblico ministero avanzata in relazione anche ad una o più delle esigenze cautelari “esimenti”, decida però di riconoscere la sussistenza del solo pericolo di reiterazione del reato. Si pone, cioè, la questione se in tal caso egli dovrà comunque astenersi dall'emettere il provvedimento ed instaurare prima il contraddittorio con l'indagato (anticipando così di fatto parte della propria decisione) ovvero se la mera prospettazione da parte del pubblico ministero del pericolo di inquinamento probatorio o di fuga sia condizione sufficiente per legittimare il differimento dell'interrogatorio di garanzia all'esito dell'esecuzione dell'ordinanza cautelare (soluzione quest'ultima che agita il timore di contestazioni meramente strumentali di tali pericoli). In proposito mi limito ad osservare come questa volta il dato testuale non risulti decisivo, atteso che il comma 1-quater si limita, in maniera alquanto anodina, a presupporre una sorta di oggettiva “sussistenza” delle suddette esigenze cautelari, senza precisare se la stessa debba essere o meno ritenuta dal giudice perché sia consentito derogare alla regola dell'anticipazione del contraddittorio. Ovviamente analogo problema si ripropone in relazione al giudizio di “gravità” dei delitti violenti, di cui si è già detto, nonché nel caso il giudice, previa riqualificazione del fatto, ritenga di applicare la misura per un reato diverso da quello prospettato dal pubblico ministero e non ricompreso nei cataloghi del comma 1-quater. Tempi e modalità di assunzione dell'interrogatorio “preventivo” Sempre l'art. 291 comma 1-quater prevede che l'interrogatorio preventivo viene assunto con le modalità indicate negli artt. 64 e 65 del codice di rito, replicando in tal senso la formulazione del già citato art. 289 comma 2 e quella originariamente contenuta nell'art. 294 comma 4 dello stesso codice. Il legislatore non ha però considerato come proprio quest'ultima disposizione sia stata integrata dalla l. n. 63/2001 con la previsione dell'obbligatorietà della partecipazione del difensore dell'indagato al compimento dell'atto. Modifica di non poco conto e gravida di conseguenze, posto che fino alla sua introduzione la giurisprudenza ha ritenuto facoltativo l'intervento del difensore all'interrogatorio di garanzia, sollevando il giudice dall'onere di designare un difensore d'ufficio in caso di mancata comparizione di quello originariamente nominato di fiducia o d'ufficio (Cass. pen., sez. un., 12 ottobre 1993, n. 23). A quella che sembra essere una mera dimenticanza – piuttosto che una effettiva scelta – del legislatore può probabilmente essere posto rimedio ritenendo che la disciplina dell'art. 291 debba essere integrata, per quanto non espressamente previsto, attingendo proprio a quella contenuta nell'art. 294 c.p.p. L'art. 291 comma 1-sexies stabilisce che l'interrogatorio preventivo deve essere preceduto dalla notifica all'indagato ed al suo difensore di un apposito invito a presentarsi, che deve altresì essere comunicato al pubblico ministero ed i cui contenuti sono prescritti nel successivo comma 1-septies. L'invito, dunque, oltre all'indicazione dell'autorità, del giorno, dell'ora e del luogo in cui l'indagato è tenuto a presentarsi, nonché dei consueti avvisi di garanzia, deve contenere la sommaria descrizione del fatto, comprensiva dell'indicazione della data e del luogo di commissione del reato contestato, formula questa che riproduce quella adottata dall'art. 292 comma 2 lett. b) c.p.p. per l'ordinanza cautelare. Sempre il comma 1-sexies stabilisce inoltre che l'invito deve essere notificato almeno cinque giorni prima di quello fissato per l'assunzione dell'interrogatorio, ma tale termine può essere ridotto laddove il giudice ravvisi ragioni d'urgenza, purché sia garantito all'indagato ed al suo difensore il tempo necessario per comparire. Nel caso in cui l'indagato, seppure ritualmente avvisato, non compaia senza addurre un legittimo impedimento ovvero non sia stato reperito per notificargli l'invito, il giudice provvede comunque sulla richiesta cautelare. Se ne desume che lo stesso indagato può chiedere un differimento della data fissata per l'interrogatorio qualora sia legittimamente impedito a comparire, ma che analoga facoltà non è concessa al suo difensore, non potendo egli nemmeno invocare in senso contrario la disposizione di cui all'art. 420-ter comma 5 c.p.p., in quanto la stessa è dettata esclusivamente per il giudizio. Il termine a comparire concesso all'indagato è funzionale all'effettivo esercizio del diritto di difesa nel contraddittorio anticipato e dunque presuppone che alla parte sia garantito l'accesso alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati a corredo della medesima. Ed in tal senso, infatti, il comma 1-octies prevede, sempre a pena di nullità, che nell'invito a presentarsi sia dato specifico avviso della facoltà di prendere visione dei suddetti atti (compresi i verbali delle intercettazioni) e di estrarne copia (con riguardo alle intercettazioni mediante trasposizione delle registrazioni su idoneo supporto). Il termine fissato per la comparizione - tenuto conto dei tempi necessari per esercitare il diritto di accesso agli atti e del reperimento di eventuali elementi a discarico - può apparire eccessivamente breve in relazione all'esigenza dell'indagato di difendersi in maniera “informata” nell'interrogatorio. Da più parti si è dunque già paventato il timore che la sua assunzione si riveli sostanzialmente inutile, non essendo improbabile che egli preferisca avvalersi della facoltà di non rispondere, riservandosi di rendere eventuali dichiarazioni in un momento successivo (a maggior ragione nel caso in cui il suddetto termine, per ragioni d'urgenza, venga accorciato). Fermo restando che l'art. 291 comma 1-sexies non impedisce al giudice di concedere anche un termine maggiore a quello minimo fissato dalla legge, l'obiezione certamente rafforza la convinzione di coloro che nutrono dubbi sulla capacità in concreto della modifica normativa di determinare un effettivo implemento delle garanzie dell'indagato. Infine, il nuovo comma 1-novies dell'art. 291 prevede che l'interrogatorio preventivo debba essere documentato integralmente secondo le modalità previste dall'articolo 141-bis c.p.p. e quindi mediante riproduzione audiovisiva o, se questa non è disponibile, quella fonografica (ricorrendo, in caso di necessità, all'ausilio di un perito o di un consulente tecnico). L'indicata modalità di documentazione dell'atto è prescritta a pena di inutilizzabilità. La composizione collegiale del giudice delle indagini preliminari L'altra innovazione apportata dalla novella alla disciplina del procedimento applicativo delle misure cautelari personali è rappresentata dalla previsione - introdotta nell'inedito comma 1-quinquies dell'art. 328 c.p.p. dall'art. 2 lett. m) della novella - che il giudice delle indagini preliminari investito della richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere decida in composizione collegiale. Nello stesso senso la lett. l) dello stesso articolo, interpolando in tal senso l'art. 313 c.p.p., ha esteso poi la competenza collegiale anche al caso della richiesta di applicazione di una misura di sicurezza detentiva. La nuova disposizione circoscrive, dunque, il suo ambito di applicazione alla sole ipotesi in cui della richiesta cautelare sia investito il giudice delle indagini preliminari. Nella fase del giudizio, qualora la competenza spetti al tribunale nella composizione di cui all'art. 33-ter c.p.p., sembra, pertanto, che continui ad essere un giudice monocratico a disporre la custodia in carcere per quei reati compatibili con la sua applicazione (ad esempio, il furto aggravato). Né è dato sapere per quale motivo lo stesso, al contrario del giudice delle indagini preliminari, meriti maggiore fiducia da parte del legislatore. Problematico è poi il coordinamento della nuova disposizione con la disciplina contenuta nell'art. 391 comma 5 c.p.p., che consente al G.i.p. che procede alla convalida dell'arresto o del fermo di applicare, all'esisto della relativa udienza, anche una misura coercitiva, compresa quella della custodia in carcere. In difetto di qualsivoglia precisazione sul punto da parte della novella, non è chiaro se, qualora il pubblico ministero abbia proposto la richiesta cautelare, alla convalida debba procedere il giudice in composizione collegiale ovvero se, all'esito dell'udienza, il G.i.p. che l'ha celebrata – peraltro assumendo l'interrogatorio dell'indagato – debba rimettere la decisione sulla richiesta di applicazione della misura carceraria al collegio, analogamente a quanto prevede l'art. 299 comma 4 c.p.p. per come novellato dall'art. 2 lett. h) della legge in commento, trattenendo però per sè quella sulla convalida dell'arresto o del fermo. Qualora dovesse invece concludersi che il legislatore abbia voluto mantenere inalterata la disciplina vigente, ribadendo implicitamente l'autonomia di quella prevista dal citato quinto comma dell'art. 391 c.p.p., sarebbe la coerenza del sistema ad essere ancora una volta messa in discussione. Infine, va ricordato che ai sensi del comma 1-quinquies dell'art. 291 c.p.p. (introdotto dall'art. 2 lett. e) della novella), nei casi in cui il collegio debba assumere in via preventiva l'interrogatorio di garanzia, all'incombente procede il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato. Il legislatore nulla ha disposto per il caso in cui invece all'interrogatorio debba provvedersi all'esito dell'esecuzione dell'ordinanza applicativa, ma in proposito appare agevole ritrarre in via estensiva la relativa disciplina dalla lettera dell'art. 299 comma 4-bis c.p.p. Le reali perplessità che suscita la riforma riguardano peraltro l'impatto che l'intervento avrà sull'organizzazione e funzionalità degli uffici giudiziari. Infatti, in particolare – ma non solo - nei numerosi tribunali di piccole dimensioni (ossia quelli con meno di venti giudici nell'organico complessivo) la costituzione del giudice delle indagini preliminari collegiale è destinata a rappresentare un problema e non soltanto per il reperimento dei magistrati destinati a comporre il collegio, ma, soprattutto, perché il loro assorbimento nella fase applicativa della misura ne comporta la successiva incompatibilità a celebrare il giudizio di cognizione. Problema ovviamente acuito dall'endemica scopertura degli organici di cui soffrono più o meno tutte le sedi giudiziarie. Di tali problematiche il legislatore si è invero dimostrato in qualche modo consapevole, atteso che l'art. 9 della legge n. 114/2024 ha differito di due anni l'entrata in vigore dell'art. 328 comma 1-quinques c.p.p. e delle norme che vi fanno riferimento, mentre contestualmente l'art. 5 ha disposto l'aumento dell'organico della magistratura di 250 unità. È peraltro doveroso sottolineare come nel corso dei lavori preparatori della legge da più parti sia stata evidenziata l'insufficienza di tale misura, anche perché i tempi di reclutamento dei nuovi magistrati – che comunque fino al compimento del quarto anno di servizio non possono essere assegnati alle funzioni di giudice delle indagini preliminari - non consentiranno al sistema di fronteggiare tempestivamente le criticità segnalate. In conclusione L'intento della novella di implementare le garanzie difensive nella fase applicativa delle misure cautelari personali si è infine tradotto in misure di scarsa rilevanza pratica e di fatto di dubbio interesse per la stessa parte che si vorrebbe tutelare ovvero che si annunciano, una volta a regime, pericolose per la funzionalità del sistema giudiziario. La disciplina dell'interrogatorio preventivo si rivela non poco lacunosa e foriera di infiniti contenziosi, dei quali francamente non si sentiva il bisogno. I tanti compromessi con la funzione che assolve il sistema cautelare cui il legislatore è stato costretto ne hanno talmente ridotto l'ambito di applicazione da far dubitare della effettiva utilità dell'istituto. Quanto alla composizione collegiale del giudice che dispone la custodia cautelare in carcere, al di là delle criticità già illustrate, residua più di qualche dubbio sulla scelta del legislatore di non mettere mano alla disciplina delle impugnazioni cautelari, poiché la collegialità dell'ordinanza applicativa – soprattutto se la sua adozione è preceduta dall'interrogatorio di garanzia – mette in discussione la stessa funzione del giudizio di riesame per come attualmente configurato dal codice di rito. |