Risarcimento danni da lesione di interessi pretensivi: escluso in caso di atto illegittimo annullato dal G.A., in assenza di prova della spettanza del bene della vita
07 Agosto 2024
Massime 1. Il mero annullamento di un provvedimento illegittimo non è sufficiente a rendere fondata la domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi pretensivi, essendo a tal fine necessario un quid pluris consistente nella dimostrazione che, in assenza di tale provvedimento, il ricorrente vittorioso avrebbe senz'altro avuto accesso al bene della vita, secondo un giudizio prognostico sulla fondatezza dell'istanza. Non può trovare accoglimento la domanda risarcitoria qualora non risulti comprovato il nesso di causalità immediata e diretta tra l'arresto procedimentale e l'abbandono dell'investimento programmato se tale stasi, estremamente contenuta nel tempo, poteva essere agevolmente superata con modalità non eccessivamente gravose, come la presentazione di una nuova domanda di rilascio dell'atto ampliativo ovvero con il completamento degli adempimenti ai fini dell'utile conclusione dell'iter autorizzativo. 2. L'accertamento del nesso di consequenzialità immediata e diretta del danno con l'evento pone problemi di prova con riguardo al lucro cessante in misura maggiore rispetto al danno emergente; a differenza del secondo, consistente in un decremento patrimoniale avvenuto, il primo, quale possibile incremento patrimoniale, ha di per sé una natura ipotetica. La valutazione causale ex art. 1223 c.c. assume pertanto la fisionomia di un giudizio di verosimiglianza (rectius di probabilità), in cui occorre stabilire se il guadagno futuro e solo prevedibile si sarebbe concretizzato con ragionevole grado di probabilità se non fosse intervenuto il fatto ingiusto altrui. Il caso La vicenda giudiziaria antecedente alla sentenza in commento La controversia originava dall'impugnazione di un provvedimento, di E-D., di autoannullamento del previo accoglimento di una richiesta di connessione per la realizzazione, da parte della ricorrente C&F E., di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile “biogas”. In particolare, nel 2013, la C&F E. presentava alla E-D., ai sensi dell'art. 9 dell'Allegato “A” della delibera ARG/elt 99/08, richiesta di connessione dell'impianto. L'istanza veniva inizialmente accolta, ma successivamente la E-D. disponeva l'annullamento del provvedimento di accoglimento, a causa del mancato riscontro della parte ricorrente ad una nota del 17 luglio 2014, recante l'invito a trasmettere la dichiarazione sostitutiva di cui all'art. 9, comma 5, dell'Allegato A della citata delibera. Il provvedimento era oggetto di giudizio davanti al T.A.R., il quale con sentenza lo annullava a causa della mancata comunicazione dello stesso a mezzo pubblicazione sul Portale, e non tramite pec o posta raccomandata di modo da rendere compiutamente edotta la ricorrente della criticità riscontrata. A seguito del menzionato annullamento dell'illegittimo provvedimento di autotutela di E- D., la C&F E. proponeva azione di risarcimento del danno, nei confronti della resistente, sia a titolo di danno emergente, sia a titolo di lucro cessante. Il T.A.R. Campania, Salerno, con sentenza n. 1916/2023 accoglieva il ricorso e condannava E -D. al risarcimento del danno da lucro cessante. La questione La vicenda oggetto della pronunzia in commento La E-Distribuzione proponeva appello rispetto alla prefata decisione, osservando che la C&F Energy non avrebbe compiutamente dimostrato che la mancata realizzazione dell'impianto fosse connessa all'annullamento della pratica in questione, sostenendo che la C&F avrebbe comunque avuto 34 mesi dal 2014 per mettere in esercizio l'impianto ed ottenere i benefici derivanti dagli incentivi. Ad ogni modo, la E-Distribuzione rilevava che al fine di evitare il danno sarebbe stato sufficiente che la società si fosse attivata tempestivamente per riproporre domanda di connessione. La E- Distribuzione, infine, notava come la C&F Energy, con riferimento al lucro cessante, non avrebbe in alcun modo fornito gli elementi di prova necessari per quantificare il danno. Nello specifico, le censure d'appello afferivano ad error in iudicando ed in procedendo per violazione dell'art. 2043 c.c. e 1227 c.c. e in subordine all'erronea individuazione del criterio per la determinazione del risarcimento dei danni in relazione alla voce del lucro cessante. Decidendo la causa, in premessa il Consiglio di Stato esprime alcune considerazioni di ordine generale sul risarcimento del danno, chiarendo che esso non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, in termini di certezza o di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della Pubblica amministrazione. Difatti, l'interesse legittimo di cui la C&F E. lamentava la lesione non aveva carattere oppositivo, non riguardando cioè una posizione soggettiva di vantaggio già definitivamente acquisita alla sua sfera giuridica, ma aveva natura pretensiva. Inoltre, il giudicante osserva come il danno da lucro cessante ha natura ipotetica, e pertanto è necessario provarne la consistenza. Le soluzioni giuridiche La definizione del gravame Le doglianze della società appellante (E-D. S.p.a.) venivano accolte in quanto, sinteticamente: i) L'interesse legittimo di cui la società lamentava la lesione ha natura pretensiva e la richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di tale posizione, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, in termini di certezza o di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione; ii) L'azione risarcitoria davanti al giudice amministrativo è retta dal principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., pertanto su C&F E. gravava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda per ottenere il risarcimento del danno derivante dall'illegittimo od omesso svolgimento dell'attività amministrativa; iii) La responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa e colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano, pertanto è necessario accertare che vi sia la lesione di un bene della vita e per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano i criteri della consequenzialità immediata e diretta e dell'evitabilità con ordinaria diligenza del danneggiato; iv) La C&F E. non ha addotto alcuna evidenza per la quantificazione del danno emergente. Ai sensi degli artt. 1227 c.c. e 30, comma 3, c.p.a., per la valutazione dei danni il risarcimento deve essere valutato tenendo conto dell'onere di cooperazione del privato che si declina in un obbligo positivo, cioè nelle condotte finalizzate ad evitare il danno. v) La C&F E. per evitare il danno avrebbe potuto trasmettere una nuova richiesta di connessione, o avrebbe potuto produrre l'autodichiarazione di cui all'art. 9, comma 3, dell'allegato A della delibera ARG/elt 99/08, e ad ogni modo aveva il tempo sufficiente per mettere in esercizio l'impianto ed ottenere i benefici derivanti dagli incentivi; vi) Per quanto concerne il danno da lucro cessante è necessario osservare che l'accertamento del nesso di consequenzialità immediata e diretta del danno con l'evento pone maggiori problemi rispetto all'ipotesi del danno emergente. Il lucro cessante ha infatti natura ipotetica. La valutazione causale ex art. 1223 c.c. assume pertanto la fisionomia di un giudizio di verosimiglianza (rectius di probabilità), in cui occorre stabilire se il guadagno futuro e solo prevedibile si sarebbe concretizzato con ragionevole grado di probabilità se non fosse intervenuto il fatto ingiusto altrui. Nel caso di specie, la C&F E., non ha dimostrato l'esistenza del nesso di causalità immediata e diretta tra l'arresto procedimentale relativo alla pratica di connessione e l'abbandono dell'investimento programmato, il quale va invece verosimilmente ricollegato ad un'autonoma scelta imprenditoriale. vii) La C&F E. non ha nemmeno provato il danno, non avendo indicato gli elementi oggettivi da cui poter desumere, anche in via presuntiva, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. Osservazioni Il rapporto tra la spettanza del bene e il duty to mitigate La sentenza in commento appare complessivamente condivisibile ribadendo principi consolidati della giurisprudenza amministrativa. Può forse individuarsi, al di là della soluzione del caso concreto, un profilo generale meritevole di approfondimento. Difatti, da un lato, si afferma che l'originaria ricorrente non avrebbe dimostrato la sicura o la verosimile spettanza del provvedimento autorizzativo che aveva richiesto, perché una volta ripristinata la pratica di connessione la società avrebbe comunque dovuto completare gli adempimenti di propria competenza ai fini dell'utile conclusione dell'iter autorizzativo. Dall'altro lato, si afferma che la originaria ricorrente avrebbe “anche” potuto avviare immediatamente un nuovo iter autorizzativo della connessione, senza scontare alcun condizionamento derivante dalla fisiologica incertezza in ordine all'esito nel merito del giudizio impugnatorio incardinato innanzi al TAR, nonché che la società aveva comunque a disposizione ampio termine per emendare la sua posizione e realizzare oltre che mettere in esercizio l'impianto ed ottenere i benefici derivanti dagli incentivi. Sebbene oggetto di due autonomi e distinti oneri gravanti sulla ricorrente, ossia dimostrare la spettanza del bene della vita e osservare il duty to mitigate, può essere dibattibile la possibilità di evocare il secondo (nei termini sopradetti) dopo aver negato (in via prognostica) l'esistenza della prima, in quanto l'obbligo ex art. 1227 c.c. potrebbe presupporre, in casi del genere, che si possa efficacemente (almeno in via prognostica) agire per soddisfare il proprio interesse, cosa però che sarebbe da escludersi in presenza di alea ed incertezza in ordine alla situazione giuridica considerata. In altre parole, non è del tutto piano ipotizzare che la ricorrente dovesse riattivare la pratica in sede amministrativa, visto che non era chiaro, e non risulta chiaro nemmeno a seguito della conclusione del giudizio d'appello, se la pretesa sostanziale complessiva fosse ragionevolmente fondata o meno. In tale contesto attendere l'esito del giudizio prima di procedere agli ulteriori step potrebbe non essere di per sé condotta rimproverabile al ricorrente, il quale forse, più che attivare una nuova pratica, può ipotizzarsi che avrebbe dovuto richiedere l'esecuzione dell'ordinanza cautelare concessa in corso di causa, cosa peraltro in una certa misura anch'essa aleatoria. In ogni caso, la situazione specifica di cui alla sentenza in commento, per quanto può ipotizzarsi dalla complessiva motivazione, giustifica ampiamente la decisione, alla luce del principio dell'onere della prova, che, in materia risarcitoria, come noto, non si conforma al metodo acquisitivo. |