Con il divorzio cessa l’affinità? L’intervento della Consulta e i dubbi che restano
14 Agosto 2024
Massima È costituzionalmente illegittimo l'art. 64, comma 4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), nella parte in cui prevede che non possono far parte della giunta, né essere nominati rappresentanti del comune e della provincia, gli affini entro il terzo grado del sindaco o del presidente della giunta provinciale, anche quando l'affinità deriva da un matrimonio rispetto al quale il giudice abbia pronunciato, con sentenza passata in giudicato, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili per una delle cause previste dall'art. 3 l. 898/1970 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio). Il caso La vicenda che dà origine alla questione riguarda la nomina a vicesindaco di un uomo coniugato con la sorella del sindaco in carica. Il legame di affinità tra il vicesindaco e il sindaco (cognati), aveva spinto due consiglieri comunali a chiedere la revoca di tale nomina sulla base dell'art. 64, comma 4, testo unico enti locali (T.U.E.L.) secondo il quale “il coniuge, gli ascendenti, i discendenti, i parenti e gli affini entro il terzo grado del sindaco e del presidente della giunta provinciale non possono far parte della rispettiva giunta né essere nominati rappresentanti del comune e della provincia”. L'uomo si opponeva in quanto aveva divorziato da tempo e pertanto a suo dire non esisteva più alcun impedimento. Da qui la questione è proseguita nelle aule giudiziarie fino ad approdare di fronte alla Corte di Cassazione, la quale con ordinanza n. 120/2023 (Aceto S., Dopo il divorzio, permane il vincolo di affinità? La questione viene rimessa alla Corte Costituzionale, in IUS Famiglie) sollevava questione di legittimità costituzionale, dell'art. 78 comma 3, c.c., implicitamente richiamato dall'art. 64, comma 4, T.U.E.L. La questione La questione, ben più ampia del caso di specie, riguarda il perdurare del rapporto di affinità in seguito allo scioglimento per divorzio del matrimonio da cui tale legame deriva. Com'è noto il vincolo di affinità è il legame che unisce un coniuge ai parenti dell'altro coniuge (art. 78 c.c.). Sono pertanto affini suocero e nuora, suocera e genero, nonché i cognati. Dall'affinità scaturiscono determinati effetti alcuni di natura patrimoniale, altri di natura non patrimoniale. Si pensi innanzitutto all'obbligo alimentare posto dall'art. 433, n. 4 e 5 c.c. a carico di genero, nuora e suoceri; alla partecipazione all'impresa familiare per gli affini entro il secondo grado (art. 230-bis c.c.); all'obbligo per il giudice di astenersi nelle cause di cui parti sono suoi affini (art. 51 c.p.c.); alla facoltà di astenersi dal testimoniare nei processi contro i prossimi congiunti tra i quali ai sensi dell'art. 307 c.p. sono compresi anche gli affini (art. 199 c.p.p.); agli impedimenti matrimoniali (art. 87 c.c.). Il vincolo d'affinità rileva inoltre, come nella specie, in relazione a nomine pubbliche al fine tutelare l'imparzialità nella P.A. Il codice civile, all'art. 78, chiarisce che il vincolo di affinità non si estingue con la morte, anche senza prole, dell'altro coniuge, cessa invece se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all'art. 87, n. 4 (ossia salvo il divieto di matrimonio tra gli affini in linea retta). Nulla, peraltro, viene specificato in relazione agli effetti del divorzio sul vincolo di affinità. La questione è stata oggetto di annosi contrasti dottrinali e giurisprudenziali. Le soluzioni giuridiche Tali contrapposti orientamenti interpretativi vengono richiamati dalla sentenza in esame che prima di entrare nel vivo della questione ne spiega i termini giuridici. Il matrimonio, un tempo indissolubile, si scioglieva, ai sensi dell'art. 149 c.c., solo con la morte. La disposizione è stata poi modificata con la riforma del ‘75 che, accogliendo il nuovo istituto del divorzio, introduceva come causa di scioglimento del matrimonio anche gli “altri casi previsti dalla legge”. L'art. 78 c.c. peraltro non subiva alcuna modifica. Nell'incertezza della situazione, come evidenziato dalla Consulta, la giurisprudenza e soprattutto la dottrina hanno accostato il divorzio ora alla morte dell'altro coniuge, ora alla dichiarazione di nullità del matrimonio. Secondo un primo orientamento l'affinità non cessa a seguito di una pronuncia di divorzio. In tale linea interpretativa, appoggiata da un datato precedente della Cassazione, lo scioglimento del matrimonio, così come regolato dalla l. 898/1970, presenta caratteristiche più simili all'ipotesi della morte che non a quella della nullità del matrimonio (Cass. 2487/1978). La sentenza di invalidità del vincolo matrimoniale, conseguenza di un vizio genetico del matrimonio, fa sì che il rapporto matrimoniale venga meno ab origine, ex tunc, salva ovviamente la disciplina del matrimonio putativo. Diversamente la sentenza che dichiara lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili del vincolo concordatario non retroagisce al momento delle nozze, ma scioglie, come la morte, il rapporto matrimoniale con efficacia ex nunc. Secondo tale orientamento, pertanto, lo scioglimento del matrimonio non è stato considerato dal legislatore come causa di cessazione del rapporto di affinità, in quanto anche il divorzio come la morte non pone nel nulla tutto il rapporto coniugale vissuto. Solo la dichiarazione di nullità può infatti rendere inesistente ab origine il vincolo matrimoniale. Al contrario un secondo orientamento, appoggiato da gran parte della dottrina, sostiene che l'affinità viene meno col divorzio e che la tesi opposta, oltre a non trovare sostegno nel sistema normativo, appare in contrasto con argomenti legati al buon senso. Si rileva soprattutto come mentre nel caso di morte la famiglia rimane unita e spesso i familiari del defunto restano legati da vincoli di solidarietà e di affetto con il coniuge rimasto vedovo, nel caso di divorzio invece i legami tra le due famiglie si interrompono. Una notevole differenza si ha anche sul piano strettamente giuridico. Si consideri infatti che, mentre la vedova continua, finché non contrae nuovo matrimonio a portare il cognome del marito e quindi il cognome della famiglia di lui (art. 143-bis c.c.), la donna divorziata perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito di matrimonio e nel caso in cui invece continui indebitamente ad usare il cognome dell'uomo costui potrà agire per chiedere l'inibitoria del comportamento lesivo, e il risarcimento del danno (art. 5 l. 898/70). Col divorzio inoltre vengono meno i diritti successori. La cessazione dello stato di coniuge comporta infatti l'estinzione della qualità di legittimari e di successori legittimi. L'ex coniuge può dunque succedere solo per chiamata testamentaria e avrà diritto alla corresponsione di un assegno successorio a carico dell'eredità solo se già titolare dell'assegno postmatrimoniale e se versa in stato di bisogno. La posizione del coniuge rimasto vedovo rispetto ai familiari del defunto è dunque, oltre che sul piano dei rapporti sociali, anche sul piano dei rapporti giuridici ben distinta dalla posizione del divorziato e ciò giustifica, secondo quest'interpretazione la permanenza, nel caso di morte, del rapporto di affinità, e la cessazione dello stesso nella diversa ipotesi di divorzio. Di fronte a tale controverso contesto la Cassazione, nel caso in esame, aveva censurato l'art. 78, comma 3, c.c. implicitamente richiamato dall'art. 64, comma 4, T.U.E.L. Rilevava in particolare la Corte che l'annullamento colpisce il matrimonio-negozio direttamente ed il rapporto solo in via di ripercussione mentre il divorzio incide direttamente sul matrimonio-rapporto. Tuttavia, l'annullamento e lo scioglimento hanno in comune il venir meno del vincolo coniugale per effetto di un provvedimento giudiziale che si fonda in entrambi i casi su un interesse contrario al protrarsi della vita coniugale. Precisava pertanto l'ordinanza di rimessione che regolare in maniera dissimile situazioni analoghe, determina la violazione degli artt. 2,3 e 51 Cost. (Cass. 12/2023). La Corte Costituzionale, con il provvedimento in commento invece, concentra la sua attenzione solo sull'art. 64 T.U.E.L per “l'elevato grado di specificità” della disciplina dettata in punto di incompatibilità. Nelle varie situazioni previste dall'ordinamento, chiarisce la Consulta, lo status di affine può, di volta in volta, produrre effetti di attribuzione o di limitazione di un diritto, cui corrisponde un bilanciamento operato dal legislatore. Per tale motivo, sostiene la sentenza in esame, le censure sulla legittimità delle norme in contestazione devono essere portate direttamente alla disciplina specialistica di settore. In conclusione, viene dichiarato incostituzionale l'art. 64, comma 4, citato, nella parte in cui prevede l'incompatibilità per gli affini entro il terzo grado del sindaco, o del presidente della giunta provinciale, a far parte della relativa giunta, e a essere nominati rappresentanti del comune o della provincia, anche se il rapporto di coniugio dal quale il vincolo di affinità è stato determinato sia cessato. Nella specie, si precisa, risulta manifestamente irragionevole, che, mentre l'ex coniuge del sindaco non è soggetto alle incompatibilità in esame, lo sia l'affine anche dopo che il rapporto di coniugio dal quale il vincolo di affinità è derivato sia cessato, così sganciandosi del tutto la sussistenza della causa di incompatibilità dal rapporto di riferimento. Osservazioni Resta comunque aperta la questione riguardante la permanenza del vincolo di affinità, pur in seguito a divorzio, in relazione a tante altre sfaccettature che si possono presentare nella realtà, tra le quali l’obbligo alimentare, la partecipazione all’impresa familiare e non da ultimo la possibilità di contrarre matrimonio tra ex affini (come nel caso di Trib. Grosseto, 9 ottobre 2003). In tal senso, peraltro, si rileva come l’evoluzione giurisprudenziale e la mutata realtà sociale portano a considerare il divorzio sempre più come una definitiva interruzione dei rapporti tra i due ex coniugi (che non siano anche genitori) mercé, come sottolineato da autorevole dottrina, un ridimensionamento delle conseguenze “ultrattive”, che dal matrimonio derivano (A. Figone, Autorizzabile il matrimonio tra affini in primo grado dopo il divorzio, in IUS Famiglie). Si consideri ad esempio la diversa mutata valenza data dalla giurisprudenza all’assegno divorzile. Con il divorzio il matrimonio viene meno ed i coniugi tornano ad essere “persone singole” (Cass. 11504/2017), svincolate anche da obblighi contributivi, se non quando uno dei due versi in stato di non autosufficienza o indipendenza economica o a fini perequativi compensativi, avvicinando così, almeno per quanto riguarda gli effetti nullità del matrimonio e divorzio (Trib. Milano sez. IX, 19 luglio 2017: nella specie il tribunale aveva autorizzato il matrimonio tra affini in linea retta in seguito allo scioglimento del matrimonio da cui derivava l’affinità per divorzio). |